Il tutto per la parte, la parte per il tutto

 

C’è una diffusa tendenza a confondere ad omologare il tutto sulla base di quanto caratterizza una sua parte, o, al contrario, partendo dalle caratteristiche generali del tutto, a comprendere in esso anche una parte che non è omogenea ad esso. E così, se in Sicilia c’è la mafia, la definizione di  Siciliano comprende automaticamente quella di mafioso

 

Maschere Pirandello

se ci si permette di dire che Partinico è una città mafiosa, tutti quelli che vivono a Partinico e che non sono e non si sentono di essere mafiosi, insorgono perché  non vogliono essere catalogati come tali: alcuni di essi cadono nel vizio opposto, ovvero quello di accusare chi spara queste accuse di danneggiare l’immagine del paese, il turismo, l’economia ed altre baggianate simili, con la conclusione che dell’argomento è meglio non parlare. Tipico atteggiamento di chi non vuol cambiare nulla perché sta bene così. “Una parte” può essere anche quella della magistratura che non fa il suo dovere: è una parte, ma chi osa metterla in discussione, secondo quanto ha detto recentemente un noto giudice, finisce col danneggiare l’immagine complessiva del tutto: a questo punto la soluzione sarebbe, al solito, non parlare del problema, o parlarne per correggerlo. In genere si opta per la prima soluzione.  Ma lo stesso tipo di giudizio    si è portati ad attribuire alla politica: ci sono dei politici ladri, mediocri, incapaci? Ebbene, i politici sono tutti ladri, mediocri, incapaci. Nel mondo dell’antimafia ci sono enti, uomini, istituzioni che non hanno nulla a che fare con la lotta contro la mafia? Allora tutta l’antimafia è inutile, se non addirittura mafiosa, e anche l’affermazione che esiste una mafia dell’antimafia finisce con   lo   screditamento dell’antimafia, anche se solo una parte di essa può essere messa in discussione. Che è quello che auspica il mafioso. La parte per il tutto è uno dei difetti di chi vuole gettare un’ombra d’infamia su soggetti di qualsiasi tipo: basta uno schizzetto di fango a rovinare anni di lavoro sociale e politico fatti in nome di un ideale. Basta un reato, un furto, uno stupro,  commesso da uno  straniero, sia esso europeo o africano, per arrivare alla soluzione che tutti gli    extra-comunitari sono ladri, delinquenti. La recente fine di Marino insegna come si può finire in trappola per qualche migliaio di euro, spesi con la carta di credito comunale, secondo una prassi della maggior parte dei sindaci, Renzi sindaco compreso. Ancora più scorretto e demagogico è l’uso di verbi senza soggetto di aggettivi e accuse senza nome: “Vogliono distruggere l’Italia….stanno uccidendo l’ambiente….Assassini, stanno facendo crollare le montagne…hanno riempito la terra di veleni…” Chi? Fuori i nomi. Ma i nomi non spuntano, basta sparare nel mucchio per suscitare rancori ed emettere condanne. Per non parlare del ripetuto ricorso al “sempre” e al “mai”…del tipo “tu fai sempre così”, anche se succede qualche volta, o “tu non hai mai…che so,  una parola di tenerezza, una dimenticanza ecc.”. Con una parola si può bruciare una carriera, una vita d’amore, una condotta coerente, salvo un incidente di percorso. La parte per il tutto. Un amore nascosto basta a macchiare l’immagine di una persona, a inquadrarla nel mondo delle perversioni, una sigaretta fumata è sufficiente per definire il soggetto un fumatore, una mela rubata basta per classificare l’affamato come ladro. E tuttavia tante volte quella parte è ciò che dà una nota di diversità, di originalità, di coraggio, di nuove identità e possibilità, è un modo per differenziarsi dall’omogeneità del tutto, per caratterizzare se stessi e rivendicare la voglia, l’autonomia, spesso il coraggio di essere diversi.

(S.V.)

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