Beni sequestrati: la legge è pronta

La legge è pronta: come spartirsi i grossi bocconi dei beni dei mafiosi,  dei sospetti mafiosi, dei non mafiosi  assolti dalla legge, ma condannati dal tribunale di prevenzione

La legge che avrebbe dovuto sostituire l’attuale legge sui beni sequestrati e confiscati alla mafia è pronta e in uno di questi giorni, forse domani, sarà presentata alle camere per l’approvazione.  La velocità con cui si sta spingendo questo”sgorbio” di proposta è sospetta: siamo all’indomani del bordello successo all’ufficio misure di prevenzione di Palermo, cui ha risposto la chiusura a riccio di tutti gli altri settori della magistratura, a cominciare dai curatori fallimentari per finire agli incarichi e consulenze date ai magistrati con l’avvertenza minacciosa del rischio di delegittimare tutta la magistratura e non quella corrotta.   Tutto è a posto: anche la traballante poltrona dell’altro presidente delle misure di prevenzione di Roma, dove di beni confiscati e di amministratori nominati  secondo quello che gira in testa al dott. Muntoni ce n’è a bizzeffe, pare essersi sistemata, dopo la promessa fatta alla Saguto di dare un incarico al solito Cappellano per fargli poi assumere il marito come consulente. Tutto quello che è successo ha messo sotto gli occhi di tutti una realtà allucinante, ovvero l’esistenza  in Italia di una “legge illegale”, cioè concepita in deroga ai diritti costituzionali che regolano la vita della repubblica, primi tra i quali quello alla libertà personale e poi quello alla proprietà privata. Queste possono essere sottratte solo in presenza di violazioni di legge dimostrate da indagini espletate. Invece la legge, approvata in fretta e furia per avere uno strumento che aggredisse i patrimoni dei mafiosi subito, è diventata strumento d’arbitrio, di privilegi, di abusi, di sopraffazioni, di false o falsamente valutate interpretazioni. Ma quello che più stona è l’esistenza di un doppio canale, quello delle misure di prevenzione, che può agire indipendentemente da quello penale. E così un “presunto” mafioso può attraversare i tre gradi di giudizio, essere giudicato innocente o vittima di un errore giudiziario, per non parlare di un pervicace disegno di impadronirsi dei suoi beni per affidarli ad “amici” e alla fine, malgrado la disposizione penale di riconsegna dei beni sequestrati, l’ufficio di prevenzione può ignorare tutto ciò e continuare imperterrito la sua linea dura del sequestro, che non diventa più di prevenzione, ma di indebita appropriazione. La risposta a questo doppio canale sarebbe  quella di abolirne uno, cioè quello che scavalca le normali disposizioni di ogni paese civile. Noi proponiamo l’abolizione della legge 6 settembre 2011, ma ci rendiamo conto che i soliti corvi dell’antimafia sono pronti a gridare che stiamo facendo un grosso favore alla mafia, che contro i mafiosi non servono regole normali, ma misure eccezionali e altre amenità dello stesso tipo. Tra queste amenità ricordiamo anche la poco felice battuta del prefetto Postiglione che aveva da ridere e da ridire sulla nascita di un’Associazione “In difesa…del cittadino”, dove si sono iscritti alcune vittime degli abusi portati avanti dalle misure di prevenzione. C’è da ridere considerando che, chi dovrebbe rappresentare la legge e tutelare gli interessi di tutti i cittadini, anche dalle sue prevaricazioni, si metta a ridere giudicando come mafioso uno che la legge non ha giudicato tale. Sia chiaro che nessuno stato rinuncia a un così grande potere che gli consente di mettere le mani ovunque e comunque.

Le manovre:

il boccone da spartirsi è grosso.A quanto pare la prima strategia è quella di togliere di mano ai magistrati la gestione dell’affaire e di metterla nelle mani dei politici e degli imprenditori ad essi collegati. Se si vuole ridimensionare la casta degli amministratori giudiziari, ma non se ne parla, ci sono altre bocche aperte e pronte. Ultima in ordine di tempo, ma sicuramente la più complessa e strutturata, viene da una  Commissione istituita nel  2013 dal governo Letta , per studiare il problema dell’aggressione ai patrimoni della criminalità organizzata,  presieduta dal Segretario Generale della Presidenza del Consiglio Garofoli, che già si era occupato del tema della corruzione.

Nel gennaio 2014 la Commissione, con la partecipazione, fra gli altri, dei magistrati Gratteri, Cantone e Rosi, presenta una relazione di 183 pagine in cui si evidenziano le principali criticità in tema di gestione dei beni e si propongono possibili soluzioni e innovazioni legislative, dall’ampliamento del ruolo e della dotazione di uomini e mezzi dell’Agenzia, all’affiancamento di figure manageriali per la gestione delle aziende, dall’anticipo della verifica dei crediti alla regolamentazione degli amministratori giudiziari.

Particolare attenzione nella relazione Garofoli trovano le proposte della CGIL, che si è fatta promotrice di una legge di iniziativa popolare, ribattezzata “Io riattivo il lavoro”, sostenuta a sua volta da Libera, ARCI e Avviso Pubblico. Al centro delle modifiche portate avanti dal sindacato ci sono proprio le aziende ed in particolare la tutela dei lavoratori e dei livelli di occupazione. “Due i punti di forza imprescindibili” dice Luciano Silvestri, responsabile Sviluppo e Legalità CGIL “il primo è la creazione dei tavoli di coordinamento presso le prefetture, che dovrebbero coinvolgere parti sociali, istituzioni e società civile nel monitoraggio e nella gestione delle aziende fin dalla fase del sequestro; il secondo è il fondo di rotazione, da finanziare con i soldi (tanti) del Fondo Unico Giustizia e con cui finanziare la fase di “legalizzazione” delle aziende poste in amministrazione statale. Dopo aver raccolto migliaia di firme, la proposta del sindacato è giunta in Commissione Giustizia alla Camera con relatore Davide Mattiello, deputato PD con un lungo trascorso di militanza antimafia. Chissà se e come i due percorsi riusciranno ad incontrarsi!. Ma proprio Mattiello in questi giorni ha stupito tutti proponendo di affidare la gestione dei beni ad INVITALIA, un’agenzia di promozione economica si dice una volta vicina a Dell’Utri. Propbabilmente si tratta di un altro inutile passaggio o carrozzone su cui far confluire i soldi e i beni da ffidare ad agenzie che presentino progetti credibili. Mattiello, cheè stato la voce di Libera probabilmente avrà ideato un meccanismo che faccia finire i beni in gran parte nelle mani di Libera e non c’è nulla da stupirsi, perchè sino ad adesso è l’unica struttura che non è vissuta sui fallimenti dei beni che gli sono stati affidati.

Nel dibattito si inserisce anche Confindustria, in particolare la sezione siciliana, che sta mettendo mano ad alcune autonome proposte, stranamente assonanti con quelle fatte dall’on. Lumia. Per ora nulla è troppo chiaro perché, dicono i responsabili: “Ci stiamo lavorando”, ma da uno studio elaborato nel 2012 dall’Università di Palermo e da alcune dichiarazioni più recenti dei rappresentanti degli imprenditori, oltre che di alcuni magistrati applicati alle misure di prevenzione di Palermo e Caltanissetta, a loro notoriamente vicini, si deduce che le aree di principale interesse saranno tre: l’inserimento di figure manageriali all’interno delle procure, la riduzione del ruolo dell’Agenzia per i beni confiscati alla sola fase della confisca definitiva e la verifica dei crediti: c’è chi spinge per anticiparla ad inizio sequestro e chi invece vorrebbe procrastinarla addirittura alla confisca definitiva, complicando ulteriormente la vita a chi onestamente vanta crediti nei confronti di aziende sotto sequestro e che in conseguenza di amplissimi buchi creati da queste fatture non pagate rischia il fallimento.

Sembra si tratti del tentativo, degli industriali siciliani, di mettere le mani su quel che resta dell’economia siciliana per operare l’ennesima rapina: non si vuole dire no al tribunale nel privarlo della nomina del suo amministratore e si istituisce un’altra figura con un altro stipendio: nessuna attenzione e nessuna garanzia è prevista per i posti di lavoro dell’azienda. Fra l’altro, da quando Ivan Lo Bello, già presidente di Confindustria Sicilia ha proposto l’espulsione degli imprenditori che pagano il pizzo, tutti gli industriali siciliani fanno professione di antimafia e trovano magari qualcuno da denunciare come estorsore, tanto per farsi una verginità e lavorare, oltre che col consenso di Cosa Nostra, anche con la protezione dello stato.

Non è detto  che l’asino uscito dalla porta non rientri dalla finestra, nel senso che non si trovino all’interno delle Associazioni o degli enti destinatari quelle presenze mafiose di cui ci si voleva liberare. Un problema centrale è comunque quello di garantire il posto di lavoro e tutelare i dipendenti che, quasi sempre, si ritrovano nella rovina economica.

Invitalia, Confindustria, CGIL, Equitalia. a parte la longa manus del tribunale, la tagliola delle misure di prevenzione da cui bisogna prima passare.  Non è venuto fuori molto, se non  proposte solo organizzative consistenti nel centralizzare tutto a Roma in un ufficio potenziato di una quarantina di unità che si occupino dei beni di tutta Italia, coordinandosi con le sedi regionali, che al momento fanno ben poco. Tutto sarebbe sotto i9l diretto controllo non di un prefetto, ma del presidente del Consiglio, e te pareva, il quale”sa come fare”.

 

Il FUG

Il Fondo unico di giustizia è stato istituito col Decreto Legge 112/08 convertito in Legge 133/08 : la sua funzione è quella di  ricevere le somme di denaro e  altri proventi (titoli al portatore, crediti pecuniari, conti correnti, libretti di deposito, titoli assicurativi,  etc., compresa ogni altra attività finanziaria a contenuto monetario o patrimoniale), sequestrati e/o confiscati nell’ambito di procedimenti penali, dell’applicazione di misure di prevenzione o di irrogazione di sanzioni amministrative. L’obiettivo è quello di  accentrare la gestione delle risorse sequestrate, individuare le somme sequestrate da «anticipare» allo Stato, ma anche di realizzare una tempestiva esecuzione dei provvedimenti di confisca e di dissequestro e realizzare e gestire  l’«anagrafe» informatizzata delle risorse sequestrate.

E’ gestito da Equitalia Giustizia, che, al 30 giugno 2014 ha rilevato risorse liquide per 1.429.074.952, di cui già anticipate  allo stato 415.280.000) La legge prevede la vendita dei titoli sequestrati, ma ad oggi non è stato emanato il DPCM di attuazione.

Solo il 25%  della somma custodita è effettivamente utilizzabile: il restante 75% a titolo precauzionale rimane conferito nel Fondo fino al termine del procedimento, per far fronte a eventuali cambiamenti delle sentenze nei vari gradi di giudizio.

Le somme sono comunque distribuite tra il Ministero degli Interni (49%), il ministero della Giustizia, (49%) e una percentuale minima finisce nelle casse dello stato.

Equitalia Giustizia percepisce un aggio del 5% sul rendimento annuo della gestione finanziaria del FUG, al netto delle spese di gestione.

Tempo fa il sottosegretario all’Economia Luigi Casero, rispondendo a un’interrogazione parlamentare di Alessandro Pagano ed Enrico Costa ha detto che il Fug, alla data del 30 novembre 2013, disponeva di «978 milioni di risorse liquide e di circa 2,1 miliardi di risorse non liquide».  Tuttavia  i soldi sottratti dallo Stato ai mafiosi non sono tutti utilizzabili perché «i proventi connessi ai sequestri, per loro natura, non dovrebbero poter essere versati al bilancio dello Stato, a causa della loro provvisorietà e del fatto che potrebbero essere restituiti al titolare originario, in caso di revoca della misura»..

La legge,  prevedendo che tutto ciò che viene confiscato possa essere destinato solo a fini di utilità sociale, crea ostacoli ad un’immediata liquidazione delle società create esclusivamente per emettere fatture false ma anche alla salvezza di aziende agricole o società immobiliari che potrebbero essere concesse ai comuni per l’affidamento a cooperative giovanili.

L’amministrazione giudiziaria di un bene, che non dovrebbe andare oltre i 3 mesi e che invece si protrae per decenni, ha creato dissesti e danni enormi alle aziende confiscate: l’utilizzo delle somme accantonate dal FUG potrebbe essere lo strumento per un riassestamento economico delle aziende confiscate in crisi, soprattutto per garantire ai lavoratori e non agli amministratori, il posto di lavoro.

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Le proposte di Telejato

Ancora una volta la redazione di Telejato, dopo  avere sentito diverse associazioni antimafia, avanza, come ha già avanzato , ma senza alcun attenzione,  alla Commissione Antimafia, le seguenti proposte:, – Consentire l’immediato pagamento dei creditori dell’azienda sin dal momento della confisca, per evitare di causare il fallimento di aziende fornitrici legate all’indotto su cui l’azienda confiscata opera;

– Legare il momento del sequestro a quello dell’iter giudiziario, nel senso che non  si può procedere al sequestro di un bene se non è dimostrata, almeno nel primo grado di giudizio, la sua provenienza mafiosa;

– Consentire un solo incarico agli amministratori giudiziari e pertanto, servirsi a rotazione di un albo-elenco degli amministratori giudiziari:

– Fissare un tariffario delle prestazioni degli amministratori giudiziari e dei periti, con il rimborso delle parcelle a carico dello Stato, non delle aziende sotto sequestro.

– Svincolare le competenze di emissione dei decreti di  sequestro e quelle di nomina degli amministratori  dalle mani di un solo magistrato e allargarne la facoltà a tutti i magistrati del pool antimafia;

– Fissare con precise disposizioni il ruolo dell’amministratore giudiziario obbligandolo a presentare annualmente i bilanci , revocandogli l’incarico nel caso di gestione passiva non motivata adeguatamente e obbligandolo a risarcire i danni nel caso di amministrazione fraudolenta o di palese incapacità gestionale;

– I beni sequestrati,  nel caso di proscioglimento delle accuse vanno restituitinella loro interezza e nel loro valore iniziale. Lo Stato si farà carico di eventuali risarcimenti.

– Non consentirela reiterazione del provvedimento di confisca, sotto altre possibili imputazioni.

– immediata esecuzione, non oltre un mese,  del provvedimento giudiziario di conferma o dissequestro  e coordinamento dell’aspetto penale con quello di prevenzione, in modo da evitare discrasie. I casi scandalosi di rinvii, spesso di vari mesi, se non di anni, causati da  ritardi, da  malesseri e  da altre scuse prodotte dal magistrato incaricato della prevenzione non sono  giustificabili, anche perché l’azienda sotto confisca corre il rischio di perdere il suo giro di affari o di essere messa in liquidazione da amministratori giudiziari che svendono beni immobili, attrezzature e macchinari a prezzi irrisori ad altre aziende sotto il loro controllo.

– Possibilità di revoca, su eventuale richiesta motivata, dell’incarico di amministratore giudiziario da parte di un magistrato inquirente diverso da quello che ne ha fatto la nomina e che è solitamente il giudice addetto alle misure di prevenzione;

– Utilizzazione del fondo già esistente (FUG) di qualche  miliardo di euro, attualmente congelato da Equitalia,  a sostegno delle aziende la cui amministrazione passiva non sia imputabile a cattiva gestione dell’amministratore;

– non consentire la vendita a privati dei beni di titolarità dell’azienda confiscata;

– favorire, nei bandi per l’assegnazione, l’imprenditoria giovanile, le strutture cooperativistiche, i progetti che si occupino di agricoltura, con facili norme per accedere a forme di credito agevolato per l’acquisto di quanto serve a impiantare l’azienda;

– consentire il ritorno alla gestione del bene a coloro che, dopo la fase processuale, abbiano dimostrato volontà e intenzione di continuare il tragitto di lavoro nell’ambito della legalità.

 

La richiesta più importante è quella di  distribuire l’immenso potere di cui dispone il singolo magistrato addetto alle misure di prevenzione, nell’amministrazione di un impero finanziario, utilizzando le competenze anche di altri magistrati, al fine di non strozzare ulteriormente, sino ad arrivare al collasso, la debole economia siciliana, nella quale, il settore dei beni confiscati, salvo pochissimi casi, ha accumulato fallimenti, gestioni poco trasparenti e disperazione da parte di lavoratori trovatisi sul lastrico.  L’affidamento della gestione dei beni  ai rampolli di una Confindustria apparentemente verniciata di antimafia, non è la soluzione del problema, ma sarebbe necessario, come già in qualche altra regione, organizzare  corsi di formazione fatti da gente qualificata e che non siano occasione, come al solito, per distribuire il finanziamento del corso ai soliti “amici” e rilasciare, dopo le passarelle,  l’attestato a tutti, senza accertare l’acquisizione di competenze.

 

 

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