Una lettura, da sinistra, delle politiche 2022 (Giuseppe Nobile)

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Pubblico volentieri questa nota di Beppe Nobile. Una seria analisi sulle ultime elezioni nazionali non è stata ancora fatta. Ci si è nascosti dietro la mancata coalizione di centrosinistra e dietro una legge elettorale sporca e anticostituzionale, voluta da Renzi e da tutto il suo PD, oltre che da quasi tutti i partiti politici di allora. Ma anche in questo caso nulla è stato fatto, non un’azione dimostrativa di protesta, per chiedere la modifica di questa porcata che consente di governare  col 40 per cento che, truccando la cifra, diventa il 60.  E tuttavia il problema non è quello, perchè, anche grazie a questa legge bastarda, prima i cinquestelle e adesso i fratelli e cognati fascisti hanno potuto conquistare il governo. La verità è che nel PD non c’è più neanche l’ombra di quel partito che una volta era il tutore dei diritti dei lavoratori e della povera gente. Non c’è più neanche una spruzzatina di sinistra. Con quel che ne consegue (S.V.)

 

 

 

La vittoria della destra, più che come relativo successo amplificato dalla legge elettorale, si configura come preoccupante affermazione di valori divisivi. Le sue dimensioni sono aggravate dalla indisponibilità delle forze alternative a un confronto e a una proposta comune, mentre l’analisi del voto rileva, particolarmente nel Sud e in Sicilia, un vuoto di rappresentanza delle emergenze sociali. In questo spazio si sono finora affermati soggetti politici ritenuti dagli elettori intercambiabili, ma non il Partito democratico, che da troppo tempo, e per sua scelta, si sottrae a una verifica identitaria sempre più urgente.

 

Non moriremo democristiani ma fascisti. La celebre battuta con cui Luigi Pintor commentò la débâcle della Dc alle elezioni politiche del 1983 può essere riscritta per prendere atto, a seguito delle ultime consultazioni, del futuro che si prepara con la compiuta marcia di avvicinamento della destra estrema al governo della Repubblica e il suo assestarsi su posizioni egemoni, proprio nel senso gramsciano. Sì, perché non c’è solo la riuscita opposizione a Draghi e i conseguenti maggiori consensi sottratti agli alleati che danno le dimensioni dell’affermazione di Giorgia Meloni.

 

Opposizione fallace e debole

C’è il radicamento nelle periferie urbane e sociali, la capacità di giustificare le illegalità più comuni (abusivismo, evasione, ecc.) e di rappresentarle politicamente, la forza che deriva dall’evocare le paure, diffuse presso i ceti meno abbienti, circa l’invasione degli immigrati. Per non parlare delle posizioni ideologiche che riscuotono da anni crescenti consensi: il primato attribuito in economia alla “libera impresa”, la difesa della legge e dell’ordine, l’islamofobia, la critica del multiculturalismo, il contrasto alle diversità nella sfera sessuale e familiare, il discorso identitario come scudo verso ciò che non si conosce e come difesa dalla complessità delle crisi sempre più ricorrenti.

Da questo punto di vista, la stessa obiezione che i voti della destra (12 milioni come nel 2018), non indicano, in realtà, un’avanzata nel paese, o che le percentuali delle sue varie componenti, totalizzando il 43,8%, non rappresentano la maggioranza degli elettori è magra e fallace consolazione,

visto che il sistema vigente regala a quella coalizione il 60% dei seggi e che le altre forze (Pd e alleati, 3° polo e 5Stelle), che insieme fanno il 50%, sono molto distanti fra loro e del tutto irriducibili ad una comuneproposta politica. E non è neppure corretto, nel campo della sinistra, fare affidamento alle praterie di consensi che si potrebbero recuperare, fra i 20 milioni di astenuti, in buona parte appartenenti alle fasce più povere della società. Primo, perché l’interscambio fra voto e non voto ha funzionato, negli ultimi anni, solo per alcuni contenitori (in primo luogo i 5Stelle) e in alcune consultazioni (preferibilmente le elezioni amministrative), dove l’attrattiva di un leader o di una proposta “gridata” (vedi De Luca a Messina) può fare la differenza. Secondo, perché nessuno può oggi scommettere sul potenziale orientamento di chi si astiene: troppo atomizzato è ormai il corpo sociale dei ceti deboli e troppo a lungo ha agito la smobilitazione della sinistra presso di esso.

Possiamo trovare particolare riscontro di queste interpretazioni nell’analisi del voto in Sicilia. Se, infatti, le coalizioni non hanno mutato a livello regionale i loro consensi fra le politiche del 2018 e quelle del 2022 (l’alleanza Pd-Sinistra e +Europa passa da 352mila a 334mila e quella FIFdI-Lega-UDC da 757mila a 737mila), mantenendo entrambe una quota stabile dell’elettorato, il risultato siciliano di Fratelli d’Italia (da 87mila voti del 2018 a 388mila nel 2022), come pure, per ragioni opposte, quello

dei 5Stelle (da 1milione e 141mila a 573mila voti) danno la misura della grande volatilità dei consensi che incombe sui tradizionali poli di aggregazione e soprattutto all’interno di essi, fra i singoli partiti.

Mobilità elettorale

 

L’Istituto Cattaneo, che ha svolto l’analisi dei flussi elettorali in alcune città anche in relazione alle elezioni europee del 20192, rileva che a Catania coloro che hanno scelto la Meloni lo scorso 25 settembre avevano per il 35% addirittura votato Pd, nel 2018, e per il 31% la Lega nel 2019.

Analoga sorpresa proviene dai dati della città di Napoli, dove i votanti di Fratelli d’Italia avevano scelto per il 27% il Pd nel 2018 e per il 37% la lega nel 2019. Di contro, i flussi rilevati nelle stesse città per i 5Stelle segnalano uno scambio prevalente dei consensi di questo partito con l’area dell’astensione, sia in entrata che in uscita, mostrando “una forte contiguità con i settori sociali più sensibili alla protesta e alla disillusione”. Infine, a ben guardare, la sostanziale stabilità dei consensi al Pd fra 2018 e 2022 (da 261mila a 242mila voti) a fronte della nascita del polo di Calenda e Renzi (104mila voti), dimostra, secondo il “Cattaneo”, che quest’ultima aggregazione ha ricevuto un notevole apporto dalla destra. Tirando le fila, l’analisi dei flussi evidenzia spostamenti dell’elettorato verso destra che hanno, particolarmente in Sicilia, il carattere di tendenze di lungo periodo e probabili motivazioni nel sistema di valori sempre più egemone di cui sopra. Sono, al contrario, alterni e strettamente connessi alle emergenze sociali i consensi rivolti al Movimento 5Stelle, anche in ragione di strategie e percezioni contingenti dell’elettorato. Fra le elezioni comunali di giugno e le recenti politiche, il passaggio è stato, ad esempio, nella città di Palermo, da 12mila a 64mila voti (ovvero dal 9 al 36 per cento), come effetto di scelte legate alla posta in gioco: più attente agli schieramenti e ai candidati locali vincenti, nel primo caso; sensibili alle politiche di welfare e a chi le difende a livello nazionale, nel secondo caso. In tal senso, un comportamento ancor più eterogeneo si è evidenziato nei risultati delle elezioni per il Presidente della Regione svoltesi lo stesso 25 settembre, laddove il candidato indipendente Cateno De Luca, con 505mila voti raccolti soprattutto nella parte orientale della Sicilia, ha tolto la scena al voto di protesta dei 5Stelle (321mila), intaccando solo marginalmente, in questo caso, il primato che la destra tutta mantiene nell’Isola (gli 887mila voti dell’eletto Schifani)

 

 

Una politica per il Pd

In definitiva, risulta evidente che una parte di questo popolo di Sicilia, ma direi dell’Italia tutta, si è da tempo posto alla ricerca di una rappresentanza che il ceto politico che si identifica nel Partito democratico ha smesso di volere assumere. Ne è prova non solo l’evidente trasformazione di questo partito nella cultura e nel linguaggio, nonché la sua inazione, se non i danni, che ha creato nelle scelte riguardanti la questione sociale (es. “Jobs act”) e gli squilibri territoriali (es. autonomia differenziata), ma anche il deficit di democrazia che la sua prolungata e poliforme presenza nei governi ha determinato, senza affrontare verifiche elettorali sulla propria “mission”, per dirla come piace ai manager democratici, e verifiche interne sulla propria natura.

Intanto, il vuoto sulla scena politica della sinistra è stato occupato da attori improvvisati e di volta in volta intercambiabili. E ciò è avvenuto proprio nel momento in cui le grandi emergenze di questo inizio secolo (pandemia, guerra, clima, energia) vedono finalmente affermarsi l’esigenza di imporre all’economia una guida più attenta ai bisogni collettivi e una viva memoria della maggiore invenzione del ’900, il welfare state, senza cui è impossibile affrontare e superare le attuali crisi.

Mancando una coerente e strutturata politica di lotta alla disuguaglianza, infatti, anche i tradizionali sacri riferimenti all’antifascismo e alla lotta alla mafia, stancamente agitati in campagna elettorale, perdono significato.

 

NOTE:

1 Il riferimento è al voto per la Camera dei deputati. I dati sono elaborati come somma

dei risultati nei due collegi della Sicilia scaricabili dal sito: https://elezioni.interno.gov.it/

camera/scrutini/20220925/scrutiniCI

2  S. Vassalli, R. Vignati (a cura di), “Elezioni 2022: i flussi di voto rispetto alle politiche

2018 ed alle europee del 2019”, Istituto Cattaneo – Analisi 27 settembre 2022; https://www.

cattaneo.org/elezioni-2022-le-prime-analisi/

 

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