Stefano Venuti: un siciliano, un comunista, un artista (S.Vitale)

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Un libro con le sue “quasi” poesie

Esce postumo un libro con le poesie di Stefano Venuti. Lo ha curato chi scrive e lo ha pubblicato l’editore Billeci, la cui piccola casa editrice di Borgetto si occupa di valorizzare gli scrittori locali.
Buona parte di questo articolo riporta la nota introduttiva.

Stefano e Peppino
Il libro è un doveroso omaggio a una straordinaria figura di poeta, artista, uomo politico di Cinisi. Malgrado la sua lunga vita, è morto pochi giorni prima che si proiettasse la prima visione del film “I cento passi”, nel quale ha un importante ruolo, sia come organizzatore delle lotte dei contadini di Punta Raisi contro la costruzione della terza pista, sia come “maestro”, o, se si preferisce “padre” politico di Peppino Impastato. In quel film di lui è rimasta famosa una sua frase, nella quale è riecheggiata una delle malattie croniche della sinistra; “Noi saremo sempre sconfitti perché ci piace essere divisi, ci piace fare ognuno per conto nostro”. C’è una foto in cui Peppino è ritratto sul balcone accanto a Stefano, durante un comizio del PCI e che documenta i suoi primi passi politici. Tra Stefano e Peppino ci fu sempre un rispetto reciproco, malgrado gli ammiccamenti del PCI con la DC, che portarono nel 1974 a uno dei primi esempi di compromesso storico a Cinisi e in Italia, nei confronti del quale la posizione critica di Peppino fu durissima.
Rispetto al nuovo gruppo dirigente del PCI Stefano prese le distanze, rimanendone staccato per diverso tempo.

Un siciliano
Stefano è stato ed è un’interessante ed affascinante figura di “cinisaro”, senza dubbio ben diverso dalla faccia malandrina e ipocrita che ha caratterizzato un’altra parte del paese. Anticonformista ed estroverso, è stato un artista “incompiuto”, come poeta, come pittore, come musicista.
Può essere identificato in tre attributi: un siciliano, un comunista, un artista.
La “sicilianità” autentica si legge nella forte capacità di accettazione dei drammi dell’esistenza, si coglie nell’intensità del sentire, si tocca nelle caratteristiche morfologiche di un linguaggio arcaico, quasi in disuso, ma che attraversa il quadro della memoria, scavando in un passato legato alla terra, alla povertà, all’amarezza, alla sottomissione imposta con la violenza. E i problemi della gente si fanno politica, diventano voglia di riscatto, stimolo verso la presa di coscienza e il bisogno di liberazione. La sua poesia riesce efficace quando, conservando gli aspetti e i termini più arcaici del dialetto siciliano, diventa strumento di riscatto sociale, sul modello della poesia di Ignazio Buttitta.

Un comunista
Venuti, di ritorno dalla prigionia fondò a Cinisi la sezione del P.C.I. Il 16.08.1946 ritornò dall’Egitto, dove aveva prestato servizio nei reparti inglesi, dopo essere stato ad Asmara, dove aveva preso la tessera del PCI, e dove scriveva, sin da allora in un giornale settimanale locale chiamato “Il Carroccio”. Malgrado le lusinghe mafiose per una sistemazione, aveva fondato a Cinisi la Camera del Lavoro, assieme a Filippo Maniaci, detto “Badduneddu”, di mestiere macellaio, con una forte coscienza proletaria, che già sin dal 1943 aveva dato vita a una piccola sezione del PCI, partito che, alle elezioni del 2.4.1946 aveva ricevuto solo 6 voti. Fu l’anno in cui il bandito Salvatore Giuliano, poco dopo la strage di Portella della Ginestra, nel luglio del 1947 prese d’assalto le sezioni del PCI di Cinisi, Partinico, Carini, Borgetto, San Giuseppe Jato, Monreale. Pochi i danni a Cinisi: porta divelta, un bidone di benzina all’interno e uno scoppio. Il giorno dopo l’attentato Stefano entrò nel bar Palazzolo, punto di ritrovo dei vari mafiosi della zona e, con freddezza, disse: “Avete fatto la vostra bravata? Bene. Ma sappino lor signori che i loro nomi e cognomi sono stati affidati a una precisa persona e che, se mi succedesse qualcosa, saranno consegnati a chi di dovere”. Da allora, malgrado la sera uscisse solo per andare a trovare la fidanzata, non gli successe niente. A seguito delle indagini a Cinisi vennero fermati Cesare Manzella e Tommaso Impastato, detto “don Tumasi”, capomafia riconosciuto del paese, entrambi subito rilasciati, mentre vennero assolti per insufficienza di prove Vito Mazzola e Francesco Paolo Motisi. Stefano continuò il suo lavoro politico e, per quasi mezzo secolo fu il punto di riferimento di un’ideologia nei suoi grandi momenti di affermazione e in quelli della crisi. Conobbe da vicino le articolazioni di una società permeata dalla mafia, dal dolore, dal delitto, dalla corruzione, e diede il suo contributo per la formazione di coscienze libere e con la voglia di costruire una società diversa, come nel caso di Giuseppe Impastato: ai suoi funerali, con voce strozzata, davanti ai cancelli del cimitero, disse: “Peppino, avrei dovuto essere io al tuo posto. Che altri, molti altri, possano continuare sulla tua strada”.

Un artista
Ma dentro il politico vive anche l’artista, capace di trasferire in immagini e parole il suo vissuto interiore e i suoi rapporti con i temi dell’esistenza sommersi. Venuti è stato anche un ottimo pittore, regionalmente apprezzato per il suo forte realismo e per la capacità di suggerire con il colore e con le forme, passione, nostalgia, miti aspetti della natura e della storia del suo paese e dimensioni lontane, cancellate dall’avanzare di una storia diversa da quella presente nel suo vissuto. E con l’artista convive il poeta che dipinge con la parola e attraversa amori e dolori di una vita sedimentata dall’esperienza e drammatizzata dall’incalzare del tempo.

Stefano non ha fatto a tempo a vedere pubblicate queste sue poesie: me ne aveva dato la raccolta dattiloscritta, pregandomene di “sistemarle”, qualche mese prima della sua scomparsa e da allora mi ero quasi scordato dell’impegno preso, sino a quando non ho deciso di “metterci mano”, digitalizzandone e concordandone con la sua famiglia la pubblicazione, con la speranza e l’augurio di lasciare al suo e al mio paese una traccia delle sue idee, dei suoi dolori, dei suoi sentimenti, del suo impegno, della sua arte, del suo linguaggio.

COSCIENTE

Sento su di me gli occhi del mafioso
torvi, truci, crudeli.
A lungo mi seguono, alle spalle
quando sereno lentamente m’avvio
per la strada consueta.
So di essere la vittima predestinata.
So che il sacrificio è utile alla mia gente
perchè si svegli dal suo lungo sonno
e sappia di vivere nel secolo ventesimo.
Sento gli sguardi buoni dei lavoratori
seguirmi pietosi, ammirati, a lungo…
E quelli dei borghesi benpensanti
ironici, cattivi, attoniti.
So di essere la vittima cosciente.
Liberamente ho scelto la mia strada.
Senza iattanza accetto il sacrificio
indispensabile al risveglio dei lavoratori.
Sono sereno. Sorrido all’avvenire

 

LA STRATA GIUSTA

Quannu a la scurata t’arricampi,
lu saccuneddu musciu nntra la spadda
e Iu zappuni ncoddu,
vurria sapiri pirchì porti l’occhi ‘nterra
e fai li passi pisanti a strascinuni.
A chi pensi, pirchi ti vriogni?
Pensi forsi ca la jurnata a statu longa?
O chi ai arrubbatu milli liri a lu patruni?
Ddi milli liri ca un t’abbastanu a paàri 1u scarparu,
lu pani e la putia e lu varberi, lu libru pri la scola,
lu lueri di la casa, li rubbiceddi ai picciriddi?
E ti vriogni… Forsi pirchi si chinu di suduri,
hai li scarpi rutti e la vucca ti feti di cipudda,
lu cumpanaggiu chi manciasti all’antu?
Zittuti, lassa ca parru iu a 1u to’ postu:
La to vriogna è fatta di rancuri
contru tia stissu e contru lu to cetu”.
C’è na cosa ca ti muzzica lu cori
e un ti duna paci…
Pri tant’anni la cuscenza arrisbigghiata
fici un lustriceddu di spiranza:
ma ti scurdasti ca la lampa mori
si ‘un ci metti l’ogghiu pri alimentu:
li cumpagni a la cammara di lu lavuru
ti l’annu sempri dittu e ripitutu:
si vo truvari paci ‘nta la casa,
si la cuscenza vo teniri tranquilla;
si pritenni rispettu pri la to pirsuna
e si la dignità vo lassari ntatta,
‘nsignati ca la castagna di la braci ardenti
cu li to manu stissi l’ha pigghiari
senza aviri scantu di lu focu.
‘N ti scurdari mai ca ‘un si sulu,
nzemmula cu tia sunnu miliuna
li cumpagni lavuratura di lu munnu!
Talia davanti,
‘ntra sta fudda d’omini chi lotta
“Unità” c’è scrittu nta la bannera russa
chi svintulia a la to testa. Isa lu vrazzu,
Strinci lu pugnu e grida puru tu,
Vinni lu iornu!!!!

1957

Foto di copertina: comizio di Stefano Venuti. Probabile data 1966. Peppino Impastato, il secondo da destra

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