Stagione olearia: poca resa e prezzi raddoppiati.  

 

Niente olio quest’anno. A seguito di una serie di condizioni atmosferiche sfavorevoli, iniziate al momento della fioritura, della mancata impollinazione, e del successivo concentrarsi di una serie di malattie, dall’occhio di pavone alla tignola, alla mosca olearia, alla cocciniglia, alla fumaggine, alla rogna,  la produzione è crollata ai minimi storici, rispetto agli ultimi quarant’anni: le poche olive arrivate a maturazione sono finite per terra e il prodotto finale è poco commerciabile. Si calcola, anche se siamo solo all’inizio della stagione, rispetto allo scorso anno,  una riduzione, dal 70 all’80%, calo che varia poco tra le regioni italiane. L’anno scorso è stata un’annata eccellente, sia per la qualità che per la quantità di olio prodotto, con  alberi stracarichi e con buona parte delle olive rimaste attaccate all’albero. Bisognerà pertanto accontentarsi dell’olio avanzato lo scorso anno, considerato, soprattutto, che, rispetto ai passati 4/5 euro a litro, quest’anno il prezzo è raddoppiato e si parte dagli 8 euro in su.  Si  parla di  olio extravergine, uscito dal frantoio o comprato lì stesso. Anche la resa è di gran lunga ridotta. A riequilibrare le cose, si fa per dire, e danneggiando i produttori italiani, è stato giorni fa denunciato al Parlamento Europeo, dal deputato pentastellato Corrao, l’arrivo di 1500 tonnellate di olio tunisino, esente da dazio. Ma si tratta anche qua di un episodio che si associa a una serie di altri arrivi quasi giornalieri: naturalmente non c’è storia né gara con quest’olio, che ha costi di produzione, di lavorazione di gran lunga minori rispetto a quelli italiani, incalzati anche dalla concorrenza dell’olio greco e di quello spagnolo. Molto c’è da eccepire anche sulla qualità di  olio definito, nell’etichetta  extravergine e, in realtà di infima qualità, ma questa è una vecchia malattia che caratterizza anche alcuni noti produttori italiani, i quali rendono miracolosamente italiano l’olio prodotto altrove, con realizzo di guadagni superiore a quelli della produzione locale.olive

 

Esistono un linguaggio e una serie di termini, che variano da una regione all’altra, con diverse unità di misura ereditate nei secoli, che vanno oltre le attuali semplici misurazioni in litri e decalitri. In alcuni paesi siciliani è ancora in uso “u cafisu”, ovvero un grande boccale di circa 10 litri, la cui capienza variava da un comune all’altro. In altri ancora si preferisce la vendita a peso, considerata la differenza che esiste tra un chilo e un litro e la capacità dell’olio di allargarsi o di restringersi , e quindi di aumentare o diminuire di volume, in rapporto alle condizioni climatiche.

Quello di stabilire come e quanto “ietta”, l’oliva, ovvero la resa, è un calcolo che varia anche in rapporto ai paesi del circondario. Premesso che, nel rapporto peso-olio il peso delle olive è in chili, mentre quello dell’olio è in litri, e che c’è quindi una differenza che non viene calcolata, in diverse zone della Sicilia la media è fatta sulla base del “sacco di macina”, che è di 33 chili: tre sacchi corrispondono a cento chili. Se cento chili di olio rendono in media 15 litri di olio, l’oliva “ietta” a cinque, cioè cinque litri per ogni sacco da 33 chili. Oggi più sbrigativamente ci si ferma alla percentuale di resa per ogni 100 chili. La resa si aggira dal 12 al 22% e dipende da molti fattori, essenzialmente dal grado di maturazione delle olive, dal tipo di oliva, dal tipo di terreno in cui cresce l’albero, dalla potatura, da eventuali irrigazioni, concimazioni, aratura e trattamenti di disinfestazione. Sono ancora pochi i comuni in cui esiste un’anagrafe dell’olio, e che si preoccupano di calcolare la quantità d’olio realizzata sommando quanto molito dai vari frantoi della zona.

 

Un buon olio si valuta dalla maggiore o minore intensità, data da tre elementi base, il fruttato ovvero il profumo, l’amaro e il piccante. C’è gente che giudica sbrigativamente in modo negativo un olio che pizzica il palato o brucia un po’ la lingua, ma si tratta di inesperti che pretendono di sapere e ai quali si può vendere, con loro grande soddisfazione, un olio scarso e magari “miscatu”, cioè con aggiunta di olio di semi o di olio vecchio.

Si tenga presente che il colore è del tutto ininfluente nel valutare la qualità, perché esso cambia costantemente, (olio verde chiaro, giallo, verde scuro, marrone ecc.) sia in rapporto alla luce, che alla conservazione, che alla contrada di provenienza: anche la densità  non è fondamentale: ci sono oli ben sedimentati, con la morca che, dopo qualche mese si deposita  sul fondo e che bisogna togliere travasando, e oli con  trascurabili residui di molitura, che alcuni preferiscono mantenere.

 

Olive sane, molitura accurata e conservazione sono i tre elementi che qualificano l’olio: la conservazione è affidata anch’essa a tre elementi di base, l’aria, la luce e il calore. L’aria è nemica dell’olio, ne disperde il profumo e ne modifica il sapore: è preferibile conservare l’olio in bidoni d’acciaio che abbiano un rubinetto nella parte inferiore, in modo che, al momento del trasferimento in bottiglia non si introduca aria nel contenitore, ma è anche importante preservare l’olio al buio, lontano da fonti di luce e di calore, tenuto conto che la temperatura ideale non dovrebbe scendere sotto i cinque gradi né andare oltre i 25.

 

Non ci inoltreremo su note tecniche legate alla presenza di polifenoli e alle varietà di alberi di olivo presenti sul territorio: senza dubbio il re degli ulivi è il cerasuolo. Una nota merita anche il tipo di potatura: nel trapanese è tipica la potatura bassa, in modo da facilitare la raccolta.

Un buon olio extravergine di oliva non deve avere più dello 0,8 di acidità e la qualità dell’olio va anche valutata sulla base di questo elemento, a partire dal tasso minimo, che è dello 0,2, proprietà di un olio leggerissimo che non dovrebbe causare disturbi di alcun tipo, ma solo vantaggi nutritivi e degustativi. L’olio vergine ha, come quello extravergine un grado di acidità valutabile dallo 0,8 a due gradi, il resto è da rettificare, cioè da affidare a macchinari che sono in grado di far diventare appetibile, colorato e profumato anche l’olio più “fitusu”.

Comunque , malgrado la scarsità non si può rinunciare a gustare la “muffuletta caura cunsata cu l’ogghiu appena nisciutu r’a macina”. (schiacciata calda condita con olio appena uscito dal frantoio), magari con un pizzico di sale e pepe: Una delle  meraviglie della natura.

 

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