La Sicilia è la regione più povera d’Europa

L’Italia, tra i Paesi di cui sono disponibili i dati per il 2017,con il 12,2% è in quarta posizione per lavoratori poveri. Ci superano soltanto la Romania (col 17,4% di poveri tra gli adulti over 18 occupati), la Spagna, col 13,1%, e la Grecia a quota 12,9%. Ma a differenza di questi Paesi l’Italia è l’unica nazione europea in cui la percentuale delle persone povere è in crescita costante da anni: nel 2016 eravamo all’11,7%, mezzo punto sotto il dato del 2017, pari al 12,2%. La statistica si basa è stata fatta dalla banca dati della Commissione europea, ma quel che è più triste è il dato del 52,1 %, con il quale  la Sicilia detiene il record delle persone povere o a rischio povertà.  Possono lasciare perplessità gli indicatori con cui, secondo la ricerca, viene individuato il rischio povertà, ovvero difficoltà nel pagare le bollette o l’affitto, mantenere la casa riscaldata, mangiare carne o pesce almeno ogni 2 giorni, possedere un’automobile, possedere una lavatrice , un telefono, un televisore a colori, affrontare spese impreviste, potersi permettere una vacanza di una settimana lontano da casa. Alcune zone “povere “ della Sicilia superano anche quelle di regioni della Bulgaria, della Grecia, della Romania. Insomma, siamo nell’ultimo gradino e la sconsolante prospettiva è quella che i dati sono in costante aumento anno dopo anno. Già aver casa è un sogno lontano, ma, ancor di più avere una casa riscaldata d’inverno, per non parlare della costante difficoltà del mettere qualcosa a tavola, del poter disporre di qualcosa da mangiare e qualche vestito per coprirsi. Altro che vacanze o carne e pesce ogni due giorni.

Nel rapporto dell’Istat ‘Noi Italia’, con rilevamenti del 2016, si evidenzia la situazione di disagio sociale in alcune Regioni del Sud, come Sicilia (26,1%) e Campania (25,9%). La percentuale al Sud del livello di povertà ha un valore del 21,2%, pari a quasi 4,5 milioni di persone. E’ quasi il triplo di quello del Centro-Nord (7,3%, poco meno di 3 milioni). In Sicilia la condizione di povertà interessa il  41,8% della popolazione e il reddito familiare è il più basso non solo dell’Italia, ma dell’Europa, un  terzo dei giovani tra 15-24 anni (il 31,9%) non studia né lavora. In tutto questo il grosso rischio che può comportare il reddito di cittadinanza, che poi è un’estensione del  vigente reddito d’inclusione, è quello di lasciare una regione povera e “assistita”, senza creare le basi che trasformino l’assistenza in retribuzione da lavoro. E’ un rischio che riguarda non solo i disoccupati, ma tutti gli assistiti con fondi statali o regionali, compresi i migranti: non ci sarebbe niente di male o di strano se la cifra che costa ognuna di queste categorie diventasse salario per qualsiasi tipo di lavoro, perchè che non è vero che non c’è lavoro: basta guardarsi per trovarne tanto, dalla risistemazione di una viabilità colabrodo, alla raccolta dei rifiuti, alla coltivazione delle campagne abbandonate, alla messa in sicurezza delle scuole e di tutti gli edifici pubblici, alla sistemazione delle aree con gravi problemi di dissesto geologico, alla ripresa della pesca con metodi più moderni,  al supporto del personale carente negli uffici, ad un’accoglienza turistica che non veda nell’ospite il pollo da spennare, e a tutto quanto si può facilmente trovare in un Sud abbandonato e, in particolare, nella regione più povera d’Europa, la Sicilia. Naturalmente chiedendo e usando razionalmente anche i fondi della Comunità Europea, che spesso non si sanno nemmeno spendere.

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