In ricordo di Leonardo Lo Bianco

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Lo Bianco copertina Nel 13° anniversario della sua scomparsa (30.3.2009) ecco un ricordo di Leonardo Lo Bianco.

Nato a Partinico il 16.5.1913 e laureatosi all’Università di Palermo in Lettere Classiche,  fu considerato uno dei maggiori esperti e conoscitori della letteratura italiana, latina e greca. Durante la seconda guerra mondiale venne arrestato dagli inglesi e costretto a vivere, per sette anni, in un campo di prigionia in India. Al ritorno, nel 1946 entrò nel PSI e diede vita a Partinico, a una notevole esperienza politica d’opposizione come consigliere comunale a Partinico, per circa un ventennio  e, nel 1963, fu anche candidato al senato, dove non venne eletto per pochi voti. In quegli anni questo partito era vicino alle lotte dei contadini e dei lavoratori, soprattutto per la costruzione della diga sullo Jato.  Dal 1959 al 1963 fu Preside al Liceo Classico Garibaldi di Partinico, successivamente si trasferì a Palermo, sino al suo collocamento a riposo. Nel 1964, con la scissione nel PSI, di cui una parte scelse di entrare nel governo di centro-sinistra, aderì al PSIUP, che accoglieva quei socialisti rimasti più vicini all’ideologia marxista:  dopo la scomparsa di questo partito, fondò e diresse a Palermo la sezione siciliana della CGIL scuola.   Il prof.  Nanà Lo Bianco ha lasciato un grande ricordo di persona onesta, di altissima levatura morale e di grandissima cultura: un forte segnale, per intere generazioni di giovani che ancora lo ricordano con affetto.

Nel ricordo di questo personaggio sabato 2 aprile, alle ore 17,30, presso la Sala Gianì, a Partinico, sarà presentato il libro “Vita, scritti, testimonianze”, curato dal prof. Salvo Vitale e pubblicato dall’editore Billeci di Borgetto, che riporta una serie di notizie biografiche, alcune poesie e altre considerazioni sulla critica letteraria italiana della prima metà del 900, assieme a molte foto che documentano momenti dell’esistenza di quest’uomo. Per iniziativa della famiglia e di un gruppo di cittadini sarà inoltrata ai Commissari una richiesta d’intitolazione di una  al libro, che riporto interamente, parlo dei miei ricordi del prof. Lo Bianco e, nelle pagine successive  pubblico i  pochi suoi scritti, del tutto inediti, che è stato possibile reperire. Non è stato facile curare questo libro su Lo Bianco.  Troppo tempo è passato dalla sua scomparsa di scena, specialmente nel suo paese,  Partinico, e sono quasi tutti morti i testimoni che lo hanno conosciuto direttamente e hanno condiviso con lui esperienze politiche e/o scolastiche.

Al Liceo

Lo conobbi quando mi iscrissi al Liceo Classico Garibaldi di Partinico, nel 1958, nel suo incarico di Preside. Non è che ci fossero molti contatti  con gli alunni. Gran parte delle attività nella gestione della scuola erano svolte dal vicepreside prof. Ferdinando Santangelo, suo stretto amico e compagno di fede socialista: è stato colui che mi ha trasmesso l’amore per lo studio della filosofia e della storia.

Lo andai a trovare una volta in presidenza: avevamo una professoressa di latino e greco la cui ignoranza era abissale: ci assegnava le versioni di cui era in possesso della traduzione e, nel correggerle, si atteneva scrupolosamente al suo testo tradotto. In una versione mi segnò  come errore blu la mia provocatoria traduzione di “Oi Athenaioi” come “i cittadini di Atene”, e non come “gli Ateniesi”. La cosa mi portò a protestare in Presidenza. Lo Bianco mi suggerì di mettere per iscritto le nostre proteste, cosa che sottoscrivemmo tutta la classe. Un giorno venne in classe un tizio ad assistere a una lezione di greco. Dopo due mesi la docente venne trasferita e non se ne seppe più nulla. Oddio, non è che ci avessimo guadagnato molto nel cambio: ne arrivò una che era un po’ sorda e assorta nel suo mondo di  classicità, verso il quale non era capace di trasmetterci amore e conoscenza. Nel mio ultimo anno di Liceo entrò, al primo anno, un gruppo di ragazzi di Cinisi, tra i quali Peppino Impastato.

Reincontro

Ho rivisto Lo Bianco nel 1995, allorchè mia suocera mi chiese di accompagnarla in via De Blasi, a Palermo, per andare a visitare “zio Nanà”, con il quale aveva uno stretto rapporto di parentela e di affetto. Da allora l’ho continuato a rivedere, sino al festeggiamento dei suoi 90 anni, quando ormai, costretto su una sedia a rotelle e assistito da una badante, sembrava vivere solo in attesa della morte.

Incontrarsi con lui era sempre un momento di scambio e di arricchimento culturale. Ce l’aveva con Berlusconi, che riteneva un opportunista rozzo e spregiudicato, d’accordo con la mafia, ma amava  citare poeti, tra i quali Leopardi e il suo amato Dante.

Guido da Montefeltro

E a proposito di Dante ricordo con quale perizia ci raccontava le vicende di Guido Da Montefeltro, il consigliere fraudolento dell’VIII bolgia dell’Inferno: abile condottiero, senza scrupoli  ed acuto uomo politico, in un certo momento si pentì dei suoi trascorsi e indossò l’abito francescano. Bonifacio VIII, non riuscendo ad espugnare Palestrina, roccaforte dei suoi nemici, i Colonna, si recò nel suo convento per chiedergli un consiglio e gli promise in anticipo l’assoluzione. Dopo qualche perplessità Guido, convinto dalla promessa, diede il suo consiglio: promettere il perdono agli assediati e poi non mantenere la promessa: “lunga promessa con l’attender corto – ti farà triunfar ne l’alto seggio”.

Così fece Bonifacio, che rase al suolo la città.   Alla morte di Guido si presentarono un diavolo e San Francesco per rivendicarne l’anima, ma alla fine la spuntò il diavolo con questa sottile argomentazione:

“ch’assolver non si può chi non si pente

né pentere e volere insieme possi

per la contraddizion che nol consente

 

ohi me dolente! Come mi riscossi

quando mi prese dicendomi: “Forse

tu non pensavi ch’io loico fossi”

Il diavolo “loico”, logico, esperto in logica, lo faceva sorridere tanto quanto la contraddizione del pentimento prima di aver commesso il peccato.

La valigetta

Quando espressi la mia intenzione di scrivere qualcosa, per lasciare un concreto ricordo di quest’uomo, al figlio Gino questi mi portò, quasi una reliquia,  una valigetta in cui era scrupolosamente conservato tutto ciò che riguardava la vita di suo padre, dai documenti del servizio militare, a quelli della prigionia, alle tessere del P.S.I., scrupolosamente ordinate anno dopo anno, dal 1949 al 1963. L’ultima tessera del 1964 era quella del PSIUP, con la scritta “Fedeltà al socialismo”.

C’erano anche quattro quaderni di appunti scritti a mano, con la penna stilografica, ingialliti e di difficile decifrazione, sui quali mi sono ostinato a lavorare, anche con la lente d’ingrandimento, per trascriverli e digitalizzarli.  Un quaderno in copertina riportava la scritta “Nugae”, cioè sciocchezze, leggerezze, stesso vocabolo usato da Catullo per definire i suoi versi, e comprendeva cinque poesie, una delle quali portava la data 1944, e un appunto autobiografico del 1947.  C’erano altri scritti. databili tutti negli anni ’40 e un corposo quaderno di appunti e note sull’opera di Luigi Russo “La critica letteraria in Italia” : sicuramente la bozza di un libro al quale, si era messo a lavorare nel 1945: spesso si tratta di appunti, quasi una scaletta di lavoro, da cui traspare una grande conoscenza delle principali tendenze e dei problemi dell’estetica italiana contemporanea. Numerose altre fotografie rappresentavano momenti delle attività politiche e momenti scolastici e personali.

 La prigionia3

La ricostruzione dei momenti di vita di Lo Bianco non è stata facile, dato il suo riservato modo di comportarsi e la sua identità di persona seria, dignitosa, coerente, colta, schiva della ricerca di popolarità che tanto oggi caratterizza tanti personaggi.  Dei suoi sei anni di prigionia in India non si sa niente: pare che, dato il suo ruolo di ufficiale, avesse un trattamento di rispetto e non fosse costretto a subire tutte le tremende abitudini dei campi di concentramento. Di fatto contrasse alcuni disturbi di tipo neurastenico che al ritorno vennero certificate in alcune visite mediche militari, sino all’atto del congedo.

 L’attività politica

Inizia la sua carriera politica in un momento in cui a Partinico e nel suo territorio circostante dilagano miseria, mancanza di igiene, povertà, carenze irrigue, problemi di abitazione, carenza di mezzi di lavoro e difficoltà nel condurre l’attività agricola che caratterizza l’economia del paese. Nel sottobosco politico si muovono forze diverse che vanno dal ritrovato risveglio delle forze antifasciste, soprattutto nei partiti di sinistra, grazie all’opera di sindacalisti come Cola Geraci e Turi Termine, all’indipendentismo nelle sue espressioni di sinistra rappresentate da Varvaro e da Bacchi e in quelle di destra legate alla figura di “Mariannina”, la sorella del bandito Giuliano, promosso generale dell’Evis. Sono gli anni della strage di Portella (’47), di quella di Partinico, in cui perdono la vita Giuseppe Casarrubbea e Francesco Lo Jacono, ma sono anche gli anni in cui i fascisti di una volta cambiano casacca e si ricompattano sotto l’ala della D.C e dei partiti centristi dopo la fine del governo di unità nazionale (maggio ‘47), preludio della grande vittoria democristiana nelle elezioni del 18 aprile 1948.

A destra stanno anche i nostalgici del fascio, tra i quali eccellenti persone come il prof. Bonnì, in un pianeta in cui ruotano Santi Savarino, giornalista firmatario delle leggi razziali, diventato senatore democristiano grazie all’appoggio di Frank Coppola (documentato dalla corrispondenza tra i due, agli atti della Commissione Antimafia), e poi non rieletto nelle successive elezioni, alle quali si era presentato come indipendente nell’MSI.

In mezzo ci sono le lotte per la costruzione della Diga sullo Jato, gli interventi di Danilo Dolci, la parallela e sapiente costruzione clientelare del consenso attorno alla D.C. dei vari Avellone, Chimenti e dei loro referenti regionali e nazionali, come Mattarella, Lima, Restivo ecc.

Lo Bianco va avanti nel suo duplice ruolo di docente e di consigliere comunale per vent’anni e il fatto che sia costantemente rieletto dimostra come a Partinico c’è gente che apprezza il suo lavoro e gli dà il consenso. Nel PSI non è solo: con lui lavorano compagni “mitici”, espressione della sinistra locale, come Matteo Provenzano, Filippo Fiorino, Agostino La Franca, Vincenzo Borruso, gli indipendentisti  Bacchi e Varvaro, i comunisti Vincenzo Fedele, Pino Cipolla, e giovani che lo hanno conosciuto al Liceo, cito fra tutti Masetto Aiello, Toti Costanzo, Nino Cinquemani e Giuseppe Casarrubea.

Nel 1963 è candidato al Senato e non viene eletto per una manciata di voti: è una campagna elettorale che egli affronta da solo, senza l’appoggio dei dirigenti ufficiali del partito. Nello stesso anno decide di trasferirsi a Palermo con la famiglia, avendo chiesto e ottenuto il trasferimento al Liceo Vittorio Emanuele.

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L’anno dopo si ritrova a fare i conti con la scissione nata nel PSI a seguito della scelta di quest’ultimo partito di dar vita ai governi di centro-sinistra. Nasce il PSIUP, composto da quel gruppo di “socialisti autentici” che avevano in mente un modello di società diversa e non accettavano la collaborazione con la D.C. perno del sistema capitalistico-mafioso. E’ il partito cui aderisce l’ala più coerente della sinistra italiana, da Vittorio Foa a Lelio Basso, ad Emilio Lussu, a Pino Ferraris e, per restare nelle nostre parti, a Peppino Impastato. Lo Bianco ha un rapporto di stretta amicizia e collaborazione con Riccardo Lombardi, leader dell’ala sinistra del PSI e direttore dell’Avanti sino al 21 luglio 1964, anno in cui si dimette non approvando la scelta del centrosinistra. L’ala filogovernativa trova a Partinico la sua espressione in Filippo Fiorino e non è difficile pensare che tra i due ci siano stati dissensi, sino ad arrivare alla rottura. Del resto c’era alla base una concezione del tutto diversa di concepire il ruolo di uomo politico al servizio della cosa pubblica.

Le dimissioni

Lo Bianco resiste per altri tre anni, sino a quando, nel 1967 non decide di abbandonare l’esperienza partinicese e riservare la sua attività a Palermo. Memorabile la sua lettera, di cui più avanti si riporta il testo, in quel consiglio comunale dell’11 luglio 1967, in cui era presente il meglio della politica locale, Giuseppe Blanda, Giuseppe Avellone, Michele Chimenti, Vito Di Trapani, Angelo Geraci, Giuseppe Lombardo, Salvatore Magro, Felice Marrocco, Nicolò Serretta, Giuseppe Settimo, G.Battista Sollena, Salvatore Governanti, Antonino Parrino, Francesco Serra, Salvatore Termine, Salvatore Bonnì, Lorenzo Geraci, Filippo Fiorino e Francesco Di Trapani: assente Vincenzo Fedele, che fece pervenire una lettera di apprezzamento. In città ritorna all’attività didattica, sino al suo collocamento a riposo, senza dimenticare l’impegno civile con la fondazione della  sezione cittadina della CGIL scuola.

                                                                   Salvo Vitale

 

 

 

 

 

 

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