Il sistema Saguto

I siciliani

Il sistema “Saguto”

Uno degli amministratori giudiziari incaricati da Silvana Saguto , di gestire uno dei  beni sequestrati alla mafia, ha detto ai magistrati nisseni che si stanno occupando dello scandalo scoppiato all’Ufficio Misure di prevenzione del tribunale di Palermo,  che “Silvana Saguto intratteneva rapporti esclusivi con le persone che le interessavano e agiva secondo un modulo a margherita, ossia senza vi fosse alcuna interferenza tra i rapporti che facevano capo a lei….i era al centro dei rapporti e da lei si dipartivano petali e raggi, non comunicanti tra loro, rappresentati da professionisti, amministratori giudiziari, colleghi, cancellieri, ufficiali di polizia giudiziaria, rappresentanti del mondo universitario e giornalisti, dai quali la stessa traeva vantaggi e utilità di varia natura”. Sinora gli indagati sono 20, ma proprio il loro numero e la complessità di ciò che vi ruota attorno lascia intravedere invece un sistema di vasi comunicanti e un reticolo di relazioni tipiche dei tanti segmenti del potere, nel nostro caso interne alla magistratura.

L’ascesa

Ricostruiamo alcuni passaggi della “resistibile” ascesa della Saguto,  presidente dell’Ufficio misure di prevenzione del tribunale di Palermo dal 2010 al settembre del 2015, quando è scoppiata la bomba che ha travolto il complesso sistema da lei pazientemente messo in piedi e denunciato, a partire dal 2013 da Telejato. Nata a Palermo il 24 luglio 1955 è vissuta all’ombra delle grandi figure di Falcone, di cui si vantava di essere stata alunna ed erede, di Borsellino, di Chinnici, di Caponnetto e di Caselli, che una volta la definì “la signora più potente di Palermo”. La troviamo, sempre all’interno dell’Ufficio misure di prevenzione, nel 1987 come giudice a latere, presidente Salvatore Sanfilippo, un magistrato che finirà nei guai, (trasferimento, radiazione dall’albo, proposta di sequestro dei beni) per due bidoni d’olio. Fondamentale al processo la deposizione di Silvana Saguto, che sostenne che sostenendo che non si interessava del suo ruolo e che riceveva nel suo ufficio “strani individui”.

 

Il procedimento per ritardi

Il  nome della Saguto si trova in una relazione dell’Ispettorato generale del 9 luglio  2005 per la segnalazione di ritardi nel deposito di provvedimenti, con proposta di azione disciplinare nei confronti. Ritenendo che i ritardi ascrivibili a Silvana Saguto avessero “superato per quantità e durata i limiti della ragionevolezza”, l’Ispettorato proponeva un’azione disciplinare a suo carico per “l’illecito disciplinare ….perché, nella sua qualità di magistrato in servizio presso il Tribunale di Palermo, mancando ai propri doveri di diligenza e laboriosità, ritardava in modo reiterato, grave e ingiustificato, nel periodo novembre 2003-novembre 2010 il deposito di 184 sentenze penale presso il Tribunale di Palermo, con ritardi che in due casi superavano i 1000 giorni, in sei  900 giorni, in otto gli 800, in nove 700, in otto 600, in trentasette 500 ed in ventuno 400. Con una incidenza percentuale dei ritardi sul lavoro svolto pari a circa il 40%”. La nota della Direzione generale magistrati trasmessa il 3 gennaio 2012 , conteneva una proposta di archiviazione di tutte le posizioni dei magistrati per i quali erano stati rilevati ritardi, inclusa Silvana Saguto. Tutto a posto: la proposta venne accolta e la pratica archiviata.

Pignatone

Su questa vicenda, rispetto alla quale Telejato ha ipotizzato un ruolo intermediario del giudice Virga, ne sappiamo di più da un’intercettazione del 13 settembre 2015, qualche giorno dopo lo scoppio della “bomba”, ovvero dell’apertura delle indagini nei confronti della Saguto, quando costei chiamava al telefono Giuseppe Pignatone, già suo collega e adesso Procuratore di Roma, chiedendogli di suggerirgli  un collega che avrebbe potuto difenderla  (“tu ci devi cominciare a pensare, tu sei il mio referente, mi devi dire chi devo prendere, chi non devo prendere, che devo fare, tutto tu mi devi dire”). Chiedeva, inoltre, di indicargli un difensore “un poco carismatico”, perché, in occasione del procedimento per i ritardi nei depositi delle sentenze, Francesco Lo Voi le aveva suggerito un collega “che era un poco moscio” (“quando non ci fu il procedimento disciplinare, ma io avevo i ritardi, mi diedero quello… Franco Lo Voi mi diede quello che non mi ricordo manco come si chiamava di M.I. che era un poco moscio, poi andò bene perché andò bene, ma mi sono autodifesa praticamente”). Pignatone risponde che bisogna aspettare una comunicazione e trovare “qualcuno della Cassazione”.

Lo Voi

Interpellato dai giudici di Caltanissetta, nel 2015 che volevano vederci meglio,  il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi “riferiva di conoscere Silvana Saguto da prima del suo ingresso in magistratura e di avere intrattenuto con lei buoni rapporti, anche di frequentazione, improntati alla cordialità, ma che, negli ultimi anni, i loro rapporti personali si erano “raffreddati sino a scomparire del tutto”. Lo Voi dichiarava di essere stato componente del C,S.M dal 31 luglio 2002 al 31 luglio 2006, e ricordava che, negli anni 2003- 2004, Silvana Saguto aveva avuto un procedimento disciplinare per i ritardi nei depositi delle sentenze che doveva essersi concluso con una richiesta di proscioglimento da parte del Procuratore Generale della Cassazione, provvedimento successivamente esaminato dalla sezione disciplinare del CSM. Silvana Saguto – continuava Lo Voi, che specificava di non essere stato parte della sezione disciplinare, perché diversamente si sarebbe astenuto anche solo dal trattare l’argomento – si era rivolta a lui per avere un’indicazione su un difensore che la potesse assistere nella fase istruttoria innanzi al Procuratore Generale e lui, dopo avere chiesto ad alcuni colleghi romani, le aveva indicato il nome di Stefano Schirò. […]orientativamente direi il 2003 o il 2004, qualcosa del genere, la dottoressa Saguto ebbe un procedimento disciplinare, perché i ritardi danno luogo a procedimento disciplinare che  forse si concluse con una richiesta… sto deducendo, eh? di archiviazione”.

 

Virga

La figura e il ruolo di Virga è fondamentale per individuare alcune trame della rete di protezione dietro la quale agiva la Saguto. Il 30 ottobre 2013, a seguito delle denunce del prefetto Caruso, responsabile dell’Agenzia dei beni confiscati e sequestrati, fatte alla Commissione Antimafia e a seguito delle inchieste fatte da Telejato, si apre il sipario sull’operato dell’Ufficio,  i magistrati in servizio presso la Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo Silvana Saguto, Fabio Licata, Lorenzo Chiaramonte e Claudia Rosini chiedono un intervento a tutela della loro attività, a fronte di quella che essi chiamano ” campagna di denigrazione e delegittimazione dell’operato della sezione e del suo Presidente, svolta attraverso alcuni servizi giornalistici e televisivi”. Nell’ambito di questa procedura, il 20 dicembre 2013, una delegazione del CSM, composta tra gli altri anche da Tommaso Virga, che si è adoperato per questo incontro, si reca a Palermo, incontra i magistrati in questione e il 6 febbraio 2014, propone l’archiviazione motivata con l’insussistenza dei presupposti per l’avvio della procedura a tutela del prestigio e dell’indipendente esercizio della giurisdizione. Non contento di ciò Virga accompagna la Saguto presso il sottosegretario Ferri, riferendogli falsamente che la Saguto gli aveva chiesto un incontro. Ferri  gli promette di riceverla, ma l’incontro non ha luogo. Lo stesso Virga il giorno dopo si reca presso il suo amico Claudio Galoppi, componente del CSM , uno di quelli che avevano votato favorevolmente alla nomina di Lo Voi. Il rapporto con Virga è segnalato anche dall’audizione dell’autista della Saguto Achille De Martino:”Tommaso Virga si sta occupando della mia… mi sta…” Diciamo, non so… la parola “aiutando” non me la ricordo, però che comunque ci fosse un interesse, ecco, questo me lo ricordo, che lei diceva che c’era un interessamento di Tommaso Virga per questa sua nomina”.

Il giornalista Sottosanti ha riferito ai giudici che Tommaso Virga, nelle funzioni di presidente della Sezione Volontaria Giurisdizione del Tribunale di Palermo, nell’aprile 2006 – ossia circa un anno prima che il figlio concludesse il dottorato di ricerca – aveva nominato proprio Luca Nivarra, ossia il professore di suo figlio, come amministratore del patrimonio immobiliare che faceva capo a Baldassare Sapuppo; che Nivarra, per l’espletamento dell’incarico, dal 21 aprile 2006 al 27 febbraio 2014, data in cui rassegnava le dimissioni, aveva ottenuto compensi per un importo complessivo di quasi 100.000 euro.

 Ancora Pignatone

Anche lo stretto rapporto con il procuratore di Roma Pignatone e con il prefetto di Palermo Francesca Cannizzo viene confermato da questa intercettazione del  17.05.2015: “Sono le solite cose vecchie di due…dell’anno passato che sono state già risolte dalla Bindi non è accaduto null’altro di nuovo, nessuno né ha dato incarichi a Cappellano né, tantomeno, a mio marito che non ne ha completamente, manco mezzo, per errore, con Cappellano e con nessuno, io più di non fare niente non posso fare, oltre che le nomine di tutti (incomprensibile). Adesso siamo arrivati non so a quanti nominati di soggetti perché abbiamo un mare di sequestri, abbiamo un mare di amministratori nuovi che il Signore ce la mandi buona perché non facciamo manco più a due a due gli incarichi, ad uno ad uno, veramente e c’è gente che ha un solo incarico”. La Saguto comunica a Pignatone che c’è il Prefetto disponibile a rilasciare un’intervista in suo favore ed a parlare con Scarpinato “a fare uscire insomma le minacce varie che andiamo ricevendo ogni minuto e poi mi hanno ribadito il concetto che quello è sotto inchiesta, Maniaci, perché l’ispiratore lui è”. Pignatone ritiene “che lui solo sia l’ispiratore mi sembra impossibile'”. Nel corso della telefonata, la Saguto afferma “veramente, Giuseppe, non ho più che cosa dire, che cosa fare, più di come mi sono mossa, più di non avere fatto assolutamente nulla con l’anno passato, se non una popolazione di sequestri nuovi mai dati a Cappellano né ad altri di quelli storici ma sempre a persone nuove, io più di questo non posso fare” e che andrà a parlare con Scarpinato “e ci faccio parlare il Prefetto perché sono molto amici”. Pignatone  consiglia di predisporre una “relazione” in cui evidenziare come siano stati nominati vari amministratori giudiziari.”  (dalla sentenza di sequestro dei beni della Saguto)

Ferri

Il 2010 è per la Saguto l’anno del grande salto. Con voto unanime il CSM la designa alla presidenza di sezione del tribunale di Palermo, vacante dal 2008 e in precedenza occupato da Cesare Vincenti. La proposta era stata formulata nel marzo 2010 (quindi nel corso della consiliatura precedente rispetto a quella di Tommaso Virga, eletto componente del CSM nel luglio 2010), era stata recepita all’unanimità dalla quinta commissione e confermata all’unanimità l’1 maggio 2010. Tra i componenti della quinta commissione che aveva proposto Silvana Saguto è presente  anche Cosimo Ferri, esponente di punta di Magistratura indipendente, di cui fanno parte  Tommaso Virga e di Silvana Saguto, ed attuale Sottosegretario al Ministero della Giustizia.

Ancora Lo Voi

Nel dicembre 2014, a sorpresa, Francesco Lo Voi è nominato procuratore capo della Procura di Palermo, dopo alcuni mesi di reggenza affidata a Leonardo Agueci e sostituice Francesco Messineo dopo avere battuto in volata, per la nomina, i colleghi Sergio Lari, e Guido Lo Forte, più titolati di lui nell’aspirare a quell’incarico. Lo Voi ha ricevuto i voti della corrente di Magistratura Indipendente, (tra cui Claudio Galoppi), di cui fa parte, quello della laica di Forza Italia Maria Elisabetta Alberti Casellati in commissione incarichi direttivi,  quello  dei consiglieri del centro destra e dei laici del Pd. Quindi un candidato gradito a tutti, voluto da Napolitano e da Renzi, espressione del patto del Nazareno. La sua nomina ha colto di sorpresa soprattutto perché egli non aveva mai avuto ruoli dirigenziali alla Procura di Palermo. Lari e Lo Forte hanno presentato ricorso al Tar che il 25 maggio 2015 ha dato  loro ragione, ma anche Lo Voi ha fatto ricorso contro la sentenza del TAR al Consiglio di Stato, il quale, ha lasciato Lo Voi al suo posto, sostenendo che non si poteva lasciare sguarnita la Procura, e successivamente, il 28 gennaio 2016 ha reso definitiva la sua nomina.  Sotto la gestione di Lo Voi il procedimento contro Pino Maniaci arriva alla sua fase conclusiva. Difficile sottrarsi al sospetto che dietro tale accanimento ci possa essere l’ombra, della Saguto e di Cappellano Seminara, e si  insinua un’inquietante domanda: la moglie di Lo Voi, che è anch’essa un giudice del tribunale di Palermo si chiama Pasqua Seminara. Da fonti attendibili, da prendere comunque con il beneficio del dubbio,  si è saputo che è cugina di Cappellano Seminara, ma che è anche un giudice scrupoloso e corretto, che ha lasciato il suo settore per andare, come presidente alla seconda sezione civile, onde non creare incompatibilità con il ruolo del marito. E’ doveroso dire che anche il famoso perito informatico Gioacchino Genchi, in un’intervista a Meridione News, parlando di Lo Voi dice: “La sua vita e la sua carriera sono la testimonianza della sua serietà e del suo assoluto rigore morale e professionale”. e cita a conferma una cena a casa di Falcone e Francesca Morvillo , alla quale Lo Voi e sua moglie avrebbero partecipato, pochi giorni prima dell’attentato del 23 maggio 1992.  E’ il caso di notare, ove ce ne fosse bisogno, che le parentele non comportano necessariamente collusioni o altre implicazioni, ma possono ingenerare sospetti.

Muntoni

Il cerchio dei magistrati che ruotano attorno alla Saguto non finisce qui:  a Roma, oltre che Pignatone, c’è il collega presidente dell’ufficio misure di prevenzione Guglielmo Muntoni. Alcune intercettazioni:

il 28.05.2015 la Saguto contatta Fabio Licata, che lavora nel suo ufficio, dicendo che Muntoni “è stato bravissimo” perché ha contattato telefonicamente Sabelli dell’ANM il quale ”farà un comunicato”. Licata  risponde “alla facciazza” e che non si dimetterà più dalla giunta dell’ANM Palermo. Quindi dice che ha avuto una “lunga chiacchierata” con Tommaso (VIRGA, ndr) nonché di avere “parlato con Walter (Virga) a seguito di un ulteriore “articolo di quella cosa inutile di Maniaci relativamente al sequestro Rappa ed alla nomina del Virga a seguito di un provvedimento disciplinare relativo alla Saguto. La donna replica dicendo “io non ho mai avuto un procedimento”

In altra telefonata la Saguto riferisce al prefetto Cannizzo che Muntoni si sta adoperando per farle fare un’intervista con Travaglio e che ha parlato con Tommaso Virga il quale conosce la sorella di un direttore  di un giornale e che andrà a Roma per sollecitare un’intervista.

Ed è proprio Muntoni che propone a Cappellano Seminara di assumere l’incarico di amministratore giudiziario nell’ambito di un sequestro di prevenzione che sarebbe stato depositato di lì a breve: Muntoni aggiunge: non sarò io il Presidente perchè sono incompatibile perchè ho fatto Riesame su questi signori però, ovviamente, ho seguito ampiamente la vicenda”. A seguito della vicenda Cappellano avrebbe dovuto adoperarsi, una volta ottenuto l’incarico, di nominare come consulente Lorenzo Caramma, marito della Saguto. In altri frammenti di dialogo Muntoni   dice che ha parlato con Sabelli e la Saguto , riferendosi a qualche notizia di stampa, si lamenta :”un’altra voce che hanno messo in giro è che io ho ricevuto la solidarietà di Alfano perchè io gli nomino Gemma..cioè Gemma noi non abbiamo nessuna nomina’. Infine, i due concordano di vedersi a Roma quando la donna andrà ad incontrare il “cugino” di Muntoni. Ma tutto appare più chiaro il   11.08.2015, quando Muntoni invia alla Saguto questo messaggio : “Puoi rimandarmi il cellulare di tuo marito a questo numero? Potrebbe interessargli un incarico per il Cara di Mineo ? Baci’. La Saguto risponde “……….. Certo che gli interessa! Un bacio”. Muntoni, intervistato da Live Sicilia dichiarerà pelosamente:”Mi fidavo del giudice Saguto. Ho il cuore a pezzi!”

Tona

Recentemente sono state fatte alcune illazioni giornalistiche sull’esistenza di un triangolo per gestire i sequestri in Sicilia, tra la Saguto, il giudice Tona di Caltanissetta e il giudice Grillo di Trapani. Pur venendo fuori uno stretto rapporto tra il prof. Carmelo Provenzano, collaboratore della Saguto e il giudice Tona, prodigo di consigli, l’ipotesi non è degna di considerazione, perchè si potrebbe anche parlare di un quadrato, comprendente il giudice Muntoni,  di un pentagono o di diverse altre figure geometriche. Tona è un giudice apprezzato del tribunale di Caltanissetta, ma  c’è qualcosa che non torna, come  l’anomalia del sequestro Padovani, al quale, in buona parte a Catania sono stati sequestrati i beni, malgrado nei suoi confronti non ci fosse alcuna condanna: i beni sono stati affidati, da Tona,  a Cappellano Seminara, il quale si serviva dell’aiuto di Lorenzo Caramma per gestire questo grosso patrimonio di slot machines, interamente svendute o rottamate. Cappellano, così, da Palermo arrivava a Catania, facendosi pagare laute trasferte, come se a Catania non ci fossero amministratori. Da altra notizia su Live Sicilia si apprende che Tona nel 2006 aveva dato a Cappellano Seminara l’incarico di amministratore giudiziario di due rami della Calcestruzzi spa, con sede a Riesi e a Gela.

Licata e Chiaramonte

Sono i giudici che hanno affiancato la Saguto, difficile dire se con un ruolo di collaboratori, o di esecutori subalterni. A Chiaramonte si contesta, come pubblico ufficiale nello svolgimento delle proprie funzioni, di non essersi astenuto, per “gravi ragioni di convenienza”’ di nominare Antonino Ticali, “con il quale aveva avuto una relazione sentimentale durata circa un anno e con il quale aveva mantenuto un rapporto di amicizia e frequentazione personale, ad amministratore giudiziario di alcune  procedure, procurando allo stesso i un ingiusto vantaggio patrimoniale di rilevante entità…..Il conferimento era frutto di un privilegio ed era determinato da una discrezionalità esercitata esclusivamente in funzione del rapporto sentimentale che li aveva legati e a prescindere da ogni considerazione circa la sua effettiva idoneità all’ufficio”.

A Licata si contesta di avere comunicato, per averlo appreso dal collega Scaletta, alla Saguto una notizia riservata, ovvero che c’era un procedimento aperto nei suoi riguardi, di avere falsificato la firma della Saguto, assente,  negli atti del sequestro Rappa, di avere avuto un rapporto privilegiato con Walter Virga, al quale sarebbe stata affidata l’amministrazione giudiziaria dei Rappa

Interrogato, Licata ha affermato di avere detto a Fabio Di Pisa “anche ammettendo che tutto quello che abbiano detto Le Iene sia vero, Silvana Saguto è leggera, fa una gestione allegra della Sezione,  si appatta (trova un accordo favorevole per entrambi, ndr) con Gaetano Cappellano  e con gli altri amministratori ma la solidarietà davanti ad una notizia….'”-Si trattava di una richiesta di solidarietà da parte dell’ANM nei confronti della Saguto e del giudice Natoli, sui quali era stata diffusa la notizia. pilotata dalla Saguto, di un presunto progetto di attentato nei loro confronti.

Nasca

Fabrizio Nasca è un colonnello della Guardia di Finanza lavorava presso la DIA di Palermo. Le indagini, al momento, non parlano dei sequestri concordati tra Nasca e la Saguto, delle cifre gonfiate, degli amministratori giudiziari scelti in rapporto  alle richieste che ad essi venivano fatte. Com’è avvenuto nel caso del sequestro Rappa, per il quale Nasca ha “imposto”, o se vogliamo, ha segnalato alla Saguto il nome di Giuseppe Rizzo, giudicato dalla Saguto “un ragazzino da niente”: costui avrebbe dovuto sdebitarsi per la nomina, come poi avvenne, assumendo nel proprio studio la nuora della Saguto, Mariangela Panto, salvo poi licenziarla a seguito delle denunce di Telejato. La cosa non era andata giù  alla Saguto che, in una telefonata  a Nasca (08.06.2015(, se ne lamenta: “Nasca reagisce affermando “ohhh, cazzo, minchia, bastardo…perchè l’ho chiamato, figlio di puttana”. La donna ribadisce “l’ha buttata fuori dallo studio, da un minuto all’altro in mezzo alla strada”. Nasca dice che aveva cercato VIRGA “perchè sto cercando di fare il punto su Maniaci e gli volevo chiedere: scusa, ma per caso l’autorizzazione di TMR, gliela dai tu e roba del genere…… Nasca afferma “ma infatti, ma sta mezza sega, guarda, io l’ho sempre detto, guarda, a me non è (…) ma porca miseria…ma porca miseria…ma è chiaro…ma porca miseria, vabbè tanto poi la sistemiamo ancora meglio, non ti preoccupare”. I due continuano a criticare VIRGA Walter e la SAGUTO dice “voglio vedere se ha la faccia di venire qua”. Nasca è anche uno di coloro che ha seguito le indagini su Pino Maniaci, informandone la Saguto e proponendo a Virga  la chiusura di Telejato, che in quel momento era collegata con l’emittente dei Rappa TRM. In una telefonata la Saguto riferisce che al suo collaboratore Fabio Licata  di un articolo che il giornalista Leopoldo Gargano sta scrivendo in suo favore e che i “è venuto il Colonnello Nasca, ha detto che ora la fa uscire…ha parlato con uno di Repubblica, con un altro che non so chi sia, me l’ha detto ma io me li scordo i nomi, che farà su Esse Sicilia e su Live Sicilia, che girano, questi girano molto” Nel momento in cui è venuto fuori il suo ruolo, Nasca è stato trasferito a Torino.

Nivarra

Luca Nivarra – professore di diritto civile presso l’Università di Palermo e avvocato,su nomina di Walter Virga ha sottoscrittcon la firma del giudice Fabio Licata  un “contratto di consulenza della durata di sei mesi, eventualmente rinnovabile, con oneri pari a 15.000 euro oltre al rimborso delle spese”, ben consapevole del carattere simulato dell’impegno negoziale per occuparsi apparentemente delle pratiche legali e del  contenzioso civile amministrativo e tributario” delle società in sequestro, “quando invece la nomina non aveva altro scopo che garantire a Nivarra l’attribuzione di compensi a fronte di attività che lo stesso non avrebbe mai prestato, perché le società in sequestro, incluse Fin.med spa e Med.Immobiliare srl, peraltro coinvolte in contenziosi legali di modesta portata ed erano già assistite da altri professionisti.. Incassando mensilmente quote da  1.409 euro, rispettivamente per due società, la Fin med  e la Med Immobiliare, Nivarra avrebbe incassato 34.000 euro senza  niente.

Visconti

Costantino Visconti, professore universitario di diritto penale all’Università di Palermo, dalle intercettazioni sembra avere un ruolo di consulente e di protettore nei confronti per la Saguto, anche se i suoi interventi spesso non danno buon esito o  non vanno al di là delle promesse. E’ a lui che la saguto comunica  la notizia segreta dell’avvenuta trasmissione del procedimento a carico di Walter Virga dalla Procura di Palermo alla Procura di Caltanissetta (“Ha detto Scaletta a Fabio che Petralia ha mandato gli atti a Caltanissetta per Walter Virga”) ed ulteriori notizie concernenti l’indagine, quali l’esistenza di una intercettazione relativa alla indebita pretesa dell’amministratore di ottenere 100 euro per ogni macchina venduta  e Visconti, le dice che proverà a   “far[si] la faccia di culo”  per  prendere informazioni sull’indagine dal competente Procuratore aggiunto.  I buoni rapporti erano anche agevolati dal fatto che il figlio della Saguto Elio, era tornato a Palermo e aveva preso in affitto un appartamento dal figlio di Gioacchino Natoli, all’interno di un residence a Partanna-Mondello, dove aveva un appartamento anche Costantino Visconti. Per qualche verso  egli rappresenta il punto di collegamento con la politica, essendo buon amico sia del ministro della Giustizia Orlando, sia di Raffaele Cantone, il magistrato anticorruzione. Da un  contatto con Cantone  Visconti apprende e comunica alla Saguto che non era andata in porto la nomina del prof.Carmelo Provenzano a commissario del CARA di MIneo, perchè era stato scelto al suo posto Maria Nicotra. La Saguto lo comunica al prefetto Cannizzo, che aveva caldeggiato la proposta e che ci rimane male: Maria NICOTRA è in pensione da una vita…quindi, ci pensavano dall’inizio e non mi facevano fare a me questa malacumpassa (brutta figura, ndr)”.

La corte

Naturalmente non è detto nè dimostrato che tutti fanno parte del cerchio magico. Spesso si tratta di colleghi di lavoro o di conoscenze che la Saguto cerca di usare a proprio vantaggio.

Molti dei nomi che componevano la sua corte  li ritroviamo nell’annuale convegno per amministratori giudiziari che la Saguto, attraverso i buoni servigi del prof. Carmelo Provenzano, dell’università Kore di Enna, organizzava presso l’abbazia Sant’Anastasia di Castelbuono, sequestrata, ancorchè il proprietario sia risultato estraneo a qualsiasi sodalizio mafioso. Nel 2015 il corso si è svolto dal 30 agosto al 5 settembre ed erano presenti oltre 30 i relatori tra cui, in ordine alfabetico: Antonio Balsamo, Magistrato, Presidente Sezione Misure di Prevenzione di Caltanissetta; Francesca Cannizzo, Prefetto di Palermo; Piero Grillo, magistrato, Presidente Sezione Misure di Prevenzione di Trapani; Giuliana Merola, magistrato e consulente della Commissione Parlamentare Antimafia; Umberto Postiglione, direttore Agenzia Nazionale Beni Sequestrati e Confiscati; Silvana Saguto, magistrato, Presidente Sezione Misure di Prevenzione di Palermo; Giovanbattista Tona, Magistrato, Corte d’Appello di Caltanissetta; Costantino Visconti, Docente di diritto Penale, Università di Palermo. Più o meno gli stessi dell’anno prima. Praticamente il plenum dei magistrati italiani che si occupano di misure di prevenzione. Il che può dare un’idea del tipo di rapporti che intercorrevano tra coloro che abbiamo citato, assieme a molti altri, senza cedere alla tentazione di fare di tutta l’erba un fascio. Tutti o quasi nell’orbita del sempre a galla ministro della giustizia e dopo degli interni Angelino Alfano, con la simpatia e la benedizione di Napolitano, da sempre ostile a quei giudici che parlavano di “trattativa stato-mafia”, in parte appartenenti alla corrente di Magistratura Indipendente, protagonisti di scontri senza esclusione di colpi con le altre correnti, ma nello stesso tempo tutti pronti a schierarsi compatti al momento di difendere privilegi e immagine pulita di qualcosa che invece, ma non c’è nulla di strano, può essere sporca in qualche parte. Il tutto senza sbandierare, come invece è stato fatto, il pericolo di delegittimazione delle istituzioni.

I quotini

Con questo nome sono stati indicati una serie di personaggi, “in quota”, da intendere nella quota degli amministratori giudiziari, in gran parte nel giro del “re”  Cappellano Seminara e quindi in quello della Saguto, che di Cappellano aveva fatto il suo consulente privilegiato: si tratta di titolari di studi legali o commerciali che gestiscono imperi economici e hanno trovato vitalizi, affari e ricchezze, senza che nessuno parli e denunci con chiarezza il malaffare che ci sta sotto. Sono i nuovi padroni della città. Hanno scoperto come vivere parassitariamente alle spalle degli altri, secondo lo stesso schema e lo stesso principio usato dai mafiosi, ma sfruttando i proventi dell’accumulazione mafiosa.

Il circuito è  composto da una serie di nomi,  per citarne alcuni,  Andrea Dara, Luigi Turchio, Salvatore Benanti, Francesco Santangelo, Luigi Miserendino, Walter Virga, Andrea Modica de Moach, Giuseppe Sanfilippo, Lucio Geraci,  Alessandro Scimeca, Elio Collovà, Maurizio Li Pani, Dario Maiuri, Alessio Cordova, Giuseppe Rizzo, Livio Mangiaracina, Rosario  Di Legami, Sergio Monaco, Andrea Aiello, Pietro Ribolla, Aulo Giganti, Vincenzo Leone, Paolo Ziniti, Giovanni Cannizzaro, Enrico Scialdone, Antonio Lo Mauro, Giuseppe Glorioso, Antonino Coppola, Giuseppe Li Greci, Carmelo Provenzano e molti altri.

Lavorano insieme a una serie di “collaboratori”, avvocati e ad altri dipendenti che vi girano attorno, assunti a secondo delle circostanze, che girano da uno studio all’altro, perché agiscono tutti in accordo: così, se uno di essi compie otto mesi di lavoro, retribuito da 3 a 5 mila euro,  ha diritto alla disoccupazione, scaduta la quale sarà assunto da un altro avvocato del giro, per un altro incarico di altri otto mesi. Difficile dimostrare se l’essere “in quota” comprende anche il pagamento di una quota a chi consente loro di lavorare.

I collaboratori in quota sono tutti avvocaticchi, “nominati”, cioè assunti per espletare incarichi di sorveglianza, figli di avvocati, di magistrati, di militari, di alti dirigenti, cancellieri,  che hanno trovato come succhiare alle mammelle dei beni confiscati, visto che i loro emolumenti escono dagli incassi o dalle vendite dei beni loro affidati. Calcolando missioni, spese di viaggio gonfiate, fatture a rimborso ecc, si arriva a impressionanti cifre, che spiegano poi come il 90% delle aziende affidate finisca in fallimento. E così si arriva all’assurdo che, rispetto ai mafiosi che chiedono il pizzo, adesso sono gli avvocati a chiedere soldi, se si vuole “parcelle”  ai mafiosi per difenderli o toglierli dai guai, utilizzando sapientemente i loro canali personali o privilegiati  all’interno del palazzo di giustizia.

L’accanimento terapeutico

In un rapporto sull’attività della DIA del suo direttore Nunzio Antonio Ferla, si scrive che nel 2015 sono stati sequestrati e confiscati oltre tre miliardi di euro di cui 2.673.000.000 i provenienti dai sequestri e 541.789 milioni dalle confische, effettuate in gran parte in Sicilia.  Per avere un’idea del divario con le altre regioni si pensi che al secondo posto c’è la Campania, dove sono stati sequestrati 30 milioni e 660 mila euro e confiscati 11  milioni di euro. Il “trattamento di favore” o, se si preferisce, “l’ accanimento terapeutico” riservato  alla Sicilia sta soffocando e bruciando qualsiasi forma d’economia, perchè niente e nessuno potrà convincere il comune cittadino , che l’economia campana è 15 volte meno corrotta o meno criminale  di quella siciliana, per non parlare di quella delle altre regioni, a cominciare dalla Roma di “Mafia Capitale”. E allora perchè altrove si sequestra così poco? Perchè in Sicilia si sequestra persino una tabaccheria o un negozio di panini? E perchè i beni di persone “importanti”, nei confronti delle quali non c’è il solo sospetto, ma ci sono indizi ben più corposi, (Berlusconi, Dell’Utri, Cuffaro, Schifani, Montante ecc. ) non vengono sottoposti a misure di prevenzione, cioè perchè non gli si sequestrano i beni?

In nome dello stato

Tutto questo è stato possibile ed è ancora possibile grazie a una legge sull’utilizzo delle misure di prevenzione che consente di effettuare i sequestri indipendentemente dal procedimento penale e sulla base, anche di semplici sospetti e di indizi a discrezione del magistrato: in Sicilia ci vuole poco a elaborare un’accusa di associazione mafiosa, basta un contatto, uno scontrino, un’intercettazione fraintesa o manipolata, un documento che lasci supporre una presunta amicizia pericolosa, magari del padre o del nonno ed è fatta. Il denunciato dovrà preoccuparsi di dimostrare la legittimità di quello che possiede, ma, anche se fosse in grado di farlo, dovrà  andare incontro a una serie di rinvii giudiziari, scientificamente studiati, che durano anni e che finiscono col distruggere la vita dell’incauto oltre che le aziende e i beni che gli sono sequestrati.  Qualcuno ha parlato di “mafia dell’antimafia”: non è esatto  spacciare per antimafia l’esercizio di un potere   fatto a fini repressivi e che dovrebbe essere legato alla semplice applicazione della legge. La repressione ha un senso quando sotto c’è il dolo, ma l’altra parte del dolo, quello di chi esercita la repressione, eufemisticamente chiamata “prevenzione”, ha margini di manovra così grandi che diventa  spesso prevaricazione e sopruso, specie se sotto c’è un disegno e un circuito affaristico da tutelare. In questo regno dell’arbitrio, la nomina degli amministratori è “fiduciaria”, cioè è nella facoltà del giudice nominare una persona, qualsiasi essa sia, che goda della sua fiducia: ed anche qua viene meno la correttezza d’azione all’interno di regole, tipo una graduatoria di merito degli  amministratori, che possa costantemente scorrere,  Siamo nel regno dell’arbitrio e non in quello della giustizia, il tutto in nome della giustizia e “per il bene dello stato”. La nuova legge è ferma da un anno e mezzo in Senato, ma se fosse approvata nel testo uscito dalla Camera dei deputati, non servirà a risolvere il problema delle amministrazioni giudiziarie, della responsabilità degli amministratori incapaci, oltre che dei magistrati, delle discrepanze con l’azione penale, dei tempi entro i quali va chiuso un procedimento.

Proposte

La redazione di Telejato, dopo  avere sentito diverse associazioni antimafia, ha avanzato, ma senza ricevere alcuna attenzione,  prima alla Commissione Antimafia e poi al Parlamento le seguenti proposte:

– consentire l’immediato pagamento dei creditori dell’azienda sin dal momento della confisca, per evitare di causare il fallimento di aziende fornitrici legate all’indotto su cui l’azienda confiscata opera;

– legare il momento del sequestro a quello dell’iter giudiziario, nel senso che non  si può procedere al sequestro di un bene se non è dimostrata, almeno nel primo grado di giudizio, la sua provenienza mafiosa;

– consentire un solo incarico agli amministratori giudiziari e pertanto, servirsi a rotazione di un albo-elenco degli amministratori giudiziari:

– fissare un tariffario delle prestazioni degli amministratori giudiziari e dei periti, con il rimborso delle parcelle a carico dello Stato, non delle aziende sotto sequestro. Tale tariffa può subire positivi aumenti in rapporto ad eventuale aumentata produttività dell’azienda.

– svincolare le competenze di emissione dei decreti di  sequestro e quelle di nomina degli amministratori  dalle mani di un solo magistrato e allargarne la facoltà a tutti i magistrati del pool antimafia;

– fissare con precise disposizioni il ruolo dell’amministratore giudiziario obbligandolo a presentare annualmente i bilanci , revocandogli l’incarico nel caso di gestione passiva non motivata adeguatamente e obbligandolo a risarcire i danni nel caso di amministrazione fraudolenta o di palese incapacità gestionale;

– i beni sequestrati,  nel caso di proscioglimento delle accuse vanno restituiti nella loro interezza e nel loro valore iniziale. Lo Stato si farà carico di eventuali risarcimenti.

– non consentire la reiterazione  del provvedimento di confisca, sotto altre possibili imputazioni, salvo casi di comprovate gravi situazioni di illecità.

– immediata esecuzione, non oltre un mese,  del provvedimento giudiziario di conferma o di dissequestro  e coordinamento dell’aspetto penale con quello di prevenzione, in modo da evitare discrasie. I casi scandalosi di rinvii, spesso di vari mesi, se non di anni, causati da  ritardi, da  malesseri e  da altre scuse prodotte dal magistrato incaricato della prevenzione non sono  giustificabili, anche perché l’azienda sotto sequestro corre il rischio di perdere il suo giro di affari o di essere messa in liquidazione da amministratori giudiziari che svendono beni immobili, attrezzature e macchinari a prezzi irrisori ad altre aziende sotto il loro controllo.

– possibilità di revoca, su eventuale richiesta motivata, dell’incarico di amministratore giudiziario da parte di un magistrato inquirente diverso da quello che ne ha fatto la nomina e che è solitamente il giudice addetto alle misure di prevenzione;

– utilizzazione del fondo già esistente (FUG),   a sostegno delle aziende la cui amministrazione passiva non sia imputabile a cattiva gestione dell’amministratore;

– non consentire la vendita a privati dei beni di titolarità dell’azienda sequestrata;

– favorire, nei bandi per l’assegnazione, l’imprenditoria giovanile, le strutture cooperativistiche, i progetti che si occupino di agricoltura, con facili norme per accedere a forme di credito agevolato per l’acquisto di quanto serve a impiantare l’azienda;

– consentire il ritorno alla gestione del bene a coloro che, dopo la fase processuale, abbiano dimostrato volontà e intenzione di continuare il tragitto di lavoro nell’ambito della legalità.

– associare come collaboratore all’amministrazione giudiziaria il responsabile del funzionamento dell’azienda, cioè il suo proprietario, per assicurare continuità e gestione positiva.

La richiesta più importante è quella di  distribuire l’immenso potere di cui dispone il pool di magistrati delle misure di prevenzione,  utilizzando le competenze  di altri magistrati, al fine di non strozzare ulteriormente, sino ad arrivare al collasso, la debole economia siciliana, nella quale, il settore dei beni sequestrati, salvo pochissimi casi, ha accumulato fallimenti, gestioni poco trasparenti e disperazione da parte di lavoratori trovatisi sul lastrico.  L’affidamento della gestione dei beni  a esponenti  di  Confindustria  non è la soluzione del problema, ma sarebbe necessario, come già in qualche altra regione, organizzare  corsi di formazione fatti da gente qualificata e che non siano occasione, come al solito, per distribuire il finanziamento del corso ai soliti “amici” relatori e rilasciare, dopo le passarelle,  l’attestato a tutti, senza accertare l’acquisizione di competenze.

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