Il leccaculismo (S.V.)

lecca lisi Gianni

 

Nel suo “Saggio sull’arte di strisciare ad uso dei cortigiani”, ripubblicato dalle edizioni “Il nuovo Melangolo”, il filosofo francese D’Holbach, vissuto nel 1700, in pieno illuminismo scrive: “Un buon cortigiano non deve mai avere un opinione personale, ma solamente quella del padrone o del ministro… Un buon cortigiano non deve mai avere ragione, non è in nessun caso autorizzato ad essere più brillante del suo padrone… deve tenere ben presente che il Sovrano e più in generale l’uomo che sta al comando non ha mai torto. […] La nobile arte del cortigiano, l’oggetto essenziale della sua cura, consiste nel tenersi informato sulle passioni e i vizi del padrone… Gli piacciono le donne? Bisogna procurargliene. E devoto? Bisogna diventarlo o fare l’ipocrita. È di temperamento ombroso? Bisogna instillargli sospetti riguardo a tutti coloro che lo circondano.”

 

Il cardinale Alberoni, un leccaculo all’Italiana

Uno dei tanti libri di Travaglio è “Slurp”, scritto nel 2015, con il sottotitolo di “lecchini, cortigiani e penne alla bava al servizio dei potenti che ci hanno rovinati”. Quindi un libro dedicato all’atavica malattia del giornalismo italiano, di mettersi al servizio dei potenti,  di decantarne le glorie, di promuoverne la beatificazione. Nulla di nuovo rispetto a quanto  non abbiamo visto nella figura di Fantozzi o, se vogliamo spostarci in pieno Rinascimento, al manuale del leccaculismo, scritto da Baldassare Castiglione, “Il Cortigiano”. Per non parlare di Dante che piazza questi reprobi nell’ottavo cerchio dell’inferno, costretti a subire frustate sulla schiena e sulle natiche e immersi in un lago di sterco. Berlusconi è stato l’ultimo “sovrano” verso cui si è indirizzato il fenomeno che ora sembra stia trovando nuova linfa nella figura di Draghi.

L’introduzione di quel libro riporta questo gustoso episodio:

“Ancora nel Settecento, quando all’estero erano a corto di leccapiedi,li importavano dall’Italia. Paradigmatica la figura del cardinale Giulio Alberoni, prelato piacentino di umili origini, che fece carriera in politica prima nel ducato di Parma, poi nella Spagna di Filippo V , al seguito del “generalissimo” Luigi Giuseppe di Borbone-Vendome. Racconta Saint-Simon nelle sue “Memorie”:

“Il vescovo di Parma, in missione per conto del suo duca presso il Vendome, comandante delle truppe francesi in Italia, si trovò assai sorpreso di essere ricevuto dal generalissimo mentre stava sul vaso e più ancora nel vederlo alzarsene a metà della intervista e pulirsi il culo davanti a lui. Ne fu così indignato che, pur senza protestare, se ne tornò a Parma lasciando a mezzo la sua missione e dichiarò al duca che , dopo quanto gli era capitato, non intendeva riprenderla. Sul posto era rimasto Alberoni…Il duca pensò che il vaso del signor Vendome non meritasse meglio di un tale ambasciatore (l’abate Alberoni, non ancora cardinale) e lo incaricò di condurre a fine le trattative che il vescovo aveva interrotto. Alberoni, che non aveva ragioni di mostrare la sua fierezza e che sapeva benissimo che tipo era Vendome, decise di piacergli a qualunque costo, per assolvere bene il compito che gli era stato affidato e così salire di più in grazia del suo padrone. Fu dunque introdotto dal signor Vendome mentre sedeva sul suo solito vaso, e seppe rallegrare la conferenza con scherzi e pagliacciate e oscenità che ebbero tanto maggior successo in quanto erano state precedute da ogni sorta di lodi e complimenti. A un bel momento Vendome fece davanti a lui quello che aveva fatto davanti al vescovo: si alzò e si pulì il culo. A quella vista Alberoni esclamò: “Oh, culo d’angelo!” e corse a baciarglielo”.

 

La mignottocrazia

La cortigianeria, che in Italia ha lontane origini, è diventata corte e contorno riempiendo anche il parlamento, al punto da indurre il senatore forzista Guzzanti a parlare di “mignottocrazia”  con  l’ingresso di veline, attricette raccomandate, senza dignità, puttanelle al seguito di chi aveva promesso successo e promozione dell’immagine. Di fatto il parlamento italiano da alcuni anni ha abbozzato qualche sintomo di rinnovamento grazie all’ingresso di queste “bellezze”, un po’ oche, un po’ svampite, un po’ pasionarie, tipo Brambrilla, Bernini, Carlucci, Prestigiacomo, Gelmini, Carfagna, tutte legate a doppia mandata al leader massimo, sempre pronto a dar loro una mano. Dietro questa allegra facciata agivano i “professionisti della politica”,  Schifani faccia-da veleno,  la iena La Russa,  il vampiro Previti, lo scarafaggio Bonaiuti, Il ranocchio Bocchino, il maiale Calderoli, il serpente Cicchitto, il lombrico Tremonti, lo sciacallo Maroni, l’avvoltoio Sacconi, l’asino Capezzone, l’ectoplasma Bondi, il cromosoma-zero Gasparri, la svampita Meloni, l’Enterogelmina ecc.: il panorama di queste “ belle facce da cu-ore” è vastissimo. Mai un discorso serio, un’analisi politica dignitosa, una frase intelligente.  Solo il nullismo politico e l’elogio retorico delle stupidaggini che il governo mandava avanti: sempre la solita litania: la colpa di quello che va male è della sinistra e il merito di quello che va bene non è della destra, ma solo del suo capo. Non è giusto neanche dire che gli italiani li hanno voluti: sono stati scelti dalle segreterie dei partiti e promossi onorevoli grazie alla sciagurata legge elettorale che abolisce il voto di preferenza.

Puttane e leccaculi

La vendita di se stessi interessa nella stessa misura maschi e femmine: Chi è più puttana, la D’Addario o Feltri, Ruby o Emilio Fede,  Iris Berardi o Belpietro, Raissa Skorkina o Sallusti? Chi si vende per denaro, rinunciando a dignità, serietà, deontologia, o chi utilizza il proprio corpo a pagamento per il piacere altrui?   Tutti i papponi che hanno utilizzato la donna,  che hanno fruito delle sue prestazioni, credendo che con i soldi si può comprare tutto? Qual’è il termine giusto per apostrofarli? Porci, leccaculo, schifosi? E tutti quelli che si prostituiscono ogni giorno per un voto di scambio, per ottenere un appalto, per ottenere un finanziamento illecito, per sistemare il figlio ciuco, per tradire un amico, per disinformare e leccare, per occupare una poltrona che non gli spetta, come dovremo chiamarli? Puttani è il termine giusto ma dei peggiori, perchè sono mascherati e ipocriti. Questi non vendono il proprio corpo ma la loro anima e se ne vanno in giro a predicare la morale. Rispetto a questi, forse ha più dignità Boccadirosa  che si prostituisce per strada e che a  differenza di loro lavora tra mille insidie, nello schifo più totale rischiando a volte la propria vita ma te lo dice in faccia che è una puttana.

Lecchini e leccati

Il leccaculo non esisterebbe se non ci fosse chi compie il gesto e chi lo riceve. Nel sostenere che il potere sia l’afrodisiaco supremo, Henry Kissinger, forse ignorava il proverbio siciliano secondo cui “cumannari è megghiu di futtiri”. Per partire da chi dispone di un minimo di potere  e arrivare agli uomini potentissimi, agli oligarchi, ai burocrati dirigenti, alle forme piramidali con cui il potere si suddivide verso i ceti più bassi, si mettono in pratica forme di leccaculismo personalizzate e studiate per provocare un minimo di atteggiamento di gradimento.  Anche la semplice percezione dell’esistenza di una qualche predisposizione al leccaculismo nel suddito pronto e disposto al gesto, provoca l’aumento dei livelli di serotonina, che agendo sul sistema nervoso  genera piacevoli e voluttuose reazioni, mentre l’esercizio e la pratica, che ti identificano come appartenente alla categoria sono ritenuti strumenti legittimi, anzi necessari alla sopravvivenza, se si vuole salire i gradini della scala sociale per trasformarsi poi da lecchini in leccati.

Il costante aumento degli appartenenti alla categoria, nel mondo dell’arte, del lavoro subordinato, del lavoro in divisa,  lascia ben poche speranze nell’individuazione , se esiste, di qualcuno che sappia sganciarsi  dal posto in cui le circostanze lo hanno collocato e trasformare in “calci in culo” tutte le umiliazioni che è stato costretto ad accettare. Un antico canto siciliano, “Lamentu d’un servu a Cristu”,  così recitava:

Un servu, tempu fa, ‘nta chista chiazza,

accussi priava a Cristu e ci dicia:

 

Signuri u me patruni mi strapazza,

mi tratta comu un cani di la via,

tuttu si pigghia cu la so manazza,

la vita dici chi mancu è di mia.

 

Si io mi lagnu, cchiù peggiu amminazza,

cu ferri mi castia a prigiunia,

io vi priu a chista mala razza,

distruggitila vui Cristu pi mia.

 

Elecca lisi Gianni tu forsi chi hai ciunchi li vrazza,

oppuru l’hai ‘nchiuvati comu a mia,

cu voli la giustizia si la fazza,

ne speri ch’autru la fazza pi tia.

 

Si tu si omu e nun si testa pazza,

mitti a prufittu sta sentenza mia,

io nun sarìa supra sta cruciazza

s’avissi fattu quantu dicu a tia.

Probabilmente l’invito alla ribellione parve troppo rivoluzionario e, presumibilmente nel periodo borbonico il testo venne così modificato:

 

E tu chi ti scurdasti, o testa pazza,

quantu sta scrittu nta sta leggi mia,

sempri ‘nguerra saria l’umana razza

si cu l’uffisi l’uffisi castia.

 

A cu t’offenni vasalu e l’abbrazza,

e ‘mpararisu poi seri cu mia.

M’inchiuvaru l’ebrei nta sta cruciazza,

e cielu e terra disfari putia

 

 

 

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