Fenomenologia del Totuccio

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Qualcuno mi ha chiesto di ripubblicare questo mio vecchio articolo del 1986. Quando uscì il giornale  “Terrasini Oggi” con questo articolo, le 200 copie del giornale si esaurirono rapidamente, al punto che fu necessaria una ristampa. Con il termine Totuccio a Terrasini si indicano un certo tipo di Palermitani che in estate invadono il paese portandosi appresso le loro caratteristiche antropologiche inconfondibili. Successivamente la tipologia è stata meglio circoscritta e definita  da un libro che ancora oggi si può richiedere via amazon, pubblicato da Vittorietti,  di Daniele Billitteri , dal titolo: “Homo panormitanus : cronaca di un’estinzione impossibile”. La mia copia è stata purtroppo distrutta dal mio cucciolo. Oggi l’articolo andrebbe aggiornato, poichè la categoria si è evoluta con nuove identità, nuovi linguaggi, nuovi cibi, nuovi modi di vestire, di atteggiarsi, ma la figura del Totuccio tradizionale proletario ancora resiste, anzi, per dirla con Billitteri, è inestinguibile. Per eventuali aggiornamenti bisognerebbe considerare altre figure, come Totuccio Contorno, inventore del piatto “babbaluci con Contorno di carcagnolo, Totò Cuffaro detto u zu “totò Vasavasa” per la sua capacità di succhiare due babbaluci contemporaneamente,  come se gli desse un solo bacio e  Totò Riina, primo caso di esportazione delle dinamiche totucce nel corleonese, inventore della variante “totuccio mafioso con le corna”, quelle del babbalucio naturalmente. Altri aggiornamenti dovrebbero riguardare la movida terrasinese, affollata da orde di totucci-bene, l’uso di nuovi mezzi di comunicazione, soprattutto il cellulare, la frequenza delle palestre, l’apericena, il passaggio per le strade con la radio a tutto volume , i nuovi idoli della canzone napoletana, eredi di Nino D’Angelo e tutto quanto è maturato e si è evoluto negli ultimi quarant’anni. 

T O T U C C E I D E

Fenomenologia del Totuccio

Il “totuccio” non è il palermitano, ma un certo tipo di palermitano con precise caratteristiche biologiche, antropologiche ed etniche, un prototipo ed insieme una specie, una categoria genericamente individuabile, ma singolarmente contraddistinta dalla propria irripetibilità, in rapporto alla quale esiste il simile, ma non l’uguale. Nell’ambito di tale genere bisogna poi distinguere il “totuccio proletario” e il “totuccio medio”. Occupiamoci subito del primo:

Località di provenienza: Ballarò, u Capu, a Vucciria, con consistenti diramazioni alla Kalsa, a Malaspina e a “u Papiritu”.

Caratteristiche fisiche: altezza media m. 1,64, circonferenza del cranio cm 68, circonferenza della panza da m. 1,50 in poi.

Abbigliamento: berretto a forma di casco, possibilmente bianco, o berrettino pubblicitario con la pampiera, zoccoli di legno pantaloncini misura 44, che mettono in evidenza le forme posteriori e si abbottonano all’inguine, in modo da lasciare in bella esposizione l’enorme volume della panza.

Stato di famiglia: la moglie si chiama Marèa, porta un costume monopezzo elasticizzato, che fa meglio risaltare la pancia, di dimensioni doppie rispetto a quella del marito, cosce prosciuttine, natiche gelatinose, unto di rossetto sulla faccia, seni felliniani (tipo «Amarcord»). La suocera è Rusulèa, cosce arrappate e bianchissime, fazzoletto in testa, sottana bianco-avorio, silenziosa matriarca che tiene tutti a bacchetta. Figli da quattro a dieci, tutti sotto i 13 anni.

Mezzo di locomozione: la LAPA, cioè la lambretta a tre ruote, dove prendono posto vari parenti, 15 persone circa.

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Musica preferita: Mario Merola, Pino Marchese buonanima, e, per i più moderni, Nino D’Angelo.

Hobby: gioco delle carte, solitamente a briscola.

Linguaggio: irripetibile: solo il totuccio possiede certe connessioni di fonemi e digrammi, certe aperture di vocali, apparentemente sguaiate, ma linguisticamente degne del massimo interesse. In particolare la «erre» tende ad annullarsi o ad essere raddoppiata dalla consonante cha la segue (morto = muoittu, cornuto = cuinnutu), mentre la «e» grave tende a sostituire la «i» (cretino = cretenu, Palermo = Palieimmu), ma la si usa pure come sostitutivo della «a» (pane = pene, faccia = fecci).

Alimentazione: (prima colazione) pane e panelle; (pranzo) primo: pasta cu i sardi o pasta al forno con ampio corredo di melanzane fritte; secondo: sarduzzi a beccafico e babbaluceddi cu l’ammogghiu; frutta: indiscutibilmente mulini, per avere il piacere di tirarsi poi addosso le bucce o scuoicci; (merenda): pani cu a meusa; stigghioli, frittula e carcagnolu; (cena): raschiamento a zero di tutto ciò che è rimasto o che si riesce ad arraffare nelle campagne vicine; (bibite): vino o birra allungati con gazzosa.

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Caratteristiche etniche: il totuccio è padrone di tutto il mondo: egli si attiene scrupolosamente all’indicazione del filosofo Proudhom secondo la quale «la proprietà è un furto», ovviamente quando sia degli altri: dovunque scorga un albero, uno spiazzo, un fazzoletto di sabbia o un rudere abbandonato, egli piazza i suoi complicatissimi tendaggi, il tavolinetto e le sedie chiudevoli e comincia a dilatarsi in tutta la sua capacità di espansione, simile al riccio che disse cu si senti punciri nesci fora. Non c’è ortaggio o filo d’erba a portata della sua mano che possa resistergli: pomodori, cetrioli, cocuzze e frutta varia, pazientemente curati per mesi, spariscono, quasi smaterializzati, nella sua smisurata pancia, per lasciar posto a una marea di rifiuti, che egli cosparge dappertutto, forse come fertilizzante: la sera, quando il totuccio leva le tende, la spiaggia o il terreno dove si è piazzato galleggiano di carta, sacchettj di plastica, piatti e bicchieri a perdere, lattine di bibite, pezzi di bottiglia, scorze di mellone, escrementi, carcasse di babbaluceddi e altri residui.

CARATTERISTICHE DEL «TOTUCCIO-MEDIO:

biologicamente poche differenze con il prototipo proletario: generalmente è più giovane, ma ha già ben delineate le deformazioni fisiche di sviluppo dell’adipe, lavora in ufficio, si sposta in macchina (è passato, nel tempo, dalla 600 alla 850, alla 127, alla Uno), in rapporto alla disponibilità economica possiede o affitta u billinu (il villino) in campagna o la casetta in paese nel periodo estivo, oppure è riuscito a costruire un monovano e una baracchetta prefabbricata sul lotto di 230-400 mq. acquistato a Capo Rama, senza acqua, senza luce, senza servizi igienici: tra il sabato e la domenica in queste stamberghe dormono da 20 a 30 persone, assetate d’evasione, e il totuccio si diverte arrostendo pesce, salsiccia, stigghioli, ascoltando musica a tutto volume e giocando a pallone o a carte dalle tre di pomeriggio in poi.

La moglie del totuccio medio è la tipica cittadina snob, alquanto sofisticata e svanitella, che va a fare la spesa in paese (caciotta, spincione e muffulette), diversamente dal totuccio proletario, che non spende una lira. I due figli sono Giusy e Totino, entrambi studenti: Giusy gira di giorno in due pezzi, dimenando le sue natiche basse e la sera veste in abbigliamento largo, esotico, studiatamente trasandato: si concede facilmente, ma non ai paesani, che crede di scandalizzare, esibendosi in pomiciate di fuoco con il totino di turno. Totino invece è un piccolo pollo semiesaurito, che gira in vespa o con la macchina di papà, strano tipo di incrocio tra un ET, Rambo ed Eros Ramazzotti, con la precisa convinzione che le paesanotte, cui dà una caccia spietata, debbano tutte cascare ai suoi piedi.

Il linguaggio di rampolli del totuccio-medio è anch’esso di difficile riproduzione: ci sono tutta una serie di inflessioni fonetiche, dalla “esse” pronunciata con la lingua tra i denti alla dilatazione, prolungata attraverso variazioni esasperate di tonalità, delle vocali (è assuuurdo): usano l’italiano, o meglio il palermitano, inframmezzando, o ripetendo, prima di ogni proposizione, la sequenza di fonemi inchina: il non plus ultra del gergo è dato dalla frase inchia, te lo ggiuro su Coollica (Collica è il titolare di una catena di bar frequentati dalla Palermo-bene).

Il totuccio-medio, rispetto al proletario, non ha la stessa, piena capacità di godere la vita «futtennusinni» di tutto il resto: mentre il secondo non esita a trafugare il contenitore a ruote della spazzatura, che può servire da culla e carrozzella per il figlio, il primo ha problemi di cambiali e qualche responsabilità etica, ma non rinuncia al «pezzetto» di gelato, da consumare, la sera, in piazza: li accomuna comunque l’incontenibile passione per un bel piatto di babbaluceddi, malgrado la comprensibile disperazione, allorché vedono il totino che cerca di succhiarli con la cannuccia.

SCHEDA STORICO-ANTROPOLOGICA:

Se Esaù vendette la primogenitura per un piatto di lenticchie, il totuccio. per un piatto di lumache, sarebbe disposto a vendere, come Faust, l’anima al divalo. Il rapporto del totuccio con i babbaluceddi è uno dei fenomeni più rilevanti nella storia della moderna antropologia culturale: non esiste al mondo alcuna “razza” simile, così capace di individuare e snidare un babbaluciu nel suo più recondito nascondiglio, di cuocerlo e fagocitarlo con fulminea rapidità e abilità: l’operazione consiste nel bucare con il dente canino destro la parte centrale della scorcia e aspirarne il contenuto in un sol colpo o sucuni: tra i vari quartieri di Palermo esistono regolari campionati di succhio di  babbaluceddi, ognuno dei partecipanti è rappresentante di un diverso quartiere. Esistono pure gare di corsa dei babbaluceddi: il vincente, cioè il babbalucio che arriva per ultimo, avrà l’onore di essere succhiato vivo dal capofamiglia del suo quartiere.

Il pentito Totuccio Contorno, nelle sue confessioni ha omesso di dire che, oltre a bruciare la santina tra le mani, la prova essenziale per essere ammessi a far porte dell’”onorata società” è quella di saper”sucare” 30 babbaluci in un minuto: tuttavia nessuno è stato in grado ancora di superare il record stabilito nel lontano 1956 dal mafioso Totuccio La Barbera, 169 babbaluci al minuto. Esiste invero un record ufficioso, stabilito così, per scherzo, da Totuccio Lima, nel corso di una riunione con alcuni amici, di cui si parla negli atti parlamentari della Commissione Antimafia, a pag. 1122: il record non omologato, che ha fatto di questo figlio di Palermo l’autentico rappresentante, anche in sede internazionale, di tutto il totucciame, è di 198 babbaluci al minuto!

NOTIZIE STORICHE

con un barile di lumache Ulisse riuscì a conquistare le simpatie del Ciclope siciliano Polifemo, lo fece appanzare e poi gli cavò l’occhio (vedi libro VI dell’Odissea); nel 52 a.C. i palermitani mandarono al Senato romano una lettera per protestare contro il proconsole Verro, il quale aveva fatto sequestrare tutti i babbaluci in circolazione e ne faceva grandi scorpacciate (vedi le orazioni Verrine di Cicerone); più tardi vennero contagiati da questo nobile uso anche i Normanni, i poeti della Scuola siciliana di Federico II e soprattutto i francesi: a scatenare la rivolta dei Vespri fu infatti un francese che insidiava un piatto di babbaluceddi, preparato da una massaia palermitana per il marito: la parola d’ordine per individuare un francese non era infatti «ciciri», come erroneamente riporta Michele Amari nella sua Storia del Vespro, ma babbaluci: siccome i francesi non sanno pronunciare la «ci», chi diceva “babbalusi” era passato a fil di spada. Affascinati dalla pietanza rimasero anche gli spagnoli i quali, quando non trovarono più babbaluci, si misero a sucare tutto, pure a mirudda dei siciliani. E infine Garibaldi: gran parte delle simpatie e della fortuna che egli riscosse in Sicilia fu data dal fatto che egli portò da Caprera, sul vapore «Piemonte» un paniere con Mille crastuna, un nuovo tipo di babbalucio voracissimo, ma molto robusto e succulento, che, avviato nelle campagne, presto si diffuse, diventando il pezzo forte di un normale piatto di lumache (vedi C. Abba «Da Quarto al Volturno»). Sul rapporto totuccio-babbaluci esistono anche studi psicanalitici: nel suo recente libro «Psicanalisi della mafia» Filippo Di Forti sostiene che per il mafioso l’onorata società altro non è che un sostitutivo, una sublimazione dell’immagine della madre, verso il cui seno egli tende a ritornare per ridare a se stesso più forza, introiettandone la potenza: pertanto il succhio del babbalucio rappresenterebbe una regressione verso lo stadio della “fase orale” che, secondo Freud, caratterizza i primi anni di vita, attraverso la localizzazione del piacere nella bocca.

Un’ultima curiosità: sapete il perché della devozione totale del palermitani, per Santa Rusulia? Essa non scelse a caso di vivere nella famosa grotta di Munti Piddirinu: questa era il nascondiglio preferito di ogni tipo di babbaluceddi: la santa imparò a cucinarli in tutte le salse, trasmettendo poi questa sapienza ai palermitani.

Totucceide n. 2

IL TOTUCCIO BENE

(Venendo incontro alle richieste e osservazioni di molti lettori, dopo che, nel precedente numero, abbiamo parlato del « totuccio proletario» e del «totuccio medio», completiamo lo studio con una scheda sul «totuccio bène »: la « e » si pronuncia molto larga, quasi fosse “baene”).

Esistono due tipi di totucci bène: il totuccio bène purosangue e il totuccio bene acquisito: a fare un richiamo letterario li si potrebbero identificare negli eredi del Gattopardo e in quelli di don Calogero Sedàra. I primi sono autentici aristocratici, una razza ormai in estinzione, la cui «sicilianitudine» rimane autentica nei suoi pregi e difetti, dall’indifferenza da semidio al parassitismo economico e sociale; i secondi sono, dei parvenus, nuovi arricchiti, totucci di imitazione, ormai in piena espansione. Li contraddistingue un portafogli a ventaglio, il macchinone, la cameriera nera a 400.000, tutto compreso, la villa di proprietà nei vari complessi residenziali intorno a Calarossa, intitolati a una mai esistita “Marchesa di Calarossa” , o il soggiorno presso un residence turistico tipo Villaggio Agli Androni ; (a proposito, non ho mai capito come l’agghiannuni, pianta tipica della vegetazione mediterranea, che dà il nome alla contrada, sia diventato Agli Androni: cosa c’entrano gli Androni?).

Colta a volo da una totuccia bène a Calarossa: “Noi abbiamo lottato per l’apertura di questo accesso perché comprando la casa qua, abbiamo anche comprato una parte di spiaggia, ma non vogliamo nemmeno che questa diventi la spiaggia di tutti”: e mi guardava come fossi un verme.

Se gli ebrei, nella loro erranza hanno cercato di redimersi dall’essere sottoposti a un’identità fissa, l’aspirante totuccio bene tende ad acquisire e a stabilizzare tale identità: qualche volta avverte l’arcano richiamo del babbalucieddu e può capitare di vederlo di notte, travestito da totuccio proletario, aggirarsi tra cumuli di massi, con la torcia elettrica, alla ricerca del cornuto animale.

Non parleremo più di costoro, il cui rapporto con il paese è inesistente, se non per il ritenerlo posto di scarico dei propri rifiuti. Più interessanti invece i loro rampolli, che sciamano sui loro motorazzi giapponesi, possibilmente smarmittati, casco variopinto, camicia fiorata senza colletto, pantaloni lunghi e larghi, o accorciati tipo bermuda.

Questa nuova razza è nata negli anni 70 intorno a due comitive palermitane, quella del Circolo “Antorcia” e quella del cinema “Fiamma”. L’“Antorcia”, e poi anche il Circolo “La Base”, fungevano da momento di coesione tra intellettuali di sinistra un po’ spompati, radicalmente borghesi e socialmente disadattati; la comitiva del “Fiamma”, di estrazione piccolo e medio-borghese, lanciò invece la nasalizzazione forzata ed esasperata del linguaggio e la puntualizzazione di un gergo pelermitaliano che costituiva insieme un modo d’intesa espressiva pieno di criptogrammi e un biglietto di presentazione tra i propri simili.

Qualche perla: “Dammi scinque” (dammi le cinque dita, cioè dammi la mano); “nchia, me lo dai un bi? (mischia, me lo dai un bacio?); “ce l’hai un Sippino?” (ce l’hai un gettone telefonico?).

Il totino bene non va più a fare il bagno in spiaggia, ma sugli scogli, anche se non sa nuotare bene, si tuffa per esibizione da sei-sette metri, dando grandi panciate, e prima di tuffarsi dice “nchia, ora mi uccido”. Con fine apparenza e ironia simula alcune perversioni, tipo il masochismo o l’omosessualità, quasi a mostrare un segno di emancipazione e di apertura mentale: “nchia, uccidimi”, “nchia, picchiami che mi piaasce”, “nchia, foottimi”, ma in fondo la struttura del suo essere rimane legata al fallo, simbolo della sua realizzazione: egli è convinto di essere bello, di essere l’unico e di essere sull’onda, cioè di essere alla moda, di essere invincibile, trascinante, “spertu”, lontano anni-luce dalla mentalità dei ragazzi di paese: nei momenti pomeridiani di noia bofonchia: “nchia, ora mi faccio na canna” (lo spinello).

Non sarebbe il caso di interessarsi di costoro se non ce li trovassimo davanti, almeno per tre mesi l’anno.   FIRMATO: Il Jolly

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UNA LETTERA DI DISSENSO

Razzismo o bacchettoneria?

Finalmente anche Terrasini ha i suoi eroi del riscatto paesano, i neorisorgimentali. Forza Terrasini, Insorgi! E sui muretti di recinzione dal Lungomare ad Agghiannuni apparvero le prime scritte di liberazione: Terrasini libera dai TOTUCCI! Totucci go home.

Eroi paralleli esprimono la loro sprezzante satira contro gli invasori persino dalle pagine dl questo stesso giornale locale. Naturalmente il loro nome è segreto. Gli eroi amano sempre ammantarsi di mistero. Sembra serva di leva alla satira del nostro eroe letterato per delineare le caratteristiche antropologiche di inferiorità razziale del Totuccio . Le sue caratteristiche fisiche sono orripilanti: essi sono bassi e la loro circonferenza è spaventosa al contrario dei Terrasinesi che sono alti, magri e belli. Le Totucce , poi, sculettano con le loro natiche cadenti e si esibiscono in focose pomiciate. Svergognate immorali! Suvvia, superiamo l’ironia. Ma quegli articoli, quelle scritte non odorano troppo dl razzismo e di bacchettoneria? Sono davvero così differenti i costumi e la mentalità dei palermitani da quelli dei terrasinesi? È utile che in ogni crocchio di giovani terrasinesi anche colti si parli sempre con astio dei palermitani?

Il comportamento di questi terrasinesi somiglia sempre più a quello dell’eroe dei romanzi di Updike: Coniglio che, impotente di fronte agli altri, emarginato politicamente e culturalmente, odia i negri.’

Impotente di fronte all’anarchia in cui è abbandonato il paese, privo di guida politica e culturale, il piccolo borghese di Terrasini ha trovato un nemico su cui riversare tutte le colpe.

Se la spiaggia e il paese sono sporchi la colpa la si dà subito ai totucci: ma non sarebbe più giusto accusare i Comuni di Cinisi e Terrasini per il fatto che non provvedono le spiagge dei cassettoni necessari e che non fanno rispettare le leggi che vietano gli accampamenti e le tende in spiaggia con una normale vigilanza repressiva? E di chi è la colpa se la piazza è intasata tutte le sere e la gente litiga per una sedia? Dei “totucci”? Ma se da anni degli incompetenti gestiscono con enfasi asinesca l’estate terrasinese , concentrando in Piazza Duomo tutte le attività ricreative e culturali che nessuno segue perché preferisce bere qualcosa e farsi una chiacchierata con gli amici, mentre le altre piazze restano isolate e prive di vita come d’altra parte tutto il paese!

Terrasini è difficile da amministrare, ma i nostri amministratori nemmeno ci provano. E quanti di essi ne hanno la capacità? C’è da dire che impegnarsi nel sociale è pure faticoso e difficile; basti pensare a come la protesta per la chiusura dell’accesso di Cala Rossa sia stata per molti un fuoco di paglia. E allora è meglio continuare a prendersela con i “totucci”. L’ultimo romanzo di Updike si intitola: “Forza Coniglio”.

Salvatore Tocco

LA RISPOSTA DI SALVO VITALE

Parafrasiamo un’ode di Giosuè Carducci:

«Il totuccio, o vulgo sciocco

un pitocco non è già,

perchè ai pasti ben dispensa

e alla mensa sa buffar».

La nostra «Totucceide» è stato l’argomento di discussione di questa estate: molti l’hanno preso per quel che era, cioè una simpatica satira su un fenomeno comunque reale, e ci hanno riso su, altri invece, prendendola troppo sul serio, hanno gridato allo scandalo e al razzismo da una parte, o sono andati a fare scritte murali dall’altra («Fuori i Totucci!», «Totucci sporchi», «Fuori la Giunta»), qualcuno si è incazzato perché non aveva attentamente letto la premessa iniziale: “Il totuccio non è il palermitano, ma un certo tipo di palermitano…”.

Così, mentre a Venezia è esploso il problema dei saccopelisti, a Capri quello dei torsonudisti, a Terrasini abbiamo avuto il totuccismo, ben più grave, perché per eliminarlo non basta un’ordinanza del sindaco.

Sul Giornale di Sicilia del 15-7-86, in ultima pagina, abbiamo letto di “Una famiglia- tipo palermitana in cerca di mare”, che concordava, in buona parte, con quanto indicato da noi, segno che il totuccio esiste e non è un’asserzione metafisica.

Quello di fare del razzismo è il primo problema che ci siamo subito posti e abbiamo concluso che rivendicare il sacrosanto diritto alla tutela e al rispetto del proprio habitat non vuol dire essere razzisti, neanche per questa gente che esce disperata dalla città, per cercare un po’ d’acqua inquinata in cui far tuffare i bambini: è un diritto che a noi e a loro è stato sfacciatamente sottratto dalle continue privatizzazioni delle coste e dalla trascuranza, spesso complice, di tutti coloro che avrebbero dovuto farsene carico e farlo rispettare. E tuttavia quasi tutta questa gente continua a votare per i partiti e le persone che l’hanno turlupinata. Che fare?

Per il momento due cose:

1) riprendiamoci il mare, andando costantemente a denunciare alla magistratura coloro che chiudono gli accessi, il cui ingresso, per legge, deve essere garantito a tutti i cittadini;

2) individuare persone e fattori inquinanti, per imporre agli amministratori, anche con interventi di massa, una soluzione immediata e severa, dal momento che la sporcizia procura epatiti, dermatiti, micosi, ossiuri, tifo ed altre infezioni.

Quella di Cinisi e Terrasini è l’ultimo lembo di spiaggia rimasta libera per chi viene da Palermo: se ai palermitani piace starvi stipati in tre-quattromila, nessuno lo può impedire, anche se farebbero meglio ad abbattere cancelli e mura che si frappongono fra loro e il loro mare, da Carini all’Addaura, cioè riconquistare quello che naturalmente appartiene a loro, senza essere costretti ad impazzire dietro il poco di cui gli altri possono appena disporre.

Per tre mesi ci siamo scoperti in trentamila e più, dentro un paese diventato invivibile per i rumori e la sporcizia, espropriati di tutto, tranne che dell’identità di soggetti paganti, costretti ad adattarci ai prezzi da paese turistico. Abbiamo scoperto, ancora una volta, di non possedere strutture per far fronte a questa massiccia richiesta di evasione e di svago: il tutto è concentrato nella piazza, lottizzata dai bar e animata con spettacolini tappabuchi, senza prospettive di aperture culturali verso il resto del paese: il fondo quest’anno è stato toccato con la rappresentazione teatrale “Don Gesualdo e la ballerina”, un brutto soggetto infelicemente recitato, che non ha interessato nessuno. Malgrado ciò la gente esce e consuma.

Davanti alla gravità, in gran parte prevedibile, di questi problemi, le amministrazioni di Cinisi e Terrasini si sono trovate spiazzate, incapaci di soluzione, pronte solo a litigare sui confini o ad escogitare sapienti alchimie sull’utilizzazione e la distribuzione dei soldi disponibili. Ora che 1’«onda lunga» è finita, abbiamo un anno di tempo per pensarci. Ma non so se ci penseremo.

Quando ho scritto questa nota non conoscevo ancora il testo della lettera del mio buon amico Tocco, il quale ritengo si sia ampiamente e simpaticamente guadagnato la qualifica di « totuccio ad honorem» e un posto in paradiso: Cristo, in proposito, è chiarissimo: «Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli».

Senza volerlo, mi accorgo di avergli risposto, dicendo, in qualche modo, le sue stesse cose. Aggiungerò solo che:

1) rifiuto categoricamente l’osservazione che prendersela con i totucci è un modo per non prendersela con l’Amministrazione comunale, sulla cui inefficienza non credo occorrano commenti;

2) certe forme di radicalismo populista, secondo cui il popolo è buono, cattivo è chi lo governa, sono ormai improponibili davanti alla drammaticità storica del vissuto quotidiano e davanti all’offensiva delle trasformazioni di massa ecologiche e antropologiche che snaturano sistematicamente l’identità di ogni soggetto sociale.

In quanto allo pseudonimo, nella satira, come si sa, è di prassi, ma non ho alcun motivo per non firmarmi.

Salvo Vitale

e ricordarsi: “A curpa un’è d’u palermitanu, ma d’a munnizza ch’è luoidda!”.

 

 

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