Fascismo e donne (Enzo Ciconte)

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Pubblico volentieri questo breve contributo del grande studioso e storico calabrese Enzo Ciconte, della cui amicizia mi onoro. I soliti o “stoliti” storici negazionisti hanno come al solito cercato di ribaltare la frittata e  di valutare positivamente il compito delle donne, cioè essere macchine per fare figli e  crescerli. Il “nuovo” ruolo delle donne nel fascismo viene descritto in un discorso del 26 maggio 1927 da Mussolini. L’obiettivo era quello di  far aumentare il numero della popolazione italiana da 40 a 60 milioni di abitanti. La cosa più stupida èimages la convinzione che le donne siano meno intelligenti dell’uomo, come se i fascisti avessero qualche strumento per misurare l’intelligenza.

 

Fascismo e donne (Enzo Ciconte)

 

Mussolini ha fatto anche cose buone. Questo è il titolo di un fortunato libro di Francesco Filippi pubblicato da Bollati Boringhieri nel 2019. C’è una domanda intrigante: Mussolini valorizzò il ruolo femminile in Italia?

Vediamo un po’.

Il 20 gennaio del 1927, con un decreto legge, il Governo fascista ridusse i salari delle donne portandoli alla metà di quelli degli uomini. Sorreggeva questa impostazione l’ideologo economista Ferdinando Loffredo che anni dopo giustificava la scelta con queste parole: «La indiscutibile minore intelligenza della donna ha impedito di comprendere che la maggiore soddisfazione può essere da essa provata solo nella famiglia, quanto più onestamente intesa, cioè quanto maggiore sia la serietà del marito […] Il lavoro femminile crea nel contempo due danni: la mascolinizzazione della donna e l’aumento della disoccupazione maschile. La donna che lavora si avvia alla sterilità; perde la fiducia nell’uomo; concorre sempre di più ad elevare il tenore di vita delle varie classi sociali; considera la maternità come un impedimento, un ostacolo, una catena; se sposa difficilmente riesce ad andare d’accordo col marito; concorre alla corruzione dei costumi; in sintesi, inquina la vita della stirpe».

Mussolini su Il Popolo d’Italia nel 1934 riprendeva il concetto che le donne dovevano stare a casa a fare dei figli per il bene della patria: «L’esodo delle donne dal campo di lavoro avrebbe senza dubbio una ripercussione economica su molte famiglie, ma una legione di uomini solleverebbe la fronte umiliata e un numero centuplicato di famiglie nuove entrerebbero di colpo nella vita nazionale. Bisogna convincersi che lo stesso lavoro che causa nella donna la perdita degli attributi generativi, porta all’uomo una fortissima virilità fisica e morale».

Il pensiero del fascismo è chiaro: le donne sono meno intelligenti dell’uomo, non devono lavorare e devono stare a casa. Furono fatte numerose leggi per impedire alle donne l’accesso a determinate professioni. Chissà se le donne di destra ogni tanto riflettono su cosa avrebbe potuto succedere loro se il fascismo non fosse stato sconfitto. Tanto più perché a guidare la destra italiana è una donna che se non m’inganno non ha mai rinnegato queste politiche.

Per saperne di può leggere l’articolo di Franca Giansoldati sul Messaggero del 21 gennaio 2020

Enzo Ciconte 18 dic. 2020

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