Confiscati beni per 10 milioni di euro a un trafficante di reperti archeologici (S.V.)

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Questo articolo riporta un paragrafo del libro di Salvo Vitale “In nome dell’antimafia” (edizioni IOD Napoli) pag. 273.  Il 24 maggio 2022 è arrivata la confisca definitiva del patrimonio di Becchina, stimato in 10 milioni di Euro, che nulla di nuovo aggiunge a quanto in precedenza pubblicato, eccetto un misterioso incendio, scoppiato in un’ala del castello, residenza di Becchina, che ha distrutto alcuni documenti.

“«Se il cor di Becchina fosse diamante…» scriveva il grande poeta fiorentino Cecco Angiolieri nel 1300. Molti secoli dopo, il 15 novembre 2017 sono stati sequestrati i beni di Giovanni Franco Becchina (in foto), noto commerciante internazionale d’opere d’arte e reperti archeologici. Originario di Castelvetrano, il paese di Matteo Messina Denaro, Becchina è un imprenditore con una vasta cerchia di interessi, già titolare di una galleria d’arte a Basilea e proprietario o azionista di altre imprese che vanno dal commercio di cemento, alla produzione ed esportazione all’estero di prodotti alimentari e olio d’oliva. Il provvedimento di sequestro è stato emesso dal tribunale di Trapani – sezione Misure di Prevenzione – su richiesta dalla procura della Repubblica di Palermo.

Nulla di nuovo che già da tempo non fosse all’attenzione degli investigatori, soprattutto della Dia di Trapani. Per trent’anni Becchina avrebbe venduto reperti del sito archeologico di Selinunte, portati alla luce e trafugati da tombaroli, si dice al servizio di Cosa Nostra. Sono lontane nel tempo le ipotizzate collusioni con Francesco Messina Denaro, il padre del latitante Matteo, che avrebbe commissionato nel 1962 il furto del prezioso Efebo di Selinunte, ritrovato poi nel 1968.

Nel 1976 Becchina, dopo aver subito una procedura fallimentare, emigra in Svizzera, a Basilea, da dove manda avanti un’attività di commercio di opere d’arte e reperti archeologici, attraverso la ditta Palladion Antike Kunst. Le sue attività commerciali continuano in Sicilia, dove nel 1987 dà vita alla Atlas cementi Srl, della quale nel 1991 diventa socio Rosario Cascio, un imprenditore di Santa Margherita Belice accusato di essere uno dei cassieri dell’imprendibile Matteo Messina Denaro. Riuscendo a svicolare, per prescrizione, dalle accuse della procura di Roma (2001) di essere a capo di un’organizzazione dedita al traffico internazionale di reperti archeologici, e di agire grazie alla complicità dei direttori di importantissimi musei stranieri, a metà degli anni Novanta, Becchina era tornato a vivere stabilmente a Castelvetrano, dove aveva avviato attività economiche su vari settori ed effettuato rilevanti investimenti.

Ci occupiamo di questo caso poiché l’8 luglio 2017 Becchina ha rilasciato un’intervista a Telejato sostenendo di essersi rivolto al tribunale di Agrigento a seguito della liquidazione di una somma di circa 140.000 euro decisa dal tribunale a carico dell’Erario e a favore dell’amministratore giudiziario Elio Collovà, pertinente sia l’azienda Atlas Cementi in Mazara del Vallo, che il gruppo Cascio, in qualità di procuratore della società Olio Verde Srl, partecipante al capitale della sequestrata Atlas Cementi. Becchina sostiene che la richiesta del Collovà si basava su una realtà amministrativa palesemente mendace e che Collovà è stato un amministratore rovinoso, demolitore: «Il Collovà, d’intesa con il suo collega Cappellano Seminara, ha rinunziato a incassare per conto dell’Atlas la considerevole somma di oltre 200.000 euro con il fine evidente di favorire arbitrariamente l’azienda debitrice Sud Cementi Srl, amministrata dal Cappellano Seminara stesso. Malgrado, va detto, quest’ultimo avesse precedentemente messo a disposizione la metà della somma per chiudere la partita, il Collovà ha deciso di abbonargli la totalità del debito. Io penso che il giudice vorrà verificare questo fatto e la strada che hanno preso queste somme. In un secondo gravissimo caso, attraverso strumentali forniture di cemento del quale si guardava bene dal richiedere il pagamento, ha trasferito fondi Atlas – attorno al milione di euro – ad altra società da lui stesso amministrata (Calcestruzzi Mazara Srl), ma in braghe di tela in quanto a liquidità, onde inventare condizioni finalizzate al percepimento di ulteriori personali compensi, altrimenti impossibili». Becchina ha parlato anche dell’architetto Teresi, «per qualche striminzita pagina di perizia sul valore di un terreno, pagata cum summa abundantia con il danaro di una impresa più che florida prima che l’amministrazione Collovà ci mettesse mano» e ha aggiunto: «Una lettura di questa rilevanza mi sentirei più a mio agio nel farla alla conclusione del processo “Trattativa”. Non mi sorprenderebbe assistere a un eventuale ammorbidimento dell’accusa che dovesse sfociare in una sentenza alla volemose bene. In questo caso capirei il silenzio della stampa di regime, o variamente allineata, sul fatto sconvolgente che vede un così stretto familiare del pm antimafia che sostiene l’accusa, beneficiario della prodigalità di un Collovà a sua volta interessato, di tutta evidenza, a una corrispondenza di amorosi sensi con la procura antimafia».

Alcuni dei riferimenti di Becchina sono vaghi e fumosi, altri invece hanno trovato opportuni riscontri. Di fatto quattro mesi dopo questa intervista è scattato il sequestro dei suoi beni.

Nell’ultimo sequestro sono finite le aziende Olio Verde Srl, Demetra Srl, Becchina&Comopany Srl, 24 terreni, conti bancari, 4 automezzi, e 38 fabbricati, tra i quali l’antico castello Bellumvider di Castelvetrano, la cui edificazione si fa risalire a Federico II, nei secoli successivi eletto a residenza nobiliare del casato Tagliavia-Aragona-Pignatelli, principi di Castelvetrano. Il valore dei beni sequestrati, dato anche l’interesse storico e architettonico, è difficilmente calcolabile”.

PUBBLICATO SU ANTIMAFIA 2000 IL 26 MAGGIO 2022

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