Castellammare del Golfo: Artale: di giorno con l’antiraket, di sera a braccetto con il boss

 

arresti-mafia-castellammare-alcamo-carabinieri-30-marzo-2016

Vincenzo Parisi è  un imprenditore che fa parte dell’associazione antiracket di Alcamo,  alla quale appartiene un altro imprenditore, Vincenzo Artale, che è stato nominato nel suo consiglio di amministrazione. Parisi, ha denunciato Vincenzo Artale, con il quale ha partecipato in passato a diverse iniziative antimafia, fino a quando non si è reso conto che costui stava con due piedi in una staffa, faceva l’imprenditore antiraket, ma di fatto era  a disposizione del duo Saracino-Badalucco.  In attesa di definire il suo impianto di calcestruzzi ad Alcamo  Artale  si riforniva presso la Cesat Calcestruzzi di Cinisi”..  Assieme a Parisi un altro imprenditore, Francesco Pipitone, ha denunciato: “Prima mi rifornivo di cemento da Craparotta su indicazione di Badalucco, poi mi disse che aveva interrotto i rapporti con lui, non mi spiegò il perché, specificò solo che aveva iniziato a collaborare con Artale di Alcamo, con il quale stava realizzando un impianto di calcestruzzi insieme”. Tra gli affari di Artale, oltre che il controllo e la fornitura nell’edilizia privata, anche quello in appalti pubblici , come  il rifornimento alla Siar di Gioiosa Marea, che sta mettendo in sicurezza il viadotto di contrada Cavaseno di Alcamo, lungo la Palermo-Mazara. I metodi, quelli di sempre, intimidazioni e attentati nei cantieri a chi si rifiutava di rifornirsi presso di lui. Anche un altro imprenditore, Vito Colomba, , dopo avere cambiato ditta per la fornitura del calcestruzzo durante la realizzazione di un grande capannone ad Alcamo  e dopo un iniziale riserbo, ha deciso di vuotare il sacco:  “Mi dovete capire, non voglio mettermi sotto scopa ed avere problemi con nessuno. Se dico certi particolari voi li scrivete a verbale e le mie dichiarazioni si verranno a sapere in giro. E io non voglio problemi con nessuno”.

Per avere un quadro completo si riporta quanto si legge in un giornale online locale:

“Operazione “Cemento del Golfo”, trapelano i primi retroscena. Il burocrate si oppone e il clan allora si rivolse al primo cittadino Nicola Coppola

Quando la cosca capeggiata da Mariano Saracino decise di allargare i suoi affari, costituendo una società prima e realizzando una società prima e un deposito di  carburanti dopo, la Sp Carburanti , ad un certo punto trovati i soldi per costituire la srl si palesarono alcuni problemi burocratici in ordine alle autorizzazioni che il Comune di Castellammare del Golfo doveva concedere. Il relativo resoconto si coglie alla pagina 121 dell’ordinanza di arresto eseguita stanotte dai Carabinieri. Per il rilascio dei pareri il clan si dovette occupare di convincere l’allora ingegnere capo Giambattista Impellizzeri, il geometra incaricato Marcello Cascio. E quando i tecnici non si mostravano disponibili ecco che il clan ricorreva subito al sindaco Nicola Coppola. “Ieri quel cornuto non gliel’ha voluto dare…chi? Impellizzeri…vuole un parere vuole qua vuole la..anzi questo è uno con cui si ragiona”. Passava qualche giorno e nuova intercettazione: “ho parlato con Nicola (Coppola ndr)…mi ha detto che ci va a parlare e mi ha detto non ti preoccupare”. Gli intercettati a parlare sono oltre a Mariano Saracino, i fratelli Pietro e Martino Baldalucco, quest’ultimo è uno dei cinque arrestati di stanotte. Ma il nome del sindaco Coppola viene anche citato in altra parte dell’ordinanza allorquando gli investigatori ricostruiscono i lavori al cimitero di Castellammare del Golfo. Coppola non è intaccato in alcun modo dai provvedimenti giudiziari, emerge che il clan seguiva passo passo alcune sue attività. Come nel caso delle forniture di cemento per i lavori al cimitero. Ancora una volta ad essere intercettata è la voce di Mariano Saracino, è lui che a Vito Badalucco, altro arrestato della scorsa notte, dice di un articolo appena letto sul giornale dove c’è scritto che il sindaco Coppola ha preso impegno a favore di una azienda confiscata proprio a Saracino, la Calcestruzzi Castellammare: “…ma Nicola quali interessi ha…ci devo parlare” risponde Badalucco a Saracino. Anche in questi lavori Saracino riuscì a spuntarla. L’impresa aggiudicataria dei lavori accettò la fornitura dell’impresa di Vincenzo Artale, “senza fare alcuna indagine di mercato” è annotato nell’ordinanza, e come riferito dagli investigatori si è dissolto nel nulla l’impegno assunto dal sindaco a favore della Calcestruzzi Castellammare e che dal clan era stato commentato con fastidio quanto con stupore. Una operazione quella condotta la scorsa notte destinata perciò a far parecchio rumore. Già solo per la circostanza dell’arresto di Vincenzo Artale, un imprenditore che subì una estorsione nel 2006, che spesso in questi anni è andato a protestare in prefettura per il mancato riconoscimento economico, che si è associato all’antiracket di Alcamo, una associazione spesso al centro di polemiche già dalla sua costituzione, quando addirittura a firmare l’atto costitutivo fu l’allora deputato regionale Norino Fratello, che qualche tempo dopo patteggiò un’accusa di mafia. Ora il caso Artale, l’imprenditore che di giorno faceva l’antiracket e di pomeriggio andava in giro con il boss, Mariano Saracino.”

L’articolo di Rino Giacalone ricostruisce il quadro dei movimenti della mafia tra Alcamo e Castellammare del Golfo:

“Trentuno anni addietro la strage mafiosa di Pizzolungo provocata il 2 aprile 1985 dall’autobomba che la mafia aveva preparato per uccidere il pm Carlo Palermo, il magistrato che negli anni 80 a Trento prima e a Trapani dopo indagava sulle connessioni tra mafia, servizi segreti italiani e stranieri, per traffici di droga e di armi , inchieste ancora oggi secretate. Oltre 20 anni per arrivare alla solita sentenza che racconta a metà i fatti, sono stati condannati i mandanti, non ci sono gli esecutori e manca il movente. Trentuno anni dopo , appena la scorsa notte, i carabinieri del comando provinciale di Trapani, dei Ros e della compagnia di Alcamo hanno compiuto nella zona di Castellammare del Golfo una retata antimafia. Non c’entra nulla con la strage di Pizzolungo, ma il blitz dimostra come la mafia di ieri, quella carica di stragi e omicidi, è la stessa di quella che oggi fa impresa. Il blitz è stato denominato “Cemento del Golfo”, personaggio centrale Mariano Saracino l’imprenditore che durante il processo di primo grado per la strage di Pizzolungo – ecco il collegamento indiretto con l’eccidio del 1985 – si presentò ai giudici per fornire un alibi al maggiore degli imputati, il lattoniere di Castellammare del Golfo Gioacchino Calabrò, nella cui officina fu preparata l’autobomba per attentare al giudice Palermo. Per quella sua testimonianza solo a favore di Calabrò, il capo mafia dell’epoca, Vincenzo Milazzo, aveva deciso di uccidere Saracino, che fu salvato dall’intervento del boss di San Giuseppe Jato, Giovanni Brusca. Da quegli anni ’80 in poi Saracino, che pare avesse a disposizione contatti riservati con i servizi segreti, ha fatto carriera, è diventato il “ministro delle finanze” della mafia trapanese agli ordini di Matteo Messina Denaro dopo essere stato il “tesoriere” della cassaforte di Castellammare del Golfo dove per decenni sono stati riciclati i guadagni dei narcotraffici. Saracino fu arrestato sul finire degli anni ‘90 e anche condannato ma da un paio di anni era tornato libero, dopo avere scontato 10 anni di carcere, diventando il capo della mafia di Castellammare. I suoi affari erano diventati gli appalti e il cemento. La mafia non chiede più soldi per ottenere il “pizzo”, l’estorsione viene condotta con le forniture, il cemento in particolare. E l’indagine che stanotte ha portato agli arresti ha fatto scoprire che impresa sotto il controllo di Saracino era quella di un imprenditore, Vincenzo Artale, anche lui arrestato, che pur aderendo all’associazione antiracket non aveva esitato a mettersi a disposizione del boss. Nella storia di Mariano Saracino c’è tutto quello che appartiene alla mafia diventata imprenditoria così come ha insegnato a sapere fare il latitante Matteo Messina Denaro: il cemento e le speculazioni immobiliari, la costruzione di villette su terreni dove non sarebbe stato possibile costruire, nei luoghi più belli della Sicilia, come quelli di Scopello, a pochi passi dalla riserva naturale dello Zingaro, salvata dal cemento ma che ogni anno vede bruciare una sua parte a causa di roghi dolosi, l’imposizione del cemento, lo sfruttamento di risorse pubbliche destinate a creare nuova occupazione ma che determinano nuove povertà una volta che spariscono nei buchi neri della mafia. Nella storia di Mariano Saracino c’è la mafia che sa votare bene quando c’è da votare bene. C’è la storia della mafia di ieri, quella di oggi e già quella del futuro, quella che non porta più coppole e lupare ma ha i suoi uomini che vanno in giro in grisaglia e con appresso valigette 24 ore, con denaro che finisce nelle City europee, quelle dove si parla di spread, crisi e altro, le mafie sono quelle che portano i liquidi in questo periodo e si guadagnano nuove impunità. Ancora una volta è la trama mafiosa di sempre, una mafia che riesce anche a infiltrarsi nell’antiracket, ma i camuffamenti, come quelli tentati dall’imprenditore Artale non sono riusciti a resistere dinanzi alla nuova offensiva degli investigatori dell’Arma in questo caso. Nell’ordinanza del gip Aiello emessa su richiesta della Procura antimafia di Palermo sono molteplici le intercettazioni,

ma ci sono anche i verbali di alcuni imprenditori che hanno deciso di confessare gli incontri faccia a faccia con gli emissari di Saracino che senza mezzi termini ricordavano che se si veniva a lavorare a Castellammare “bisognava parlare con loro e con nessun altro”. Diversi gli appalti dove Saracino avrebbe imposto le forniture di cemento, inerti e automezzi, come quelli per una manutenzione stradale disposta dall’Anas, i lavori al cimitero di Castellammare, ma l’infiltrazione mafiosa sarebbe stata imposta anche a lavori privati, come la costruzione di magazzini e depositi. E l’impresa di Artale era quella sempre favorita, riuscendo a scavalcare le commesse di altre imprese, anche di imprese che si ritenevano intoccabili o imprese associate come Artale all’antiracket e che però Artale calpestava grazie a Saracino.

I nomi degli arrestati. Mariano Saracino, 69 anni, Vito Turriciano, 70 anni, Vito e Martino Badalucco, 59 e 35 anni, e Vincenzo Artale, 64 anni. Sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione aggravata, danneggiamento aggravato, fittizia intestazione aggravata, frode nelle pubbliche forniture e furto.”

(Rino Giacalone)

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