Case e casini, padri e padrini (Salvo Vitale)

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A 18 anni dalla sua morte l’ombra di don Tano aleggia ancora su Cinisi. 

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Gli ultimi anni di don Tano

L’ultima volta don Tano fu visto  (da chi scrive) in un bar-ristorante di Cinisi, vicino alla stazione, nei paraggi delle sue proprietà oggi confiscate, e del casolare, del quale è stata disposta la restituzione all’erede Vito. Era il luglio 1978, due mesi dopo l’uccisione di Peppino Impastato e tutti lo davano per “scappato” o nascosto, a seguito della sanguinosa guerra di mafia scoppiata con i corleonesi di Totò Riina per il controllo di Cosa Nostra. Secondo Buscetta,  egli allora sarebbe stato posato dal suo ruolo di capo della Commissione e sostituito con Michele Greco prima e da Totò Riina dopo qualche anno.  In realtà è stato accertato , come sostenuto anche da Falcone, che Badalamenti fu posato alla fine del ’78 e che quindi, al momento dell’omicidio di Peppino Impastato egli era a Cinisi nel pieno delle sue “funzioni”.   Dopodichè del boss si perdono le tracce, sino al momento del suo arresto, l’8 aprile 1984, a Madrid. assieme al fido figlio Vito. Estradizione negli USA, condanna a 45 anni di carcere per traffico di droga,  sino alla morte, in Massachusset, ad Ayer, in un centro medico , dove era stato trasferito dal carcere di Fairton

L’ombra del boss

Sia durante gli anni passati in prigione che dopo la sua morte, quella di don Tano è un’ombra che ha continuato ad aggirarsi su Cinisi,  non tanto per la sua numerosa parentela, ormai inoffensiva o emigrata altrove, ma per i suoi interessi e la sua eredità, non solo quella di capo dei capi, ma anche per quella dei suoi beni materiali. Qualche anno prima della  sua morte si era diffusa la voce che Badalamenti, ammalato di cancro, avrebbe potuto essere instradato in Italia e la madre fi Peppino Felicia visse per qualche periodo con questa paura, scomparsa solo con la morte del boss, nell’aprile 2004, otto mesi prima che lei stessa venisse meno, il 7.12.2004. Aveva resistito sino a quando non aveva visto morire tutti gli assassini, veri o presunti di suo figlio. L’ombra del boss si è poi intravista in diversi altri momenti, attraverso i cortei annuali per Peppino, attraverso  scritte murali del tipo “Viva la mafia”, “viva Badalamenti”, ma anche “Badalamenti boia”, attraverso, l’altro boss che ne prese il posto, Procopio Di Maggio,  in una scia di altri omicidi e altre sotterranee bravate, come quelle di una targa segnaletica appesa sulla via Peppino Impastato, con la scritta “Via Gaetano Badalamenti vescovo”, o come quella dei due cani uccisi a Giovanni Impastato davanti al suo negozio, per non parlare delle macchie di vernice rossa spruzzate sul muro dello stesso negozio nel novembre 2003.

Giovanni Impastato vernice rossa

   DSCN4538Il fratello partigiano

Altro rigurgito di memoria scoppiò nel maggio 2015, allorchè il neosindaco di Cinisi, Giangiacomo Palazzolo, a seguito di un mio articolo in cui denunciavo l’anomalia di una via intestata a Salvatore Badalamenti, fratello di Tano, spacciato per partigiano,  dal balcone di Casa Impastato annunciò la sua volontà di rimuovere l’intestazione. Apriti cielo!!!!! In contemporanea con  molti degli abitanti di Cinisi, orfani di don Tano, insorse, su pressione di qualche elemento locale, anche l’ANPI, si trovò che Salvatore Badalamenti era un partigiano ucciso dai fascisti il 23 aprile 1945 a S.Albano Stura- Ceriolo, (CN)  in uno scontro a fuoco e che esisteva addirittura un cippo con il nome dei cinque caduti. E così la via è rimasta, malgrado l’appello dello scrivente  a valutare “l’opportunità” di questa scelta.

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Divieto di pasto e sedute spiritiche

A partire dal 2001 la casa sul corso di Cinisi appartenuta a don Tano,  divenne sede saltuaria del Forum Sociale Antimafia, che la usava per le riunioni preparatorie e per l’organizzazione delle giornate di maggio per l’anniversario della morte di Peppino. Il Comune non aveva problemi a concedere la chiave e per la luce elettrica ci si arrangiava grazie a un vicino che concedeva di allacciarsi, il tutto con grande scandalo dei soliti benpensanti che scambiavano le riunioni operative per bivacchi. Il sindaco arrivò addirittura a scrivere un’ordinanza in cui si proibiva di mangiare in quella casa, sino allo scoppio di un altro scandalo nel 2013, perché, dopo l’organizzazione di un presepe vivente sulle terre e nel casolare abbandonato e confiscato, un gruppo di giovani organizzatori dell’evento aveva osato fare una mangiata di montone arrosto in quel posto. Si è arrivato praticamente a formalizzare una sacralità delle terre confiscate a don Tano, dove era proibito anche mangiare un panino o bere una birra.  E  poiché chi scrive, con qualche altro compagno avevamo alle spalle l’esperienza di “onda pazza” e della satira irriverente nei confronti del “sacro” don Tano, una sera che eravamo rimasti senza luce organizzammo una seduta spiritica nella sua casa: “Spirito di don Tano, noi ti chiamiamo,  se ci sei batti un colpo….bum bum… eccolo, è qua… don tano, suuuca”. Sorvoliamo sulle successive vicende di Casa Badalamenti, prima promessa all’Associazione Peppino Impastato, poi, dopo una serie di contrasti,  divisa con Casa Memoria al pianterreno e diventata, al primo piano, sede della biblioteca comunale dopo un lungo restauro, con scippo del garage, promesso all’Associazione.

Da una confisca all’altra

il-casolare-dei-badalamenti-1346708_56446105  Il casolare oggi conteso, che non è quello in cui è stato ucciso Impastato, ancora abbandonato al degrado dopo decenni di promesse di acquisizione e sistemazione. In principio era un rudere, più o meno come quello della canzone di Sergio Endrigo, “Era una casa tanto carina,.- senza soffitto, senza cucina, -non si poteva entrarci dentro -perché non c’era il pavimento,- non si poteva andare a letto, -in quella casa non c’era il tetto”.  Il rudere si trova all’interno di un vasto appezzamento di terreno in contrada “Napoli”, sopra la stazione ferroviaria di Cinisi-Terrasini.  Il 20 novembre 2007, praticamente allo scadere dei cinque anni dalla morte, previsti dalla legge, lo Stato, o, se si preferisce, la magistratura,  decideva, con molto ritardo, di  mettere sotto confisca i  restanti beni di Gaetano Badalamenti , in gran parte terreni agricoli, compreso anche  il rudere “tanto carino” cui abbiamo fatto cenno. La casa di Cinisi era invece già stata messa sotto sequestro dai Giudici Falcone, Borsellino, Guarnotta, Di Lello, il 4.4.1985 , sino alla definitiva confisca del 4.11.2009,  ( 24 anni ).  Alla confisca aveva fatto ricorso Teresa Vitale, moglie di don Tano , nell’aprile del 2009 , ma il ricorso era stato ritenuto inammissibile  da una serie di sentenze, da quella del 10 aprile 2014, all’ultima del 24 maggio 2019. E tuttavia gli avvocati difensori scoprirono che nel decreto di confisca non si era tenuto in adeguato conto di un particolare, ovvero di una “casa”, quella “tanto carina”, “ donata” da Fara Maniaci Badalamenti, sorella di Gaetano, al fratello. Non si trattava pertanto di un bene acquistato con denaro di dubbia provenienza, ma di un lascito. Nel maggio 2018 il figlio di Badalamenti, Vito, presentava un’istanza di    annullamento non del decreto di confisca di tutti i beni del padre, ma solo della particella in questione censita al foglio di mappa 12, come particella 134 e la Corte accoglieva il suo ricorso, decretandone, anche in appello, la restituzione, perché nel primo decreto d’esproprio del 2009 quella particella non c’era, non era citata, forse a causa di qualche dimenticanza di un funzionario dell’ufficio tecnico comunale Quando i giudici si accorsero della dimenticanza spiccarono un nuovo decreto di confisca, ma ormai i cinque anni previsti dalla legge erano passatie il bene andava consegnato all’erede ricorrente.

Il restauro e la restituzione

Nel frattempo, dopo la confisca, il Comune di Cinisi, al quale era stato affidato il patrimonio, otteneva un finanziamento di 370 mila euro dal GAL di Castellammare del Golfo e avviava una ristrutturazione della vecchia costruzione, rendendola  una casa abitabile, che il 28 gennaio 2021 è stata data in gestione a Casa Memoria Impastato, con l’obiettivo di realizzarne un centro culturale per iniziative antimafia. Anche qui sorgono dubbi su come si è potuto costruire  facendo riferimento a qualcosa che sulla carta non c’era o rispetto al dubbio decreto del 2014. Quindi, al momento della sentenza, Leonardo Badalamenti si è ritrovato proprietario di un bel caseggiato, dove all’origine c’era solo una stalla. La sentenza ha provocato una levata di scudi e una serie di proteste sia da parte del sindaco di Cinisi che dagli esponenti di Casa Memoria. Da entrambe le parti si sostiene che la restituzione è una sconfitta per tutta l’antimafia e che si rischia di assistere all’utilizzo di un pubblico finanziamento per il restauro di un rudere appartenuto a un noto mafioso ed ereditato dal figlio. Lo Stato che finanzia la mafia, ha detto qualcuno. “Non si può restituire il casolare alla mafia”, ha detto Giovanni Impastato, facendo irritare L. Badalamenti, che si è sentito calunniato, poiché egli sostiene  di essere incensurato.  Si presume che per lui basta essere incensurato per non essere mafioso. Qualcuno  ha visto una delle tante discrasie delle norme sui sequestri e le confische,  essendo nei poteri di un magistrato procedere a un sequestro e/o a una conseguente confisca di prevenzione, anche in assenza di prove: a maggior ragione si potevano e si potrebbero ritrovare elementi per una nuova confisca,  spulciando nella presunta carriera criminale di Leonardo Badalamenti.

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L’intervista

Merita attenzione un’intervista un’intervista concessa a Palermo Today il 7 marzo da L. Badalamenti: a proposito della stalla egli dice che “Non era un rudere, tanto che era persino abitato. Certo, in nostra assenza e senza interventi di ristrutturazione era malandato. Ma non tanto da impedire, per esempio, al comune di Cinisi, di organizzare al suo interno una manifestazione nel Natale 2012. Cioè ben due anni prima che la confisca fosse sancita dal tribunale e quindi all’insaputa di noi proprietari, ovvero un presepe vivente.”. La dichiarazione trasuda di inesattezze, se non vogliamo chiamarle falsità,    in quanto, sin dalle prime confische, l’immobile è definito “un fabbricato rurale adibito a stalla  con soprastante solaio e spiazzo di pertinenza”. La manifestazione del 2012,  cui fa riferimento Leonardo B. era stata organizzata poiché il Comune, avvalendosi della sentenza di confisca, aveva preso possesso dell’immobile, che, a quella data era già  ridotto male e che venne sistemato alla meno peggio. Che  una stalla potesse poi essere abitata non è credibile, come non lo è l’affermazione che  la manifestazione fosse stata fatta all’insaputa dei proprietari, che, sulla carta, non erano più tali: l’iniziativa era a conoscenza di tutto il paese già da qualche mese ed ebbe un notevole successo.

Sul casolare, che oggi non è più tale, L.B. è molto chiaro: si dice non disposto a lasciare il  bene al Comune o a Casa Memoria, come pegno di legalità , sia perché i giudici gli hanno restituito ciò che gli spetta, sia perché il Comune  non si è comportato correttamente, occupando il casolare prima della sua confisca, ristrutturandolo senza esserne proprietario e dandolo in gestione a Casa Memoria sei mesi dopo la sentenza di restituzione: si stupisce che pertanto Giovanni Impastato abbia accettato un affidamento di qualcosa  che si sapeva avrebbe dovuto essere restituita.  Sulle accuse di coloro che gli contestano di non avere mai preso le distanze con suo padre, anche qua la sua posizione è chiara: rispetto per le sentenze della magistratura, che lo ha sempre assolto, diversamente da quanto fa il mondo dell’antimafia, che gli si è scagliato contro, come se ne fosse colpevole di avere agito in difesa dei suoi diritti e di averli riconosciuti. Sul padre non esprime giudizi e riconosce di non potere essere imparziale. Anche sulla condanna per l’omicidio di Peppino Impastato sostiene di non avere gli elementi per potere valutare  e ritiene inaccettabile la richiesta di parte dell’opinione pubblica di rinnegare  il padre: “Ognuno deve essere giudicato per ciò che è e che fa, i figli non possono pagare per le colpe dei padri, è una visione arcaica. Inoltre ritengo che mio padre, se ha sbagliato, ha pagato abbondantemente, visto che ha trascorso 20 anni in carcere, dove è pure morto”.

Carriera di un incensurato

Leonardo B. sostiene: ”Sono incensurato, nonostante diversi processi subiti in 40 anni sono stato sempre assolto. Io rispondo delle mie azioni, non posso pagare per le eventuali

colpe di mio padre”.  In realtà  nei suoi confronti esiste un mandato internazionale di cattura emesso a San Paulo (Barra Funda)   in Brasile per associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti e falsità ideologica. L.Badalamenti  sostiene che vive in Sicilia dal 2017 e che, per due anni è stato sottoposto a misura di prevenzione e le forze dell’ordine hanno quotidianamente controllato  se era in casa. Facile pensare che Badalamenti sia tornato in Italia, dov’è incensurato, nel momento in cui è scattata la condanna in Brasile. Durante il suo soggiorno brasiliano Leonardo B.  si presentava come un uomo d’affari di nome Carlos Massetti. In Italia è finito agli arresti, per opera dei carabinieri del Ros, nel maggio 2009, nel contesto di un’operazione definita Mixer-Centopassi, con altre 19 persone, ed è stato scarcerato dopo un mese. Pare che, secondo la Dia, tra il 2003 e il 2004   fosse a capo di un’organizzazione internazionale, impegnato a negoziare titoli di debito pubblico provenienti dal Venezuela grazie all’opera di  un impiegato corrotto a garanzia dell’apertura di  linee di credito in banche estere , con tentativi di truffa nei confronti di filiali  della Hong Kong Shanghai Bank, della Lehman Brothers e della banca inglese Hsbc, per centinaia di migliaia di dollari americani. Di fatto  Leonardo B. oggi libero da qualsiasi misura cautelare.

Vito, l’altro rampollo

Al 2012 risalgono le ultime notizie dell’altro rampollo di don Tano, Vito, che a quella data dimorava in Australia. . Era inserito nella lista dei dieci latitanti più pericolosi d’Italia , stilata dal Ministero degli Interni,  dopo la condanna,   a sei anni, per associazione mafiosa, a seguito del processo maxi-quater, l’ultimo dei giudizi istruiti dal pool di Falcone, Borsellino e del giudice istruttore Leonardo Guarnotta. Per  sfuggire alla cattura, Badalamenti jr si diede alla latitanza, nel 1995: fu così condannato in contumacia, e la pena  divenne definitiva il 17 dicembre 1999. Dal 22 novembre 2000 è stato spiccato nei suoi confronti un mandato d’arresto internazionale.  Agli avvocati difensori Paolo Gullo e Vito Ganci è bastato attendere 12 anni, esattamente il doppio della pena inflitta per presentare,   alla prima sezione della Corte d’appello di Palermo, presieduta da Gianfranco Garofalo la domanda di estinzione del reato, ed ottenere facilmente una sentenza favorevole di prescrizione, grazie a una norma che prevede la libertà per il latitante che riesce a non finire  in galera per un tempo doppio rispetto a quello della condanna. Trascorsi 12 anni di latitanza il reato è prescritto e Vituzzu è tornato libero, anche di rientrare  in Italia quando vuole, senza alcun conto da regolare con la giustizia,  depennato pure dalla lista dei latitanti, facendo scorrere la graduatoria.. La sola misura ancora attiva – dopo che è caduta anche l’interdizione perpetua dai pubblici servizi – è la sorveglianza speciale,.

  Lascia stupefatti l’esistenza di una legge che premia la latitanza, anziché condannarla.

Vito, nato a Cinisi il 29 aprile 1954, è vissuto all’ombra del padre e lo ha seguito, assieme al fratello minore Leonardo, in  tutte le sue vicissitudini e peregrinazioni dallo scoppio della seconda guerra di mafia, cioè da quando i corleonesi di Totò Riina decisero di far fuori la vecchia generazione di mafiosi, il cui rappresentante più autorevole era Gaetano Badalamenti, padre di Vito. Nel corso della guerra vennero eliminati, a Cinisi, una trentina di parenti e soldati dell’esercito di quelli che Mario Francese chiamava “guanti di velluto”, cioè dei badalamentiani, e   Vito lasciò Cinisi insieme al padre nel 1981 per emigrare prima in Brasile, poi in Spagna dove venne arrestato, l’8 aprile 1984 a seguito di una complessa operazione internazionale concordata da funzionari della Squadra Mobile, della Criminalpol palermitana, della Guardia di Finanza, della DEA (dipartimento antinarcotici americano), della polizia spagnola e di quella svizzera: l’imputazione era di avere organizzato il colossale traffico di droga definito “Pizza connection”.  Malgrado don Tano fosse richiesto dalla giustizia italiana, venne estradato dalla Spagna negli Stati Uniti nel 1984, assieme al figlio Vito, il quale ha trascorso 4 anni in carcere poiché non ha pagato la cauzione fissata in diversi milioni di dollari. Alla fine del processo, mentre Don Tano è stato condannato a 45 anni di prigione, Vito è stato assolto da tutte le accuse. Su Wikipedia leggiamo: “La stampa lo accredita come latitante all’estero, in Brasile o forse in Australia, da dove continuerebbe a gestire affari con la mafia americana e con quella siciliana”. Vituzzo, visto che la “sua “ casa di Cinisi  è stata confiscata, se vuole, potrà dimorare nelle stalle malconce del feudo di Dainasturi, non sequestrato perché acquistato o posseduto  prima del 1952, anno in cui Badalamenti padre avrebbe iniziato la sua carriera criminale.

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