A proposito di Gino Scasso  (Beppe Nobile)

 

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Ci sono tanti “Gino Scasso” nei nostri ricordi.  Quanti una lunga e intensa attività pubblica finisce per mettere insieme nella stessa persona e nel tempo  che ha vissuto. Premetto che non si è trattato di una vicenda singolare. Tanti di noi,  nati a Partinico, per varie ragioni si sono trovati a vivere idee ed esperienze molto lontane da questa realtà, idee che costringevano a cambiamenti d’identità.

A un certo punto, negli anni immediatamente successivi al ’68, essere di sinistra non significò più votare semplicemente per un altro partito, mantenendo lo stile di vita e il senso comune più diffuso, come era avvenuto in passato. Significò essere diversi.

Non c’è bisogno di scendere nei dettagli: la musica, i colori, la moda erano il primo stadio di questa diversità che coinvolgeva più o meno tutti i giovani e comportava uno scontro fra generazioni, mentre la scolarizzazione di massa e la spinta egualitaria promuovevano la mobilità sociale e geografica e la condivisione di nuovi problemi e tensioni. (Nella foto  Gino Scasso e Mario Capanna alla manifestazione 0 maggio 2012 per l’anniversario di Peppino Impastato)

Un altro stadio riguardava i valori e la rivendicazione dei diritti: cominciò a diffondersi una diversa concezione della donna e dei costumi sessuali, ci fu la battaglia sul divorzio, si vivevano cambiamenti che non dipendevano da circostanze politiche esterne, ma da scelte  consapevoli di carattere personale.

Secondo una certa chiave di lettura, si espandeva enormemente la dimensione delle idee rispetto a quella della condizione economica per definire l’identità di ciascuno. E questa tendenza attraversava le classi sociali, induceva a mettere in discussione schemi e appartenenze del passato.

Ma ci fu per alcuni, sopra ogni altra cosa, il sentirsi parte di un movimento collettivo che “aboliva lo stato di cose presenti”, il “fiume furore” che Giorgio Gaslini diede come titolo a una sua composizione Jazz. Mi immagino Gino aggirarsi per le assemblee del ’68 e partecipare alle manifestazioni. Ho esatta memoria del suo racconto della terribile sera del 12 dicembre ’69 a Piazza Fontana e della tensione che si viveva nel centro di Milano. Non oso pensare a cosa era Gino Scasso quando arrivò alla “Università Cattolica” nel 1966, ho più chiaro ciò che era diventato quando ne uscì nel 1970.

A Partinico, come in gran parte d’Italia, si tenevano in quel tempo le elezioni comunali e un gruppo di vecchi socialisti raccolti nel PSIUP pensò di passare il testimone a un giovane neolaureato. Guido Pollice  (funzionario a metà tempo del partito a Milano, che poi diventerà senatore in quella città) fu incaricato di andare a trovare Gino  e di proporgli la candidatura, che si trasformò in seggio di consigliere con i 380 voti all’incirca raccolti dalla lista.scasso-2

Quell’anno è uno spartiacque. Gino finisce l’Università con una tesi di laurea in Antropologia e dopo un breve soggiorno a Parigi con una borsa di studio, ritorna in Sicilia ad occupare il suo seggio di consigliere ed un posto di animatore culturale in un Centro ACLI di Trapani. Torna per rientrare nell’alveo familiare e dare sostegno alla madre e al fratello, ma torna anche perché la sfida per il cambiamento è forte anche qui e si trasforma in una scelta di vita.

Ho pensato di dividere questa vita in successive fasi e di proporvi alcuni flash back.

Nella foto: Gino Scasso alla manifestazione in memoria di Danilo Dolci dicembre 2013

Nel ’71 è candidato alle regionali. Nel ’72 , alle politiche, il candidato è invece Franco Paparatti , in elezioni che sono il canto del cigno del PSIUP. (1)E’ una politica che però ancora non “buca”. Le esperienze di partecipazione sono allora focalizzate  nelle iniziative di Danilo Dolci e nella sede  dell’UNLA , nelle lotte degli studenti che non confluiscono in scelte di partito. Poi ci sono le nuove elezioni comunali e improvvisamente il PdUP di Gino, erede della precedente formazione, coagula fra i ‘74 e il ‘75  la contestazione di Partinico in una lista di 32 ragazzi  che si raccorda con aggregazioni analoghe nei territori vicini, che Lui attraversa ogni giorno con una mitica “mini” rossa, zeppa di carte e volantini.

Gino è rieletto e il PdUP diventa un punto di riferimento, con la sua sede in piazza e la “Radio Onda Libera” nella sua soffitta. Il partito sarà destinato di lì a poco a disarticolarsi e a ricomporsi secondo l’indole di ciascuno e l’inguaribile tendenza della sinistra a dividersi, ma la provocazione culturale resta e lascia il segno.

La Radio, creata insieme a una parte del PCI con le attrezzature usate anni prima da Danilo, è un formidabile momento di crescita culturale. Peppino Impastato, che ci “copia” subito con “Radio Aut”, è presto un punto di riferimento per tutta la zona insieme al “Circolo Musica e Cultura” e dà vita a quel geniale sberleffo che fu “Onda pazza”.

Sui temi più politici, per anni, ogni domenica, veniva portato in piazza un cartellone scritto a mano: elaborazione collettiva che denunciava le malversazioni locali. Spesso la narrazione era arricchita da disegni e illustrazioni: ricordo i topi con lo scudo crociato o il simbolo repubblicano che affiancavano un manifesto sulle carenze dell’igiene pubblica, o la raffigurazione di un sindaco che faceva il bagno in vasca durante una crisi idrica.

Partinico conosceva intanto la più vigorosa crescita economica della sua storia, dentro un modello di sviluppo che coniugava clientelismo, disordinata espansione edilizia e sofisticazione del vino,  mettendo ai margini ogni altra idea di società. Un feroce sistema mafioso ci cresceva  intorno e noi eravamo lasciati giocare con le nostre utopie.

Ci svegliammo la mattina del 9 maggio ’78. L’uccisione di Peppino ci fece comprendere le vere ragioni di una scelta di fondo  rischiosa e tragica che loro due condividevano lucidamente, sapendo declinare la scelta anti sistema di noi tutti in concrete battaglie politiche. Quel giorno nessuna tipografia di Partinico volle stampare il manifesto, preparato da Gino  e da Salvo Vitale, in cui campeggiava la parola Mafia listata a lutto e la chiara denuncia della matrice del delitto. Si stampò lo stesso ad Alcamo, toccando con mano un isolamento destinato a durare.

Nel 1979 Gino vince il concorso per l’insegnamento e continua la sua esperienza fra i giovani anche nella forma ufficiale di educatore.

Negli anni ’80 tutti iniziamo ad attraversare un lungo tunnel, all’uscita del quale , fra i pochi rimasti, non ci si riconosceva neppure.

Alle comunali del 1980 l’egemonia democristiana si fece schiacciante: 22 seggi su 32, solo 4 al PCI e niente al PdUP (diventato nel frattempo Democrazia Proletaria). Ma questa egemonia si incrinò con le lotte per le case popolari del 1984-85 e con l’inquinamento provocato dalla crescita abnorme della  Bertolino. Il benessere diffuso appena acquisito mostrava le sue crepe con la creazione di nuovi poveri e la produzione fuori controllo di scorie non assimilabili dall’ambiente.

Questi temi produssero anche uno sdoppiamento dentro DP.  Il gruppo originario, già sfoltito da defezioni e emigrazioni varie, si provò a rappresentare sia i bisogni degli esclusi, sia il disagio dei ceti medi colpiti dagli effetti indesiderati della modernizzazione degli anni precedenti.  Era difficile, dentro tutta la sinistra e, direi, entro tutta la politica, tenere insieme esperienze e linguaggi sempre più diversificati. Dopo le comunali del 1985, in cui è eletto di nuovo consigliere, Gino vive un conflitto che lo porta ad abbandonare l’identità della sinistra radicale per assumere quella di ambientalista, in una scelta che lo vede più chiaramente impegnato nel territorio. Alle elezioni del ‘90 entra in Consiglio provinciale con i Verdi e avvia una guerra serrata all’inquinamento della foce del “Nocella” (anche contestando un compromissorio progetto di bonifica elaborato in quella sede), mentre maturano le premesse del generale tracollo della prima repubblica, sotto il peso degli scandali.

Nel 1992, a seguito delle stragi di maggio e luglio, monta un forte movimento antimafia e si creano le condizioni per un rivolgimento anche a Partinico. Fino alla primavera di quell’anno i partiti di governo raccolgono in paese l’82% dei consensi, ma si capisce che è un’adesione forzata dal bisogno di spesa pubblica, pronta a disintegrarsi alla prima verifica. E la verifica arriva con le elezioni comunali del ’93: la pressione al ricambio del ceto politico e un diverso sistema di elezione del Sindaco portano alla ribalta nuovi movimenti, si inaugura l’amministrazione Cannizzo e si avvia una lunga fase di cambiamento.

Non fu un ricambio fisiologico. Per chi, come me, vi ebbe parte diretta, si trattò di un contrastato rinnovamento che dilaniava in primo luogo la variegata compagine che lo intraprese. Gino stesso vi si impegnò con vicende alterne, da che si trovò a vivere con disagio il ruolo di comprimario cui la carica di vice sindaco lo costringeva. Ma il disaccordo con Gigia Cannizzo si focalizzò a un certo punto attorno al nodo reale della revoca delle concessioni edilizie rilasciate alla distilleria. Tale passo, che lui proponeva e che a qualcuno appariva risolutivo, poteva essere compiuto dal Sindaco solo a costo di esporsi personalmente in un contenzioso già abnorme: in quel momento il Comune era impegnato in 16 procedimenti legali contro la Bertolino! E lo scontro assunse anche toni grotteschi, con l’occupazione del Comune da parte degli operai o l’irruzione della Sig.ra Bertolino nell’Ufficio Urbanistica, a interrompere una riunione tecnica con Gino, assessore in carica, per denunciarne le “perfide trame”. Furono anni di tensione aspra con i potenti locali e di forti divergenze fra noi, ma non venne mai meno la condivisione di valori comuni, mentre si rese evidente, nelle realizzazioni concrete e nelle buone pratiche che si produssero, l’utilità del nostro impegno.

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Il confronto con l’acquiescenza di altre sindacature  è shoccante. Si può a buon diritto affermare che, nella lotta ormai pluridecennale all’inquinamento, Partinico ebbe, per una fase, amministratori con la schiena dritta . Altro che compromessi di delocalizzazione!

Nella foto: Gino Scasso a casa di Salvo Vitale – Capodanno 2010

In continuità con quell’esperienza, gli anni più recenti di Gino sono stati dedicati alla Lega Ambiente. Dalla fine dei ’90, la sua capacità di rilanciare ha continuato a sorprenderci: parlare alle nuove generazioni e trasmettere una passione civica senza costrizioni ideologiche; realizzare documentati dossier e intervenire su vari temi con cognizione di causa (sempre la Bertolino, ma anche i rifiuti o il rischio alluvioni o la tenuta del verde urbano, ecc.); coinvolgere diverse competenze e assicurare una presenza viva in tutte le occasioni di dibattito cittadino. “Pensare globalmente e agire localmente” sono forse le parole che danno più senso a queste sue azioni e sciolgono in forma pragmatica il dilemma che a tanti di noi si è presentato in questi anni: si può lottare per il cambiamento anche quando viene meno un progetto complessivo e risolutivo di società? Gino ha mostrato e praticato una risposta positiva e l’ha ribadita la sera dell’8 novembre 2014, in quel suo ultimo intervento, così significativo, reso noto dal video di “Terrasini Oggi” (http://www.terrasinioggi.it/2014/11/23/gino-scasso-lultimo-discorso/5474/# ).

Abbiamo quasi il dovere di raccoglierla. Non abbandoniamo questo territorio, non tralasciamo la lotta all’inquinamento senza compromessi, incalziamo i poteri pubblici e sforziamoci di suscitare il senso di responsabilità condivisa che occorre ad ogni consorzio umano che si vuole migliorare.

Per l’immediato, propongo di lavorare a uno strumento di incentivazione allo studio del territorio (es. premio a tesi di laurea) che sia intestato a Gino Scasso. Si tratta di individuare procedure e risorse. Alcuni amici si sono già resi disponibili e molti possono dare un contributo, anche in ambito di istituzioni scolastiche e di amministrazione comunale. Proviamoci almeno.

Lascio ai ricordi di ognuno gli  aspetti più intimi della persona, compresi quelli burberi che ben conosciamo e su cui così spesso abbiamo sorriso. Ma per essi valgono bene i versi di B. Brecht:

Noi,

che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,

noi non si poté essere gentili.

Ma voi, quando sarà venuta l’ora

che all’uomo un aiuto sia l’uomo,

pensate a noi

con indulgenza.

Giuseppe Nobile

1  L’agronomo F. Paparatti, collaboratore di Danilo Dolci, operò a Partinico fra il 1969 e il 1983 insieme alla moglie psicologa Danielle. Fu tra i fondatori del Consorzio, poi Cooperativa, Irrigua Jato e  segretario dell’Alleanza Contadini (dal 1992 CIA). Oggi vive in Francia.

2  Unione Nazionale per la Lotta all’Analfabetismo, centro di animazione culturale creato da alcuni docenti collaboratori di Danilo Dolci.

 3 Inclusi due vecchi militanti del primo socialismo: Saro Turdi all’epoca ottantenne e Pietro Speciale, antifascista  già negli anni ‘20.

4 Voglio qui ricordare che anche l’amministrazione Motisi si produsse, negli anni 2005-07,  in uno sforzo notevole di salvaguardia del territorio e, particolarmente, di controllo degli scarichi della distilleria, fino ad annoverare, fra i suoi assessori, uno dei tecnici più competenti e più aborriti dalla Bertolino: il chimico Ino Genchi.

(memoria letta all’incontro di lunedì 29 dicembre 2014, presso la sede di Rifondazione a Partinico)

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