6 agosto 1980: uccidono Gaetano Costa
Palermo: immagino la scena nel palazzo di giustizia. Nella stanza del Procuratore Generale Gaetano Costa, intento a firmare una pila di fogli che gli stanno davanti, entra Rocco Chinnici:
-“ Tutti in ferie e tu al lavoro. Cosa stai facendo?”
Costa: -“Quello che i colleghi sostituti si sono rifiutati di fare. Sono arrivate minacce e avvertimenti da tutte le parti e si sono spaventati. Guardali adesso al piano terra: “E’ stato lui a firmare, io non c’entro”. Così si sentono liberati. Ma li capisco. Quando si sentono bruciare la sedia sotto il culo si muovono tutti, mafiosi, massoni, piduisti, neofascisti, politici e militari”
Chinnici: -“Già, non si vuole che si facciano certe indagini. Sono tutti mandati di cattura?
Costa: -“Oltre trecento. Tutta la crema di Palermo. Ma andiamo a scambiare due parole. Qua nulla sfugge”.
E’ una prassi ormai collaudata: chiamano l’ascensore, entrano, vanno su e giù per alcune volte.
Costa parla a bassa voce: -“Spatola, Gambino, Inzerillo, Bontade, Di Maggio, Vernengo sono gli attuali padroni di Palermo, con i politici che li coprono, Lima, Ruffini, Gioia, Ciancimino. Ci sono on mezzo anche Joseph Miceli Crimi, il medico di Sindona e Pippo Calò, che sta a Roma a fare il cassiere. Tutti ammanicati bene l’un l’altro. Se mi succede qualcosa voglio che sia tu a continuare. E stai attento. Questi sembrano, anzi sono perdenti. Il pericolo viene da più lontano.”
Chinnici: -“Badalamenti?”
Costa: -“No, anche lui è fuori causa. Posato. Era il terzo uomo del triumvirato, assieme a Stefano Bontade e a Totò Riina con la sua banda di Corleonesi. Ora pare che al suo posto ci sia Michele Greco, “u Papa”. A proposito, che mi sai dire del caso Impastato?”
Chinnici: -“Ce l’ho messa tutta, ma è come sbattere in un muro di gomma. A parte le indicazioni che mi hanno dato i suoi compagni non ho trovato uno spiraglio, una testimonianza per andare avanti.”.
La notizia arriva mentre sto mangiando una pizza da Giovanni: hanno ucciso Gaetano Costa. : E’ un brutto colpo. Sono sicuro che, senza il suo intervento di sollecito al giudice Signorino il caso di Peppino sarebbe stato insabbiato e archiviato come suicidio o come attentato terroristico. Davvero gli dobbiamo tanto. Lapidario il commento di una persona seduta a un tavolo vicino:
-“Ma iddu pirchì nun si faceva i fatti suoi?”
Mi incazzo, mi alzo e ribatto:
-“Guardi che si faceva i fatti suoi, faceva il suo lavoro, che è quello di mandare dentro mafiosi e delinquenti!”.
Mi guarda come fossi un extraterrestre.
(dal libro di Salvo Vitale “Cento passi ancora” – editore Rubbettino 2014, pag. 104)
Quadro di Gaetano Porcasi