22 maggio 1978 : un delitto tra amici (S.V.)

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43 anni fa in una mia pagina di diario. Per una strana, ma non troppo, coincidenza, la stessa tesi del “delitto in famiglia” verrà riproposta con l’omicidio di Mauro Rostagno. E’ il colpo di genio più schifoso per distruggere non solo la vittima, ma anche tutti coloro che hanno creduto in lui o che hanno sostenuto le sue stesse idee. (S.V.)  

 

Ormai è estate. Vado a bagnarmi i piedi a mare, ma non ho il coraggio di andare oltre. Mi sposto in piazza masticando la mia inquietudine e accompagnandola con mezza birra.  C’è qualcosa che non mi convince: una sorta di calma, quasi una consegna del silenzio, sembra essere caduta sulla conduzione delle indagini. Totò è un amico d’infanzia, con cui ci vediamo ogni tanto, sempre con reciproco affetto. Niente di politico. Ha qualche pretesa intellettuale ed è “ammanicato” con tutta la cricca politica democristiana locale. Sospettiamo che sia un informatore dei ca[1]rabinieri: vado a trovarlo, per sapere qualcosa di ciò che bolle in pentola. Senza giri di parole mi dice:

-Stanno cercando qualcuno che era assieme a Peppino, sicuramente un suo compagno, che lo avrebbe aiutato a compiere il gesto e che avrebbe, dalla batteria della macchina, dato il contatto elettrico per far brillare l’esplosivo. Anche tu sei nella lista. Qualcuno che avrebbe aiutato Peppino a morire o che avrebbe casualmente fatto scoppiare l’esplosivo mentre lui lo stava preparando, per poi scappare, è una folle ipotesi cui non avevo proprio pensato.

– E poi? chiedo.

– E poi, la titolare del bar Munacò avrebbe detto che Peppino, verso le otto e mezzo si sarebbe fermato lì per prendere un whisky 69 e sarebbe poi andato via con qualcuno che non ricorda.

Non ho mai visto Peppino bere whisky.

– E poi? ripeto.

– Potrebbe trattarsi di un suo compagno o amico a cui avrebbe dato un appuntamento.

– E poi? ruggisco.

– Potrebbe essere la persona che, con la scusa di dargli qual[1]che informazione riservata, lo avrebbe condotto sul posto dove lo attendevano i suoi assassini.

– E poi? grido.

– Potrebbe anche essere che questi assassini fossero i suoi stessi compagni. Non c’erano stati scazzi tra di voi? Peppino non aveva occupato la radio?

– E poi? urlo.

– E poi il cerchio è chiuso, lo avreste ucciso voi stessi, la mafia non c’entra.

All’infamia non c’è limite. E tutto appartiene alla logica mafiosa, che penetra come un virus tra le persone più semplici, ma anche tra il perbenismo borghese e ipocrita ed è disposta a ricorrere a qualsiasi carognata pur di trovare la soluzione più comoda che non compro[1]metta gli equilibri secolari della società. Un delitto in famiglia: non è la prima volta che si ricorre a questa ignobile trovata: un traditore esisteva anche tra i dodici apostoli. I compagni assassini sono una comoda verità che elimina la credibilità di tutto il gruppo e dà una parvenza di dignità alla vittima, nel caso qualcuno ancora pensasse bene di lui.

(dal libro di S.Vitale “Cento passi ancora” – Rubbettino 2014)

Nella foto: I funerali di Peppino

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