Peppino Impastato, un antieroe senza cittadinanza  

 

 

 

Oggi 8 maggio, nell’ambito delle manifestazioni per ricordare il 38° anniversario dell’assassinio di Peppino Impastato, presso il salone dei Carmelitani a Partinico Salvo Vitale e Faro Di Maggio incontreranno 200 ragazzi, provenienti in gran parte da varie scuole del Nord Italia, per parlare del tema “Sulle orme dei vari eroi”.  Ma Peppino è un eroe?IMG-20160504-WA0006 (2)

Definizione del termine “eroe” riportata dal  “Grande dizionario della lingua italiana della De Agostini:   “nelle antiche civiltà, individuo di natura semidivina, dotato di eccezionali virtù e autore di gesta leggendarie”: come secondo significato : “chi dimostra straordinario valore guerresco, o è pronto a sacrificarsi coraggiosamente per un ideale” . E invece, secondo  il passato Berlusconi e il suo sodale Dell’Utri, il loro tempo è stato pieno di eroi: eroe è stato definito Vittorio Mangano, suo stalliere e già capofamiglia di Porta Nuova, (motivazione: perché non ha parlato con i magistrati, cioè siamo all’apoteosi dell’omertà), “un eroe italiano” è stato considerato la buonanima di Mike Bongiorno, al quale, non si sa per quali occulti meriti, sono stati fatti funerali di stato, (dopo che il poveraccio era stato trattato a pesci in faccia dallo stesso Berlusconi ), eroi sono stati definiti i soldati morti a Kabul  nel feroce attentato dei talebani. Nel primo caso abbiamo come eroe un noto mafioso, nel secondo un bravo parolaio e nel terzo alcuni ragazzi il cui eroismo è caratterizzato dalla voglia di mettere da parte qualcosa dei 6650 euro mensili di stipendio, per i bisogni della famiglia. In quest’ultimo caso non posso fare a meno di ripetere quanto ha detto recentemente Gino Strada, fondatore di Emergency: ”In Afghanistan spendiamo per il contingente 3 milioni di euro al giorno. Con quello che abbiamo speso finora si sarebbero potuti costruire e gestire 600 ospedali e 10.000 scuole e nessuno ci avrebbe sparato addosso”.  A parte tutto, così facendo il divin Silvio ha sminuito anche se stesso, essendo lui e lui solo l’eroe, cioè “l’individuo di natura semidivina dotato di eccezionali virtù e autore di gesta leggendarie.” Non scherziamo con le cose serie: gli altri non sono eroi, ma comuni mortali vittime della retorica nazionale dilagante.

Ma voglio parlare, nel 38° anniversario della sua morte non di un eroe, ma di Peppino Impastato, un antieroe ancora senza cittadinanza. L’8 maggio 2002 , nella pagina regionale, “La Repubblica”  pubblicava un servizio su Peppino Impastato con il titolo: “Cinisi rende omaggio al suo eroe”.  In verità, in quel titolo c’erano due errori: Cinisi non ha mai reso un vero omaggio a Peppino Impastato e dubitiamo che, per l’immediato futuro, possa farlo. L’altro errore era quello di qualificare Peppino come un eroe.

Per la prima considerazione, è il caso di fare qualche passo indietro: il 9 maggio del ’78 il paese accolse con soddisfazione, o quantomeno con un certo senso di liberazione, la notizia che “il figlio di Luigi Impastato era andato a mettere una bomba sulla ferrovia ed era saltato in aria”. Tutti sapevano che non era vero, ma tutti volevano ostinatamente credere in quella falsa verità che li rendeva liberi dal dover pigliare posizione di fronte a una figura così ingombrante e li assolveva dal costante rimprovero mosso da Peppino nei loro confronti, di essere complici della mafia,  Secondo le strategie della “comunicazione nascosta” si diffondevano ad arte false notizie, che diventavano verità comuni difficili da smentire. Ancora oggi, per molti, Peppino era un pazzo, un “lagnusu”, uno che non voleva lavorare, che non voleva studiare, un esaltato, un avventuriero che agiva così perché voleva essere ammazzato, onde riscattare con la morte la propria inutile vita: quasi quasi, chi lo aveva ammazzato gli aveva fatto un favore. Le notizie di “radio-ombra” erano un efficace antidoto a quelle trasmesse da Radio Aut, che bisognava non ascoltare: si diceva che alla radio c’erano terroristi, esaltati, estremisti, pervertiti sessuali, drogati, perdigiorno ecc.: la borghesia benpensante proibiva radicalmente ai propri figli di frequentare la radio o di ascoltarla. Nei nostri confronti scattò allora una sorte di cordone sanitario che alla fine,  due anni  dopo la morte di Peppino, finì col soffocarci e farci spegnere il trasmettitore. Qualcuno insinuava addirittura che Peppino sarebbe stato ucciso dai suoi stessi compagni, non si sa per quali oscuri contrasti emersi tra di loro, o comunque tradito da qualcuno di essi, che lo avrebbe dato “in pasto” ai mafiosi, con la promessa di fornirgli informazioni. Ancora oggi “radio-ombra” lavora diffondendo le sue falsità: una delle notizie che circola a Cinisi è che Giovanni Impastato ha incassato miliardi con il film “I cento passi”, adesso con quello su sua madre Felicia,  altri milioni avrebbe ricevuto come vittima della mafia e altri ancora come indennizzo processuale: a sentire questa gente ci troviamo davanti a una sorta di nababbo che usa il nome di Peppino solo a suo uso e vantaggio. E’ il caso di dire che Giovanni, ad oggi, per quel che ne so, ci ha sempre rimesso moltissimi quattrini di tasca sua nell’organizzazione di iniziative, ma la falsa notizia è utile per gettare discredito su di lui, come prima si era fatto con il fratello. Gli si imputa di avere diffuso l’immagine di Cinisi come quella di un paese mafioso, di parlare di suo padre come di un mafioso, quando invece , si dice che Luigi Impastato era una brava persona che con la mafia non c’entrava, e i più cattivi scendono in particolari personali, costruendo artificiose e surreali notizie. Nella vicenda Impastato, Cinisi, ove si escluda lo “zoccolo duro” di alcuni suoi compagni, non c’è mai stata, ha disertato costantemente trentasei anni di manifestazioni, dibattiti, interventi di personaggi di spicco: ogni anno in pochi, le solite facce, davanti all’indifferenza e alla diffidenza di chi se ne sta sornione dietro la finestra avvolto nel suo “parla quanto vuoi, tanto non ti sente nessuno”,oppure, al passaggio della turbolenta invasione di ogni 9 maggio, “calati iuncuca passa la china”.203Peppino 1977

Si potrebbe obiettare che Cinisi, negli ultimi anni ha avuto due giunte progressiste, che si è costituita parte civile al processo contro Impastato, che a Peppino Impastato è stata finalmente intestata una strada (cui, qualche anno fa, ignota mano ha sovrapposto la scritta “via Gaetano Badalamenti vescovo”), oltre che l’aula consiliare, che i ragazzi delle scuole medie hanno fatto pregevoli lavoretti su Peppino, ma tutto questo non cambia la generale ostilità nei confronti di una persona ancora oggi ritenuta scomoda ed estranea al tessuto culturale del paese: alle manifestazioni i cinisensi si possono contare sul palmo d’una mano. Circa dieci anni fa, quando il Consiglio Comunale è stato sciolto per collusioni con la mafia,  il paese si è  chiuso a riccio e si è difeso dicendo che si trattava di una speculazione politica del Polo, allora al governo, nei confronti d’una giunta di centro-sinistra: ovviamente lo stesso paese non ha esitato a scegliere altri sindaci, non importa di quale colore, che permettessero una tranquilla gestione degli affari del territorio ai vari “amici degli amici” che ancora vi proliferano. Il paese, che, malgrado la proclamazione di lutto cittadino, aveva quasi ignorato il funerale di Felicia Impastato,  ha partecipato in massa ai funerali di Peppone Di Maggio, figlio del boss Procopio, salutando il feretro con applausi e chiudendo le saracinesche al suo passaggio.  Cinisi è il paese di Saveria Palazzolo, moglie di Bernardo Provenzano, così come pure del “ministro dei lavori pubblici” di costui, Pino Lipari, già individuato da Peppino nel 1978 come speculatore mafioso in merito alla vicenda del villaggio turistico Z 10, di cui  è azionista. A Cinisi continuano a muoversi gli eredi di grandi famiglie mafiosi, come i Badalamenti, i Di Trapani, gli Impastato, che ancora oggi troviamo al centro delle cronache giudiziarie. Se qualcuno prova a chiedere  a Cinisi  dov’è la casa di Peppino Impastato, viene guardato con un’aria diffidente: la risposta è “Ma…Non lo so…Impastato chi?”.  Per non parlare di una scolaresca di Bagheria che recentemente, è arrivata col pullman a Cinisi: la professoressa che li accompagnava ha chiesto a due giovani in macchina: “Scusate, dov’è la casa di Peppino Impastato?” E uno dei due sapientoni: “Ma che andate cercando? La so io la vera storia di Peppino Impastato…” La professoressa gli ha subito risposto: “Visto che è così bene informato, perché non ce la racconta?”, ma i due polli hanno preferito mettere in moto e andar via. Un altro bell’elemento, il nove maggio, vedendomi passare con una maglietta raffigurante Peppino, rivoltosi al suo cane ha detto: “Amunì a casa, che oggi c’è a processione cu u santu”. Un paese irredimibile? La tentazione di definirlo tale è grande, se ogni tanto non si notassero vaghi spiragli di novità, ben presto risucchiati dal conformismo generalizzato. Esistono giovani con idee chiare,che hanno fatto o hanno voglia di fare scelte d’impegno civile, ma che stanno a una certa distanza da Peppino Impastato, dai suoi compagni, dalla sua famiglia, quasi fermati da arcane paure, da interiori, spesso inconsci stimoli a mantenere le distanze, per non lasciarsi coinvolgere da qualcosa che non fa parte del loro modo di essere, qualcosa che presenta oscuri significati, che comporta il rischio di esclusione dal contesto sociale rappresentativo del paese, di cui si desidera far parte. Peppino era e rimane un corpo estraneo nella storia di Cinisi, una minaccia per alcuni valori sedimentati e intoccabili, come la famiglia, il rispetto dei ruoli, l’accettazione passiva delle prepotenze mafiose, la furbata, la conservazione degli equilibri sociali, la possibilità di avere un contatto, un collegamento, un trait-d’union, una via d’accesso con chi “conta”, chi può aiutarmi a conseguire un obiettivo, non importa con quali metodi. Il concetto di “rottura” , tipico delle generazioni del ’68, rimane lontano in un contesto sociale in cui il “non allineamento”con il modo di essere della maggioranza automaticamente comporta l’esclusione, la messa ai margini, la mancanza di punti d’appoggio o di riferimento, la tasca vuota, l’incapacità o la scarsa voglia di fare i conti con se stesso. Insomma, Peppino è cinisaro come Gaetano Badalamenti, ma se ai cinisara viene chiesto di schierarsi con uno dei due, si può facilmente prevedere che con Peppino si schiererà la solita minoranza.

Sull’altra questione di “Peppino eroe” va detto che Peppino è stato uno di noi, ha vissuto come noi le esperienze del suo tempo, cercando di starvi dentro come testimone e come protagonista, ci ha lasciato un esempio di coraggio, ma che la definizione di eroe sarebbe la prima cosa che egli stesso avrebbe rifiutato: se la lotta contro la mafia si considera un fatto normale e civico e non un atto d’eroismo, è possibile che il suo messaggio, come lui sognava, possa diventare una comune, normale e doverosa scelta della società civile e di chi la governa, viceversa resterà qualcosa da delegare ad altri, definiti eroi, resi irraggiungibili, che diano un alibi e una copertura alla nostra incapacità o mancanza di volontà.

I cambiamenti sono lentissimi e non tutti positivi. Qualche giorno dopo la morte di Peppino, parlando a Cinisi in un comizio, Umberto Santino disse: “Fino a che queste finestre rimarranno chiuse, il sacrificio di Peppino sarà stato inutile”.Sono passati trentotto anni e le stesse finestre sono in gran parte ancora chiuse come allora, in una mesta sensazione di solitudine, di ovattato distacco. Gli eroi dormono o sono stanchi: è bene lasciarli nel loro sonno e trasformare noi stessi in eroi, cioè in esseri normali che, molto spesso, proprio per la loro normalità, in questa società diventano eroi.

Salvo Vitale

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