Neofascismo: La Repubblica di Weimar all’amatriciana (Pietro Orsatti)

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di Pietro Orsatti

Mai come in questa campagna elettorale il rischio di mandare a rotoli il lento e difficile percorso della nostra democrazia è stato così evidente. Mai come in queste settimane la nostra Costituzione è stata messa a rischio non tanto nelle forme di “architettura istituzionale”, quanto nei principi fondanti della nostra democrazia nata dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale e del Ventennio Fascista.

La destra neofascista ha avuto negli ultimi anni uno spazio inimmaginabile fino a poco tempo fa, una sorta di lasciapassare che distorce e mortifica la storia dell’Europa e dell’Italia. Un processo lento e sotterraneo che 25 anni fa di colpo venne alla luce. In maniera inequivocabile. Facendo leva sulle paure, blandito da forze politiche populiste che soffiando proprio sui timori degli italiani mentre cercavano di intercettarne i consensi hanno permesso una sorta di sdoganamento di organizzazioni come Casa Pound e Forza Nuova che ormai non cercano neanche di mitigare la propria origine fascista.

Anno 1992. A pagina 5 del numero de “L’Unità” del 18 ottobre il titolo dell’articolo di apertura è eloquente: «A Roma marciano i fascisti». Il sommario dell’articolo a firma di Alessandra Baduel spiega quello che è accaduto nella capitale: «Mani inguantate di bianco, ma braccio teso nel saluto romano, ieri almeno cinquantamila missini hanno sfilato per le vie di Roma passando per piazza Venezia al grido di “Duce!” e “Boia chi molla!”. 11 corteo era “contro la tangentocrazia, la Lega di Bossi e la manovra economica del governo”, ma gli slogan più gridati, soprattutto sotto il balcone da cui parlava Mussolini, erano quelli fascisti». Ancora non c’era stata “la svolta di Fiuggi” e il Msi – da lì a poco trasformato in Alleanza Nazionale – incassava consensi con l’emergere di Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica. La creatura voluta da Gianfranco Fini si alleò con la Lega di Umberto Bossi e il partito azienda Forza Italia di Silvio Berlusconi poco più di un anno dopo. Si parlò, dopo lo scioglimento del Msi, di post-fascismo, della nascita di una nuova destra che superava le nostalgie del ventennio mussoliano. Era l’alba del nuovo ventennio del berlusconismo.

Un processo quello che si avviò in quel periodo storico che lentamente, ma senza mai interruzione ha attraversato e condizionato la politica fino all’esplosione xenofoba e populista emersa drammaticamente in queste settimane. «Nei palazzi, nell’establishment che si prepara di nuovo a conviverci, nei ceti popolari colpevolizzati perché reattivi ai messaggi populisti – Scriveva Marco Damilano, nel numero 3 del 2018 de “L’Espresso” impietoso nella sua analisi dello sdoganamento dei temi della destra neofascista che sono tracimati nei partiti del centro destra e in parte perfino in alcuni segmenti del centro sinistra – La destra crea la solitudine e poi si candida come soluzione sostituendo alle calde appartenenze del passato i feticci del sovranismo, della patria, del sacro suolo. Scatena la rabbia sociale nei confronti delle disuguaglianze e poi si spartisce nella villa del miliardaio di Arcore i collegi, ovvero il consenso prodotto da quella rabbia per una disuguaglianza insopportabile».

Anno 2018, 6 gennaio. Nel popolare quartiere della Magliana a Roma Casa Pound mette in scena un’Epifania fascista. «Piazza de Andrè, Magliana – scrive su Face Book Davide Di Stefano, responsabile romano di CasaPound – Si è svolta questa mattina la festa organizzata da Casa Pound Italia in occasione dell’Epifania. Mini-tornei di calcetto, distribuzione giocattoli e dolci per i bambini del quartiere. Durante la festa abbiamo effettuato una distribuzione di pane per le famiglie che assistiamo quotidianamente. Vogliamo tornare a vivere i nostri quartieri e recuperare l’aspetto comunitario e sociale di una festa ormai dimenticata da tutti, istituzioni territoriali in primis”. Sempre sui social network il candidato alla presidenza della Regione Lazio Mauro Antonini pubblica una foto dell’iniziativa, mostrando i banchetti organizzati dai militanti nel quartiere. E commenta: «Perché il popolo italiano deve tornare ad essere una comunità organica di destino», slogan degno di essere inciso nella pietra al “Foro Mussolini”, oggi conosciuto come “Foro Italico”.

Il giorno successivo, il 7 gennaio anniversario della strage di Acca Larentia, sempre Casa Pound mostra i muscoli. Il resoconto pubblicato dalla testata online “Affari Italiani”, a firma di Marco Zonetti, sembra far tornare indietro di decenni l’orologio della retorica. «Un corteo partito nel primo pomeriggio dalla sede di Casa Pound a Via Napoleone III per terminare sul luogo della strage. Un silenzioso fiume di persone, seimila secondo alcune stime, molte di più secondo altre, addirittura ottomila, governato dai ragazzi di Casa Pound muniti di pettorina che hanno saputo guidare una folla immensa nell’ordine più marziale. Neanche la minima scalfittura ha intaccato la “testuggine” di simpatizzanti e militanti che ha sfilato per le vie del quartiere Tuscolano confluendo nella piazzetta di Acca Larentia. […] Gianluca Iannone, fondatore di CPI, il vicepresidente Andrea Antonini, Davide Di Stefano, responsabile CPI Roma, e il coordinatore Marco Casasanta vigilavano invece sull’impeccabile contenimento delle migliaia di persone nella stradina di Via Evandro e nell’ancor più piccola piazzetta. Un trionfo logistico, culminato nel coreografico “Presente”, ovvero il saluto romano ai tre giovani martiri, saluto romano che CasaPound riserva esclusivamente alla commemorazione dei caduti. Seimila e più braccia alzate all’unisono è una visione che in Italia è ormai relegata ai documentari dell’Istituto Luce, e tale visione calata nella realtà di un quartiere romano nel Ventunesimo Secolo è sicuramente suggestiva, o inquietante a seconda di come la si pensi sul Fascismo». Con tanto di “F” maiuscola che non sembra proprio un refuso.

Già, «a seconda da come la si pensi sul fascismo». Il prode Zonetti sa di potersi destreggiare con una retorica mutuata dall’imperiale dialettica del fu Starace – da non confondersi con Storace che di lavoro fino e belle lettere non ha mai masticato – senza incorrere in insulto o sghignazzo consapevole di essere in buona compagnia. Che altro poteva pensare il nostro pugnace cronista quando il 30 dicembre 2017 il quotidiano romano “Il Tempo” elegge il suo uomo dell’anno? In prima pagina la mascella del Duce, Benito Mussolini e chi si è visto si è visto.

Casa Pound che sfiora il 10% dei consensi a Ostia nelle elezioni per il X municipio di Roma a fine 2017 e poi lo show dopo pochi giorni sotto la sede de “La Repubblica” e de “L’Espresso” con tanto di minacce e intimidazioni messe in atto da Forza Nuova infastidita da una seri di articoli delle due testate sulle fonti di finanziamento della creatura di Stefano Fiore. Contemporaneamente tifoserie che si trasformano in falangi di militanti che inneggiano al ritorno del fascismo e della cultura italica di un popolo da sempre campanilista e soprattutto evidentemente meticcio e non ariano. E ancora il sindaco di Pesaro minacciato di morte, gli scontri e le azioni squadriste in Emilia Romagna. E quella riunione di volontari e associazioni a Como interrotta sempre a fine autunno 2017 da skin veneti. E tutto questo dopo due decenni di Bangla tour (raid di giovanotti fascistissimi contro immigrati del sub-continente asiatico), aggressioni, pestaggi, ferimenti e omicidi “di lama” o di pistola contro militanti dei centri sociali, gay, immigrati. E poi a febbraio Macerata e la coda violenta e velenosa di una delle più brutte e spaventose campagne elettorali della Repubblica. E ancora gli scontri in piazza in mezza Italia, a Torino e Bologna in particolare. La spaccatura forzata da chissà quale esigenze elettorale del Partito Democratico che ha evidentemente forzato l’Anpi e la Cgil da chiamarsi fuori dalla grande manifestazione antifascista di Macerata e che ha mortificato le due grandi organizzazioni democratiche della sinistra, quella ispirata dalla Resistenza e quella dei lavoratori. Per non perdere voti, perché il populismo e la paura ha preso il sopravvento.

«La disamina degli eventi cyber occorsi a livello internazionale nel 2017 ha portato all’attenzione anche il filone delle campagne di influenza che, prendendo avvio con la diffusione online di informazioni trafugate mediante attacchi cyber, hanno mirato a condizionare l’orientamento e il sentimento delle opinioni pubbliche, specie allorquando queste ultime sono state chiamate alle urne». E ancora. «La destra radicale ha dimostrato un dinamismo crescente – con la nascita di nuove sigle cui aderiscono soprattutto fasce giovanili – che appare alimentato dal tentativo di gruppi d’area di intercettare le istanze nazionaliste e i sentimenti di insofferenza verso la presenza extracomunitaria, istanze e sentimenti che trovano numerose parallele espressioni in ambito europeo […] aumenta il pericolo di contaminazioni e di forme emulative rispetto a circuiti esteri a più marcata connotazione oltranzista così come quello di azioni xenofobe di forte impatto legate a pur sempre possibili incidenti di percorso nella convivenza con le realtà immigrate, specie in aree e contesti dove sia già presente un diffuso disagio sociale». Questo si legge nella relazione dei Servizi di sicurezza al Parlamento consegnata nella seconda metà del mese di febbraio 2018. Gli strumenti della propaganda sono cambiati e i social media amplificano a dismisura sia la disinformazione che il clima di allarme soffiando sul fuoco del populismo più grezzo e violento.

Una situazione pericolosissima quella che sta attraversando in questa fase il nostro Paese. Come al tempo della Repubblica di Weimar in Germania in cui i partiti tradizionali di destra o di centro inseguivano non tanto i metodi quanto i temi del nazionalsocialismo e i partiti di sinistra divisi erano più concentrati a mettere in atto una guerra fratricida. Al centro di quella crisi della prima democrazia tedesca, e non sarà un caso ruotasse attorno non solo attorno alle conseguenza della crisi economica causata dal crollo delle borse del ‘29 ma da un lato sulla legge elettorale che mutava continuamente in un tentativo di tenere in piedi l’area centrista e il terrore di una svolta a sinistra, anche se socialdemocratica e moderata nonostante che la Spd, come l’attuale centrosinistra italiano, appoggiasse la scelta centrista nazionalista perdendo consensi e credibilità fino alla svolta definitiva che portò all’incarico a cancelliere di Hitler dopo più di un decennio di erosione della sinistra, all’epoca pur se divisa sulla carta maggioritaria, e al dissolvimento della prima democrazia tedesca.

Cerco un brano di Norberto Bobbio dal suo elogio alla mitezza. «Ho in mente le magnifiche pagine scritte da Hegel sugli uomini, come egli li chiama, della storia universale, i fondatori di stati, gli «eroi»: sono coloro cui è lecito ciò che non è lecito all’uomo comune, anche l’uso della violenza. Non c’è posto tra loro per i miti. Guai ai miti: non sarà dato loro il regno della Terra. Penso agli epiteti più comuni che la fama attribuisce ai potenti: magnanimo, grande, vittorioso, temerario, ardito e, sì, anche terribile e sanguinario. In questa galleria di potenti, avete mai visto il mite?». La mitezza non appartiene a questo tempo, alla politica e agli affari, alle vite private e all’informazione. La semplificazione non è un valore, è nella complessità della descrizione della realtà che si riescono a individuare cortocircuiti e contraddizioni. E questa storia di una destra xenofoba e demagogica che va a tracimare con sempre maggior frequenza nel linguaggio e nelle azioni tipiche di un truce tribalismo con aree dichiaratamente neofasciste che raccolgono consensi impensabili fino a pochi anni fa è il nostro quotidiano. Azioni piccole, continue, e poi punte eclatanti come l’attacco intimidatorio al L’Espresso e La Repubblica, ma anche quella bombetta nell’ascensore del palazzo di via Tomacelli dove aveva sede la redazione de “il manifesto” di qualche decennio fa (che fu un signor segnale che nessuno volontariamente colse). Azioni squadriste, minacce, intimidazioni, aggressioni. Ma non meno responsabile la cosiddetta destra moderata abile nello strumentalizzare la forza d’urto della “destra impresentabile”, che rincorre consensi e alimenta le paure degli italiani. Sono loro, i post fascisti dichiarati o camuffati da neoliberisti illuminati mai pentiti che soffiano sul fuoco, strumentalizzano le paure, e sempre più spesso vedono il paese reale sfuggirgli di mano.



Pietro Orsatti Writer – editor tel: +39 345 4458104 mail 1: orsatti.pietro@gmail.com mail 2 (pro): orsatti.pietro@outlook.it blog: www.orsattipietro.wordpress.com Twitter: @orsatti63 Facebook: pietro.orsatti

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