La strage di Portella della Ginestra, quel 1° maggio di morte (Stefano Marcuzzi)

Era il 1947. Nei pressi di Palermo una strage di lavoratori, donne e bambini spezzò il governo regionale del Blocco del Popolo. La prima dell’Italia repubblicana. Ancora oggi, su quel mistero italiano pesa la mancanza di molte, troppe risposte. E un’ombra dei servizi segreti USA, per piegare la Sinistra vittoriosa in Sicilia

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LA STRAGE – Quel giorno sul “sasso di Barbato” era salito per il tradizionale comizio Giacomo Schirò, un calzolaio, segretario della sezione socialista di San Giuseppe Jato. Quando cominciò a parlare i lavoratori innalzarono con orgoglio le loro bandiere rosse frammiste ai tricolori. I primi colpi risuonarono secchi nell’aria immota. Una vecchia credette che fossero mortaretti e cominciò a battere le mani. Rideva. Poi un mulo cadde con il ventre all’aria. A una bambina, d’improvviso, la piccola mascella si tinse di sangue. C’era gente che cadeva in silenzio, altri scappavano urlando, mentre la polvere in ampi vortici ricopriva tutto. La carneficina durò pochi minuti, poi le armi tacquero, il gorgoglio del fiume Jato si mischiò ai lamenti dei feriti, le alture coperte di ginestre si arrossarono di sangue. Era il 1° maggio 1947, giorno della strage di Portella della Ginestra, la prima strage dell’Italia repubblicana.

IL PRIMO MAGGIO – Il Primo Maggio in molti Paesi del mondo si celebra la Festa del Lavoro (o dei Lavoratori) per ricordare l’impegno del movimento sindacale e i suoi traguardi in campo economico e sociale, in particolare l’orario di lavoro quotidiano fissato a 8 ore. La sua origine risale a una manifestazione organizzata a New York il 5 settembre 1882 dai Cavalieri del Lavoro (Knights of Labor), un’associazione fondata nel 1869. Nel 1884 in un’analoga manifestazione i Knights of Labor approvarono una risoluzione affinché l’evento avesse una cadenza annuale. Altre organizzazioni sindacali affiliate all’Internazionale dei lavoratori suggerirono poi come data della festività il 1° maggio, per ricordare le vittime di un altro corteo sindacale finito in tragedia: nel 1886 la polizia americana sparò sui lavoratori in sciopero in piazza Haymarket, Chicago.

In Italia la festa fu proclamata nel 1891, su proposta della Seconda Internazionale. Durante il Fascismo fu soppressa, sostituita da una festa del Lavoro italiano, il 21 aprile, e soprattutto dalla festa per i natali di Roma, il 27. Fu ripristinata il Primo Maggio con l’Italia repubblicana. Ma con la strage di Portella della Ginestra nel 1947 la festa si macchiò di sangue: una strage che per molti è il primo mistero della nostra Repubblica.

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MISTERO ALL’ITALIANA – Quel 1° maggio a Portella della Ginestra si erano riuniti lavoratori, agricoltori, donne e bambini della provincia di Palermo. Non era solo l’annuale appuntamento con la Festa dei Lavoratori: migliaia di persone erano lì per celebrare la prima vittoria di una coalizione di Sinistra nella nuova Repubblica Italiana: il Blocco del Popolo, che univa il PCI di Togliatti e il PSI di Nenni e che aveva sbaragliato la DC nelle recenti elezioni per l’Assemblea Regionale Siciliana. Improvvisamente dal monte Pelavet partirono sulla folla in festa numerose raffiche di mitra e granate, provocando 11 morti e 27 feriti(alcuni dei quali sarebbero poi morti per le ferite riportate). Il giorno seguente, il ministro Mario Scelba intervenne all’Assemblea Costituente affermando che dietro l’episodio non vi erano finalità politiche: doveva considerarsi un fatto circoscritto.

L’Inchiesta successiva, condotta con lentezza e superficialità – il processo iniziò solo nel 1950 – identificò come colpevoli della strage di Portella della Ginestra gli uomini della banda di Salvatore Giuliano, il leggendario bandito detto il “Robin Hood” della Sicilia. Ma perché un bandito contadino come Giuliano decise di sparare contro i contadini dei suoi stessi paesi?C’erano dei mandanti? E chi insabbiò le indagini successive per decenni? Interrogativi rimasti senza una risposta sicura, anche perché i banditi arrestati, fra cui Salvatore Ferrerò detto “fra Diavolo”, furono uccisi il 22 luglio nella caserma di Alcamo: secondo il generale Giallombardo durante un tentativo di fuga.

MAFIA E POTERE – Solo recentemente alcuni storici hanno gettato nuova luce su quei tragici fatti, cercando testimonianze inedite che completassero le ricostruzioni parziali delle carte dell’inchiesta. Sandro Provvisionato (Misteri d’Italia, Laterza, 1994) e Carlo Ruta (Il binomio Giuliano-Scelba, Rubettino, 1995) hanno sostenuto che dietro la strage di Portella della Ginestra vi fosse un preciso piano politico, di cui gli esecutori materiali, Giuliano e i suoi, erano solo delle pedine. La mafia e una parte politica che con essa stringeva i primi, ambigui rapporti di potere, volevano delegittimare la vittoria delle Sinistre. Nel mese successivo all’eccidio, infatti, assalti a colpi di arma da fuoco, con morti e feriti, furono registrati anche alle Camere del Lavoro di San Giuseppe Jato, Carini, Borgetto, Monreale, Cinisi e Partinico. Si impose così la chiusura delle sezioni comuniste nel territorio per un lungo periodo e si potenziò il dominio mafioso in quei paesi. Il caos produsse un terremoto politico alla Regione che, nonostante il risultato elettorale, portò rapidamente alla formazione di un governo di emergenza di centrodestra. Tutto questo dimostrerebbe che l’eccidio non fu un fatto di banditismo locale.

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L’OMBRA AMERICANA – Ma Giuseppe Casarrubea e Nicola Tranfaglia (Portella della Ginestra 50 anni dopo, Sciascia, 2001) si sono spinti più in là. Basandosi sui rapporti desecretati dell’OSS e del CIC (i servizi segreti statunitensi nella Seconda guerra mondiale) hanno denunciato l’esistenza di un “patto scellerato” in Sicilia fra la banda di Giuliano ed elementi del Fascismo di Salò (in primis, la X MAS di Junio Valerio Borghese e la rete eversiva del principe Pignatelli nel meridione). Giuliano, il “re di Montelepre”, era poi attorniato da personaggi ambigui come Mike Stern, spia USA accreditata come giornalista, ex funzionari dell’Ovra, Ciro Verdiani, il nazifascista Giuseppe Cornelio Biondi, altri ex fascisti prima arrestati e poi rilasciati dagli Alleati per essere utilizzati in misteriose “azioni a medio e lungo termine”; per non parlare del più illustre boss Lucky Luciano, liberato nonostante una condanna negli USA e stranamente avvistato in Sicilia proprio dopo lo sbarco alleato.

Non solo: sul pianoro, dopo la strage di Portella della Ginestra, restarono 800 bossoli e, di questi, quelli che uccisero furono una minima parte: 81, esplosi da un mitra Beretta calibro 9. Ma Giuliano aveva un mitra Brada calibro 6 e i suoi uomini fucili mitragliatori calibro 7,6. Per sapere a chi appartenesse la Beretta non venne avviata alcuna indagine, così come per le schegge dei colpi di lanciagranate che la folla inizialmente aveva scambiato per mortaretti. Erano piste che portavano oltre i banditi: curiosamente, si trattava di armi in dotazione agli uomini dell’Office of Strategic Services, guidato in Italia dal comandante James Angleton.

LA MEMORIA OGGI – Insomma, quella del 1° maggio 1947 fu probabilmente la prima strage di Stato dell’Italia repubblicana, dettata dagli scenari della Guerra fredda, e segnerebbe quindil’inizio della cosiddetta “strategia della tensione”. In quei luoghi oggi un memoriale ricorda le vittime della strage di Portella della Ginestra. Ma un compito ancor più importante spetta alla politica: il ricordo di quei morti merita anzitutto Verità, e poi un’attenta riflessione.

Come ha notato Giuseppe Casarrubea, «fra l’oggi e quei lontani avvenimenti vige, a ben vedere, un preciso nesso. Nel pianoro di Portella venne forgiato infatti un peculiare concetto della politica che giunge in sostanza sino a noi». La delegittimazione violenta dei cortei operai, oggi diremmo della “piazza”, è una costante che ritorna in tutti i momenti caldi della nostra storia politica, anche molto recente. Fra un concertone di Piazza San Giovanni e qualche (immancabile) sermone buonista dei nostri politici, sarebbe giusto ricordare il senso della parola Lavoro nel nostro Paese. E ridare il giusto peso storico e politico all’art. 1 della nostra Costituzione.

(Un articolo di Alessio Marcuzzi, dal blog Daily Storm)

Il quadro è di Gaetano Porcasi

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