VIAGGIO  DALLA STORIA ALL’INFERNO, PASSANDO PER PARTINICO  

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VALGUARNERA-BARONIA-TAURRU,

Il posto è bello e ricco di storia. Vi si accede da un bivio della Partinico-Alcamo, a circa 3 km da Partinico. Un cartello all’inizio segna la non transitabilità della strada   , che invece è notevolmente trafficata: essa costituisce il transito più breve per coloro che dall’entroterra, in particolare da Sal Giuseppe Jato, Sancipirello, Corleone, vogliono andare verso Trapani, soprattutto in periodo estivo , per la balneazione. Ma il posto è transitato in autunno, anche per la presenza di uno dei più attrezzati e frequentati oleifici partinicesi.

Il percorso inizia con  circa un km  di strada del tutto sfossato e di difficile transito, dove quando piove si accumula una grande quantità d’acqua che rende impossibile il transito: frequenti le richieste di soccorso ai vigili del fuoco. Si accede quindi a uno svincolo che va, da una parte verso la via che conduce a San Giuseppe Jato e alla vicina Diga, dall’altra verso una località con contrade e denominazioni  diverse, Baronia, Valguarnera, Taurru, Giancaldaia, Vernazza, Monacelli, Campo,  e altre due zone anticamente indicate come Grassuri e Lirati . La fontana pubblica, in altri tempi funzionante, adesso abbandonata, e una costruzione, con una torre,  denominata Torre Vernazza al bivio, e i ruderi di altre costruzioni testimoniano come il luogo, a partire dal 1600 acquistasse una notevole importanza, grazie al matrimonio tra Francesca Paruta, baronessa dei feudi di Taguro e Ragali e il già citato Alfonso Saladino, un nobile palermitano che ebbe dal re  Filippo IV nel 1605 la concessione di “popolare” il feudo. Valguarnera divenne un borgo che nel 1653 era abitato da 301  persone e che nel 1798 perse la sua autonomia e fu accorpato al territorio di Partinico.  Il toponimo Baronia è comprensibile, se ci si richiama al titolo nobiliare di Francesca Paruta: stesso titolo anche per “Alfonso Saladino, barone di Raxhali e Valguarnera”, il cui stemma di famiglia, effigiato nella fontana, …”è composto da una sbarra che attraversa lo scudo con un piè di palma sopra e sotto, nella metà dello scudo, vi è la testa di un turco denotante il Saladino d’Egitto” (Biblioteca storica e letteraria di Sicilia). Stranamente Valguarnera è diventato, in dialetto, Malavarnera, ma non è una distorsione partinicese, perché anche a Cinisi esiste un “bosco di Malavarnera”. Origini più lontane ha il toponimo Taurru, che si trova anche riportato come Taguro o Taurus e il cui evidente riferimento dovrebbe essere quello di un toro. Nel “Liber Pontificalis” si cita, tra i beni della chiesa romana, nel 700 una  “massa taurana” localizzata in c/da Monacelli, che costituiva un insediamento di una certa consistenza .

 

valguarnera 100_0132_0001Il sito torna alla ribalta nel 1860, allorchè, durante la ritirata dei 2500 soldati borbonici, sconfitti a Calatafimi da Garibaldi, un gruppo di coraggiosi partinicesi, per vendicarsi di precedenti angarie subite nel primo passaggio delle truppe al comando del generale Landi, prepara  un agguato con uno scontro  con scambi di fucile e cannonate, che costringono i volontari partinicesi a ripiegare. Le povere case di Valguarnera vennero rase al suolo dai soldati regi, ma la retroguardia borbonica, nei pressi del paese venne di nuovo assalita dai partinicesi e massacrata con tale violenza che anche Garibaldi, al suo passaggio da Partinico si calò il cappello sugli occhi per non vedere lo scempio di pezzi di corpi umani abbandonati ai cani e intorno ai quali danzavano scatenate donzelle. Proprio all’inizio di questa via, che dalle stalle di Valguarnera scende e risale per attraversare la zona di Taurro, nella valle dello Jato, alla fine della breve discesa iniziale, sono state girate alcune scene del film “Il giorno della Civetta”, che riproducono il posto in cui venne ucciso Salvatore Colasberna.  A distanza di 50 anni quel posto è diventato l’emblema del degrado e dello schifo, senza che nessuno si adoperi per la sua pulizia.

Negli anni ‘50 il sito di Taurru diventa luogo di una discarica pubblica, fino a quando, dopo il suo esaurimento, negli anni ’90 si individua il posto di una nuova discarica in contrada Baronia, sino all’esaurimento delle due vasche e alla sua saturazione, anche a causa del deposito dei rifiuti da parte di altri comuni. Ancora oggi da quel posto, specie d’inverno, scorre il percolato che nessuno si preoccupa di raccogliere nei tempi dovuti.

 

Nonostante l’abbandono e la demolizione di gran parte delle case e della Cappella, il sito ha continuato ad essere notevolmente frequentato, perché ricco di vigneti e uliveti. Negli anni ’90 è diventato il covo di una famiglia mafiosa che ha costruito abusivamente alcune strutture e ha occupato gran parte degli spazi circostanti praticando l’allevamento di bovini e suini.  In un  certo momento lo stato ha dato uno sprazzo della sua presenza con la presenza del Presidente della Repubblica Scalfaro, il quale ha affermato, sul podio davanti a una fontana resa funzionante per l’occasione, che “non un palmo di terra deve rimanere fuori dal controllo dello stato. IL tutto mentre i Vitale-Fardazza, poco distanti, pascolavano le loro mucche su terreni non di loro proprietà. Dopo anni di lotte, condotti in prima fila da Telejato, alla fine alcune di queste stalle sono state abbattute, altre sono rimaste in piedi in condizione di ruderi. Qualcuno ogni tanto passa per visitare “le stalle della vergogna” , oggi confiscate definitivamente e acquisite al patrimonio immobiliare del Comune, ma con un’area inutilizzata, mentre alla fontana non mancano gli sposi che vengono a fare le foto d’occasione. Basterebbe poco a rendere il posto grazioso e fruibile, e invece è tutto nel segno dell’abbandono, della puzza, del disgusto, secondo una caratteristica che sembra legata all’identità stessa di Partinico, ovvero non occuparsi dell’ambiente e non valorizzare la bellezza dei luoghi pubblici, sia per inerzia, sia per incapacità politica, sia per la presenza di bande di vandali che amano distruggere senza motivo, sia ancora per mancanza di educazione civica, perché secondo il partinicese ciò che appartiene alla comunità appartiene al singolo, che ne può fare quello che vuole.   Accanto alla fontana si vedono ancora le mura dell’acquedotto che portava l’acqua di Rakali sino al Trapetum cannamelarum, cioè a Trappeto, dove si lavorava la canna da zucchero, la cui coltivazione era molto diffusa.

 

La mappa rappresenta l’antica struttura e la viabilità del borgo Valguarnera nel XVII secolo. Nella foto la fontana di Valguarnera con l’attigua Torre in una foto del 1992

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