TOLLERANZA E/O ICONOCLASTIA (S.Vitale)

Iconoclastia

 

Nella furia iconoclastica che accompagnava, nel post  ’68, le nostre fughe in avanti e il rifiuto delle muffe passate, abbiamo rinnegato o ritenuto come nemiche tante idee,  scelte di vita,  personaggi che credevamo fuori da un’umanità moderna e gioiosa. Come gli illuministi pensavamo che il processo avrebbe spazzato via le superstizioni e le tensioni negative dell’umanità. Non abbiamo risparmiato allora il distacco, spesso violento con le imbalsamate ideologie che si definivano comuniste, ma che di comunismo avevano ben poco.  Abbiamo preferito cancellare, rinnegare, anziché tollerare  lasciar perdere, lasciar vivere. E già il termine tollerare, che in origine significa sopportare, lascia qualche perplessità, rispetto alla convivenza.  Una delle cose che abbiamo più cercato di esorcizzare era il cristianesimo, anzi i cristiani, che ritenevamo vittime delle proprie debolezze e degli inganni della cultura dominante, che era quella delle classi dominanti. “Il mondo sarà libero quando l’ultimo dei preti sarà impiccato con le budella dell’ultimo dei borghesi” era uno dei tanti slogan. Quando ci siamo accorti che la nostra identità non era più minacciata né offesa da queste diversità, abbiamo imparato a convivere con  cose , credenze e simboli che hanno accompagnato per secoli i nostri progenitori, senza bisogno di usare scomuniche o pene di morte, come è stato fatto dall’una e dall’altra parte in passato.  E del resto non ha senso  rifiutare i reperti del passato, accanirsi su di essi, distruggere templi antichi, bruciare libri, per paura che si possa mettere in discussione l’ideologia ufficiale riconosciuta dal potere o che si possa operare un confronto. Non ha senso distruggere un ricordo legato emotivamente a un santino  o a una crocetta da primo amore. Lo stesso vale per tutti i tipi di divisa: l’avvocato fiero della sua toga, gli abiti da parata, le carnevalate varie circoscritte da un cerimoniale da barzelletta, il burka delle musulmane o il soggolo delle monache sono scelte lontane, ma non troppo, dalle minigonne, dai tacchi a spillo, dalla cravatta.   E allora? Se va bene così e se non ne viene fuori alcun male che senso ha dare addosso a queste scelte d’identità?  Si comincia a farlo solo quando si crede che il mio pensiero è migliore rispetto a quello degli altri che non la pensano come me. Ma è là che nasce il fanatismo. La convivenza è possibile se il rispetto è reciproco e se non siano in agguato nascoste prevaricazioni.  Il battesimo non è altro che un po’ d’acqua sul capo, così come la comunione è un’ostia tale e quale quelle che si comprano in farmacia, l’olio santo è olio di “oleastro” e ci vuole una grande immaginazione per credere che il vino consacrato diventi sangue di Cristo. Se poi c’è chi vuole riempire acqua, farina di occulti e sublimi significati e se tutto questo lo fa star bene, non è neanche il caso di sconvolgere le sue certezze col rischio di renderlo una persona inquieta.  Per il fascismo e per la mafia invece no, il discorso non si pone, non c’è tolleranza possibile. C’è il carcere.  L’opinione di Karl Popper è precisa: «La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.» (K.Popper)

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