Riaperte dopo 28 anni le indagini sull’omicidio del giudice Scopelliti

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Dopo 28 anni dalla morte  il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo che su questa inchiesta  da anni ormai lavora, ha notificato 17 avvisi di garanzia, per l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti.  Si tratta di sette siciliani: Matteo Messina Denaro, i catanesi Marcello D’Agata, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Vincenzo Salvatore Santapaola, Francesco Romeo e Maurizio Avola, assieme a  dieci calabresi: Giuseppe Piromalli, Giovanni e Pasquale Tegano, Antonino Pesce, Giorgio De Stefano, Vincenzo Zito, Pasquale e Vincenzo Bertuca, Santo Araniti e Gino Molinetti.

Antonino Scopelliti (Campo Calabro, 20.1.1935 – Piale, 9.8.1991) entrò in magistratura a 24 anni, si occupò di processi di mafia e di terrorismo, e rappresentò la pubblica accusa nel primo Processo Moro, nel sequestro dell’Achille Lauro, nella Strage di Piazza Fontana e nella Strage del Rapido 904. Per quest’ultimo processo chiese  la conferma degli ergastoli al boss della mafia Pippo Calò ed a Guido Cercola, nonché l’annullamento delle assoluzioni per altri mafiosi.  ll collegio della Prima Sezione penale della Cassazione, presieduto dal giudice “ammazzasentenze”  Corrado Carnevale rigettò la richiesta della pubblica accusa, assolvendo Calò e rinviando tutto a nuovo giudizio.  Fu ucciso il 9 agosto 1991, sulla strada di Piace di Villa San Giovanni mentre stava  rientrando  a casa dopo una giornata trascorsa giù vicino al mare.  E’ possibile che nella sua testa girassero  nomi, dati e fatti del maxi processo contro Cosa Nostra, dal momento che a lui, sostituto procuratore generale della Cassazione, era stato affidato il compito di  completare l’opera iniziata da Giovani Falcone e Paolo Borsellino, ovvero dare il colpo di grazia  finale alle  tesi accusatorie che avevano condotto alla sbarra il vertice di Cosa Nostra. Stava preparando, in sede di legittimità il rigetto dei ricorsi per Cassazione avanzati dai boss mafiosi condannati al primo maxiprocesso a Cosa Nostra.  Difficile dire se si era reso conto di essere stato pedinato o di essere un obiettivo:  due persone a bordo di una moto lo affiancarono aprendo  il fuoco, colpendolo a morte e  facendo finire fuori strada la sua auto, tanto che  i primi soccorritori pensarono ad un incidente stradale

Subito  si individuò la pista dell’omicidio in  un’esecuzione concordata tra  la ‘ndrangheta e Cosa Nostra, dopo che il magistrato aveva rifiutato diversi tentativi di corruzione. I siciliani avrebbero chiesto la cortesia ai calabresi, garantendo loro l’intervento per riportare la pax mafiosa, considerato che sullo Stretto era in corso una guerra di mafia che aveva già provocato oltre 700 morti. Finirono in un primo momento sotto inchiesta alcuni boss tra cui Riina, Provenzano, Graviano, tutti assolti dopo la condanna in primo grado

Già, nel corso del processo  “Ndrangheta stragista”  sui rapporti mafiosi fra Sicilia e Calabria degli anni delle stragi un  collaboratore siciliano, Vincenzo Onorato aveva affermato: «L’omicidio del giudice Scopelliti fu un favore fatto dalla ‘ndrangheta a Cosa nostra. Se la sono sbrigata i calabresi, ossia i referenti che erano le famiglie Piromalli e Mancuso. Questa è una cosa che ho saputo direttamente. Non conosco chi sia stato l’esecutore materiale, ma so che è un favore fatto per volere di Salvatore Rina e della commissione»

Nello scorso agosto, il procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, rivela che era stata rinvenuta l’arma del delitto , un fucile calibro 12, grazie alle rivelazioni del  pentito catanese Maurizio Avola, “ il killer dagli occhi di ghiaccio”, reo confesso di un centinaio di omicidi, tra cui quello del giornalista Giuseppe Fava. Egli riferisce di  un summit tenutosi nella primavera del 1991 a Trapani, presente  Matteo Messina Denaro, in cui sarebbe stato concordato l’assassinio del magistrato da un commando di  calabresi.

Le tracce genetiche e balistiche, assieme all’analisi di altri reperti,   potranno rivelare l’esistenza di elementi probanti per una condanna degli esponenti più rappresentativi della ndrangheta calabrese negli anni ’90, comprese  le responsabilità dell’inafferrabile Matteo Messina Denaro.

Val la pena ricordare questo onesto e intransigente magistrato con una sua frase:  «ll giudice è quindi solo, solo con le menzogne cui ha creduto, le verità che gli sono sfuggite, solo con la fede cui si è spesso aggrappato  come naufrago, solo con il pianto di un innocente e con la perfidia e la protervia,dei malvagi. Ma il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso».

(Fonte. Antonto Prestifilippo, “Morte di un giudice solo. ll delitto Scopelliti”, ed. Città del Sole 2008)

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