Pensioni? Basterebbe fissare un tetto e staremmo tutti bene (S.V.)

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Gli incontri tra governo e sindacati sul nodo delle pensioni, le contrattazioni su quali lavori siano da ritenere usuranti e quindi suscettibili di avere lo sconto di sei mesi per andare in pensione rispetto alla forca caudina imposta dalla legge Fornero,  la ribadita intoccabilità di questa legge, da parte del governo e gli apparenti tentativi di modifica,  nascondono  ipocritamente il problema di fondo del quale  si preferisce non parlare: le scandalose liquidazioni e le incredibili pensioni  e retribuzioni pagate mensilmente ai grandi dirigenti, sia statali che privati,  i burocrati ,  manager,   magistrati e a numerose altre categorie, parlamentari compresi. Parliamo di centinaia di migliaia,  di milioni di euro, spesso di due o tre pensioni  incassate dalla stessa persona. Non si sa che cosa ne facciano di tutti questi soldi, ma è certo che il vero nodo è proprio lì. Un governo che dovrebbe conservare qualche sfumatura di sinistra dovrebbe quantomeno tenere presente che la ricchezza va distribuita togliendola ai ricchi per darla equamente a tutte le altre categorie oggi sull’orlo della sopravvivenza.  Questa è’ la base elementare non del socialismo, ma di quei principi di etica e di equità sociale che dovrebbero caratterizzare l’azione di qualsiasi governo. La cosa più doverosa e più banale sarebbe quella di decidere un tetto alle pensioni e alle liquidazioni.  Con 100 mila euro l’anno qualsiasi persona, qualsiasi famiglia può vivere agiatamente e consentirsi  di soddisfare, se non tutti, gran parte dei piaceri negati ai comuni mortali.  Idem dicasi per le liquidazioni che non dovrebbero superare  il tetto dei 100 mila. Con l’ingente somma  rimasta si potrebbero creare migliaia di posti di lavoro e rimpinguare  retribuzioni  misere, sotto la soglia della povertà, indennità di disoccupazione o, se si vuole, anche  il vituperato “reddito di cittadinanza” che, nella maggior parte dei paesi europei è in atto ed è la base delle politiche sociali che regolano l’assistenza e l’avvio all’occupazione.  Non si tratta di un  “fondo di solidarietà” da parte di chi ha di più verso chi ha di meno , ma di elaborare una legge dello stato che dovrebbe far parte della legge finanziaria. Solo che da questo orecchio nessuno ci vuol sentire, perché ormai la legge che regola il mondo è quella purtroppo indicata nell’evangelica parabola dei talenti, distorta economicamente: “ a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quel poco che ha”.  La recente bocciatura della proposta di Draghi di sospendere lo sconto fiscale per un anno ai redditi superiori ai 70 mila euro, dimostra quanto i parlamentari del centrodestra siano l’espressione e i servi di questa fascia di reddito , ovvero dei ceti medio-alti e insorgono ogni volta che si parla di patrimoniale, quasi si trattasse dell’avvento, per loro nefasto,  del comunismo. Ci vorrebbe poco a fare una legge, solo che  chi dovrebbe farla non ci pensa nemmeno. Anche perché andrebbe contro se stesso e contro la sua condizione privilegiata. C’è un eroe del fumetto “Alan Ford”, sempre sbronzo, di nome Superciuck che “ruba ai poveri per dare ai ricchi”, e ad esso si ispirano tutti i rappresentanti politici che, quando c’è da reperire risorse, chiedono di abolire il reddito di cittadinanza, aumentare gli anni di lavoro per andare in pensione, aumentare i prezzi dei generi di consumo indispensabili. Il paese dove una volta c’era il partito comunista più forte d’Europa è diventato ostaggio di poche oligarchie che, avendo in mano i mezzi di produzione e quelli d’informazione, oltre che una salda rappresentanza politica, possono permettersi di ricattare chi osa protestare e convincere chi va a votare che il loro ruolo è indispensabile alla sopravvivenza dei sopravvissuti. Per non parlare delle mafie e  degli intrecciati percorsi dell’economia illegale. E allora non ci resta che piangere o aggrapparsi al sogno della mitica rivoluzione, come ultima possibilità. Solo che chi dovrebbe farla non ci pensa nemmeno.

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