Manzoni, la peste, la Sicilia, il virus

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Il 7 marzo 1785 , cioè 235 anni fa, nasceva Alessandro Manzoni, ritenuto il più grande scrittore italiano: nessuno se n’è ricordato, anche se siamo soliti ricordare troppo spesso nascite e morti di persone che valgono molto meno. Nel  nel suo romanzo “I promessi sposi” egli dedica i  i capitoli 31 e 32 all’ epidemia di peste che si abbatté su Milano e su tutta l’Europa nel 1630: “La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia…..” In quelle pagine  c’è già la descrizione di quanto sta succedendo oggi, a partire dalla ricerca del  paziente zero che si dice essere arrivato dalla Germania (le bande alemanne sono i lanzichenecchi, cioè i mercenari tedeschi venuti in Italia)  per arrivare giungere alle critiche pretestuose,  intrise di veleno politico, sulla gestione del contagio,  alla caccia ai cosiddetti untori, cioè portatori di virus, all’accaparramento selvaggio di beni di prima necessità, all’emergenza sanitaria, alla mai sopita diffidenza nei confronti degli stranieri, ai rimedi più strampalati per proteggersi, dalla mascherina all’amuchina.  Allora l’epidemia spopolò mezza Europa:  si stima che nell’Italia settentrionale tra il 1630 e il 1631 morirono per la peste 1.100.000 persone su una popolazione complessiva di circa 4 milioni. Gli attuali 5 mila casi e i 200 morti ad oggi sembrano cifre irrisorie rispetto a quanto successo quattrocento anni fa. E ancor di più se rapportiamo tutto alla terribile peste bubbonica del 1347, di cui ci parla Boccaccio nel suo Decamerone, che si portò via   un quarto della popolazione d’Europa. Più vittime, si calcola intorno ai  100, in un contesto di 500 milioni di infettati, causò la micidiale febbre spagnola del 1918-20, uccidendo giovani e persone sane.

 

Rispetto ad altre regioni d’Italia,  in Sicilia, al momento attuale, ci si può ritenere ancora esenti. Risultano ricoverati 9 pazienti (quattro  a Palermo, tre a Catania, uno a Messina, uno a Caltanissetta, ma proveniente da Agrigento) di cui nessuno in regime di terapia intensiva, mentre 25 sono in isolamento domiciliare“. Ove si eccettui un caso positivo dell’ultima ora, di un siciliano proveniente da Carrara, i  tre di Palermo appartengono a una comitiva bergamasca,  in quarantena in un albergo e rientrata in sede. Malgrado questo si è diffusa, così come su tutto il territorio nazionale, con molta più velocità, la psicosi del virus e la corsa a  tutta una serie di accorgimenti e di precauzioni di cui teoricamente non ci sarebbe alcun bisogno, se non fosse stata messa in atto una micidiale e quasi terroristica campagna di allarme che ha prodotto e continuerà a produrre sempre più conseguenze tali che ci vorranno anni perché la situazione ritorni a normalizzarsi. A parte i danni nel campo economico, a partire dalla crisi del turismo e delle attività produttive, la conseguenza  più triste è la diradazione dei rapporti umani: diffidenza reciproca, , distanza tra le persone, isolamento nelle proprie case, scuole chiuse, pronto soccorsi deserti, scambi e contatti di qualsiasi tipo limitati o scomparsi. Disagio, depressione, paura, diffidenza, intolleranza sono condizioni psicologiche facilmente leggibili sui visi  di persone che ogni tanto amavano sorridere.

 

La tentazione è quella di definire il Corona un virus mafioso. Il virus sembra essere diventato lo strumento ideale su come chi ha il potere di decidere, ha o avrebbe progettato come  ristrutturare la società del futuro:  primo obiettivo è  l’isolamento sociale, in modo che ogni individuo, nella sua solitudine, risulti  più debole, più governabile, più controllabile ed esposto, se non vittima. Secondo fine è l’omogeneizzazione del pensiero, nel contesto di  idee, direttive e  orientamenti che meglio servono per ridurre al minimo gli spazi della libertà di pensiero e d’azione;  terzo elemento è la marginalizzazione, l’emarginazione, lo screditamento di qualsiasi spazio di dissenso, di critica, di tentativo di alterazione delle regole imposte per il mantenimento dell’insieme. E quindi come sta succedendo, ma non solo adesso,  chi rifiuta di sottoporsi alle regole imposte è definito un irresponsabile, un folle, se non addirittura un untore, un potenziale portatore di un virus ritenuto una sorta di dio cattivo presente in cielo, in terra e in ogni luogo.

 

Tutto quello  che posso limitarmi a suggerire è di non lasciarsi intrappolare dalla psicosi  , di non rinunciare all’aria aperta, di incontrarsi, di liberarsi dal virus inoculato nella nostra mente, naturalmente con un minimo di cautela, ma solo in presenza di una qualche situazione di rischio. Nessuno può obbligarci a fare quello che non ci sentiamo di fare, neanche per decreto. Tanto più che, rispetto a tante altre micidiali epidemie del passato o rispetto alle centinaia di migliaia di morti per altre malattie che circolano liberamente nel mondo, senza che nessuno tenti di fermarle, ma soprattutto rispetto all’emergenza sanitaria e umana che è presente in tante zone di guerra, rispetto al flusso di disperati che si affolla alle porte dell’Europa senza che nessuno se ne preoccupi, rispetto ai quattro bambini che ogni minuto del giorno muoiono di fame, il Corona virus non dovrebbe terrorizzarci , se non lo fanno altre cose più gravi. Per dirla con Vittorio Arrigoni: “Restiamo umani”, evitiamo di diventare robot di quei venditori di fumo che nelle televisioni confezionano giornalmente tavole rotonde di banali discussioni, per poi, alla fine dire a se stessi: Ho fatto una bella trasmissione.  Una volta tanto in Sicilia, per il momento siamo fortunati, non solo per la primavera già arrivata da tempo. Approfittiamone

 

 

 

 

 

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