L’inutile Commissione parlamentare antimafia, sperando in una svolta (G.Bongiovanni)

palazzo san macuto 850di Giorgio Bongiovanni
Ancora poche ore e, dopo ritardi, rinvii e mesi di attesa, si insedierà la sedicesima Commissione parlamentare antimafia. Un’istituzione che nel corso della sua storia, che parte dal 1962, ha recitato i più svariati ruoli. In diverse occasioni si è rivelata inutile, spesso è stata oltraggiosa nei confronti di quei magistrati che cercavano la verità e alle volte è anche stata “depistante” nella ricerca della stessa, intervenendo a sproposito mentre inchieste e processi erano ancora in corso d’opera.
Troppe volte la metodologia adottata nell’analisi del rapporto mafia-politica è stata di tipo “assolutorio” nei confronti di quei politici, presuntamente o dichiaratamente collusi con la mafia, di cui si è occupata.
Guardando il recente passato diversi sono gli esempi negativi. Che dire della Commissione antimafia presieduta da Roberto Centaro (Forza Italia) che nella sua relazione conclusiva spazzava via processi come quello di Giulio Andreotti, definito senza prove, beatificava Totò Cuffaro (poi condannato in via definitiva per favoreggiamento alla mafia), e definiva come inesistenti le presenze delle mafie e della ‘Ndrangheta in Lombardia (oggi inchieste e processi dimostrano il contrario)?
Tra le più deludenti ricordiamo anche la Commissione presieduta da Francesco Forgione, che si impegnò per equiparare nel trattamento delle vittime della mafia e del dovere con quelle del terrorismo ma fu totalmente insufficiente per quel che riguarda la ricerca dei mandanti esterni. All’epoca fece discutere la scelta di opporsi alla proposta di Orazio Licandro (Pdci) e Angela Napoli (An) di vietare l’accesso alla Commissione per i condannati e gli imputati di reati di mafia e contro la Pubblica Amministrazione. Una scelta che portò come risultato il clamoroso ingresso in Commissione parlamentare antimafia di due condannati per corruzione (Paolo Cirino Pomicino e Alfredo Vito). Un fatto mai avvenuto prima nella storia.
Riuscì a fare peggio la successiva Commissione antimafia, presieduta da Giuseppe Pisanu, che presentò una relazione finale sulla trattativa Stato-mafia che definire nefasta è un eufemismo. Una relazione dove di fatto veniva sminuita l’intera ricostruzione del processo di Palermo che in quel momento era ancora in corso. Per fortuna oggi c’è una sentenza che su certi fatti ha fatto chiarezza e dimostra non solo lo svolgimento della trattativa ma come quell’operato messo in atto da boss e parti delle istituzioni ha “attentato al corpo politico dello Stato” condizionando ben tre governi (Amato-Ciampi-Berlusconi).
La Commissione parlamentare antimafia dell’undicesima legislatura, presieduta da Luciano Violante, aveva avviato una svolta finché lo stesso Violante ha smesso i panni di se stesso, dando spazio ad un’altra versione di sé, all’antitesi dalla precedente. Una trasformazione confermata negli anni successivi quando nel 2003, in un intervento alla Camera dei Deputati, svelò l’esistenza di un patto con Silvio Berlusconi proprio nel 1994.

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Nicola Morra © Imagoeconomica

“Cari amici e colleghi – diceva Violante nel suo intervento – se dovessi applicare i vostri criteri, quelli che avete applicato voi nella scorsa legislatura contro di noi, che non avevamo fatto una legge sul conflitto di interessi, non avevamo tolto le televisioni all’onorevole Berlusconi (Commenti dei deputati di Forza Italia e di Alleanza nazionale)… Onorevole Anedda, la invito a consultare l’onorevole Berlusconi perché lui sa per certo che gli è stata data la garanzia piena – non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di Governo – che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’onorevole Letta. A parte questo, la questione è un’altra. Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto di interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni… Durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di 25 volte. Dunque, non c’è stata alcuna operazione di questo genere. Ora, se dovessimo applicare i criteri che avete applicato voi a noi, altro che regime, cari amici! Non è stato così”.
Ma l’escalation per la caduta di Violante è stata ancor più visibile successivamente quando soltanto dopo le dichiarazioni di Massimo Ciancimino si è “ricordato” degli incontri avuti con il generale Mario Mori, proprio durante la sua presidenza in Commissione antimafia, precipitandosi alla Procura di Palermo per riferire ai pm quanto era a sua conoscenza. “Luci ed ombre” ha lasciato l’ultima Commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi. Nella relazione si traccia “l’evoluzione del metodo mafioso tra intimidazioni, corruzione e area grigia”, si fa un quadro delle “mafie di oggi”, di quelle italiane e straniere e si parla chiaramente della loro “colonizzazione” in gran parte delle regioni del nord e nel mondo. Quando c’era da alzare il tiro, però, si è preferito rimandare al futuro eventuali iniziative lasciando le indicazioni per completare il percorso di verità sulle stragi, ponendo sul tappeto il problema della probabilità che, assieme agli uomini di Cosa nostra, nella terribile stagione delle stragi del ’92 e del ’93, abbiano agito anche quelle menti raffinatissime di cui Giovanni Falcone aveva parlato dopo l’attentato subito all’Addaura nel 1989. Menti che in qualche maniera hanno recitato un ruolo orientando le azioni della Mafia, sfruttandola come “braccio armato”. Al di là di questa traccia, però, pesa come un macigno il “voltafaccia” sul caso della morte dell’urologo Attilio Manca. Nella relazione si scrive che “non esistono elementi pregnanti e consistenti che possano dare spazio, ribaltando le prove acquisite, alle tesi avanzate dalla famiglia del dottor Manca per spiegare la prematura morte del giovane”. Come se non ci fossero evidenti anomalie (come ad esempio l’assenza delle impronte sulle siringhe che sarebbero state utilizzate e rinvenute nell’abitazione) o le dichiarazioni di ben cinque collaboratori di giustizia che inseriscono la morte dell’urologo all’interno di un disegno criminale costituito da mafia e massoneria.
Dunque, alla luce dei fatti, pochissime sono state le Commissioni antimafia che hanno avuto a cuore l’accertamento della verità sugli anni bui e che sono state capaci di offrire un aiuto concreto anche all’accertamento della verità giudiziaria.
Basti ricordare la Commissione antimafia di Gerardo Chiaramonte che al suo interno aveva uomini come Pio La Torre e Cesare Terranova. Proprio quest’ultimi due redassero e sottoscrissero una relazione di minoranza che metteva in luce quanto era rimasto in ombra in quella di maggioranza, ovvero i legami tra mafia e politica con tanto di nomi e cognomi di uomini politici dei diversi partiti che avevano favorito boss, ricevendo in cambio sostegno e vantaggi. Poi c’è stata la Commissione antimafia presieduta da Giuseppe Lumia che stava puntando ai livelli più alti delle collusioni mafiose prima di essere interrotto dal cambio di governo. Una Commissione che ebbe la forza di offrire un contributo importante nella ricerca della verità sul depistaggio delle indagini sul delitto di Peppino Impastato, che fu presentata dall’apposito Comitato costituitosi nel 1998 all’interno della Commissione. La verità processuale sulla morte di Peppino, dopo ben tre inchieste, arrivò pochi anni dopo; nel 2001 con la condanna a 30 anni di Vito Palazzolo, autore materiale del delitto; nel 2002 con l’ergastolo per il boss Gaetano Badalamenti, il mandante. Un risultato che fu ottenuto anche grazie a quanto scritto in quella relazione e con gli input che arrivavano dai compagni storici di Peppino e dal Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” di Palermo, fondato da Umberto Santino.

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Michele Giarrusso © Imagoeconomica

Che commissione antimafia sarà quella che si insedierà tra pochi giorni? E’ una grande sfida quella che attende il “presupposto” governo del cambiamento guidato dal Movimento Cinque Stelle e dalla Lega. I pentastellati vorrebbero fare qualcosa nell’ambito della riforma della giustizia ma stanno trovando evidenti difficoltà (ddl prescrizione docet) nello spingere la Lega sul fronte della lotta alla mafia ed alla corruzione. E in questi primi mesi di legislatura abbiamo già visto clamorosi dietrofront, (come la mancata nomina del sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo a ministro degli Interni o a ministro della Giustizia o come direttore del Dap). E oggi si rischia un nuovo scivolone.
E’ noto che le scorse settimane il senatore Nicola Morra, in una votazione interna al Movimento, è stato preferito al collega pentastellato Michele Giarrusso. Una votazione che lo ha visto prevalere per un solo voto. Una scelta che, dobbiamo dirlo, ci ha lasciato perplessi sin dal primo momento e che probabilmente segue altre logiche politiche anziché quelle della ricerca della verità.
Se si tengono conto delle competenze è evidente che scegliere un insegnante di lettere e filosofia rispetto a chi vanta già esperienze in Commissione antimafia rappresenta un’anomalia. Da Morra non abbiamo mai sentito parole sulla ricerca dei mandanti esterni delle stragi. Senza mezze misure Giarrusso, che in questi anni ha presentato leggi come quella sul voto di scambio e proprio nella scorsa legislatura era tra i membri della Commissione antimafia. Più volte ha ribadito che a suo modo di vedere “tra i primi argomenti da portare sul tavolo c’è la trattativa Stato-mafia”. Forse ha pagato questa sua scelta di campo anticipata? Difficile dirlo. Certo è che se verrà mantenuta l’indicazione del voto interno ai Cinque Stelle Morra avrebbe la strada spianata. Ma resta ancora l’ultima votazione e il tempo per scegliere figure più competenti e meritorie c’è da parte dei vertici del Movimento. Se si andrà su altre scelte, se si sceglierà di non occuparsi della trattativa e della ricerca dei mandanti esterni delle stragi del ’92 e ’93, con alla guida figure esperte che diano un indirizzo chiaro ancora una volta si avrà la prova che sul fronte della lotta alla mafia si è di fronte ad un governo del “non cambiamento”.
E allora sarebbe meglio non istituirla. Per risanare l’istituzione della Commissione antimafia non solo servirebbero le persone giuste al posto giusto, ma il coraggio di cambiare veramente con una riforma che preveda l’esclusione in Commissione di tutti quei deputati e senatori membri di partiti che hanno avuto tra i loro fondatori condannati per mafia (come l’ex senatore Marcello Dell’Utri) o corruzione. E ve ne sono anche in questa nuova commissione che sta per insediarsi, come Sandra Lonardo, moglie dell’ex guardasigilli Clemente Mastella, eletta lo scorso marzo al Senato con Forza Italia, e un tempo inserita nella “black list” degli “impresentabili” stilata dalla precedente Commissione, per colpa di un’accusa di concussione per la quale è stata poi assolta.
Finché non saranno prese decisioni estreme le Commissioni antimafia saranno sempre inutili o dannose.

In foto di copertina: l’ingresso del palazzo San Macuto, sede della Commissioni antimafia

  •  Pubblicato su Antimafia Duemila  12 Novembre 2018

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