Il renzismo e la crisi del PD: dieci anni e li dimostra

 

logo_partito_democratico_777x311Il PD festeggia i suoi dieci anni di vita. Secondo alcuni commentatori c’è poco da festeggiare, perché sono assenti quasi tutti i padri fondatori. Un partito nato vecchio, sulle ceneri di una gloriosa storia e in un momento in cui la parola “partito” è scomparsa dai nomi di tutte le formazioni presenti nel mondo politico italiano. Un partito nato con la cooptazione di una parte della vecchia Democrazia Cristiana, espressa dai Popolari, che alla fine, attraverso Renzi, ne ha preso in mano la guida, attraverso la stravagante politica della “rottamazione”, con la quale si è liberato di tutti coloro che potevano fargli ombra. Difficile valutare questo decennio fatto di inciuci, di aberranti riforme, come la legge Fornero o il job act, il patto del Nazareno, ma anche di conquiste come la legge sulle unioni civili, fatto di proposte ancora oggi contestate, come il decreto sulla buona scuola, di pause, come quella sullo ius soli, di criticate norme, come quelle sul rientro dei capitali dall’estero, di colpi di mano, come quello che ha estromesso Enrico Letta, di vittorie, come quella del raggiunto 40% alle ultime europee  e di sonore sconfitte, come quella alle ultime regionali e, soprattutto, la bocciatura del referendum sulla controriforma costituzionale.

 

La scelta maggioritaria

Con la riforma elettorale approvata attraverso la forzatura della fiducia, il PD sta facendo un ulteriore passo in avanti verso la sua crisi che i proclami renziani e gli annunci di “piccola ripresa” non riescono a mascherare.   Il penultimo è stato quello del referendum, ma il tracollo era cominciato molto prima, si potrebbe cercarne un’origine recente con il peccato originale della  scelta del sistema maggioritario, iniziato nel 1993 con la suicida volontà di scimmiottare il sistema americano, attraverso l’intenzione di creare un partito rimodellato sul centrismo democristiano, e quindi espressione della piccola e media borghesia che aveva caratterizzato la cosiddetta prima repubblica. Il progetto è andato a sbattere contro una serie di scogli e di “novità” nate nel frattempo nel panorama politico italiano, a cominciare dal berlusconismo, dal leghismo e per ultimo dal grillismo. Tutte forze con una verniciatura “antisistema” che finivano con il caratterizzare il PD come forza-sistema e con il rovesciare su di esso  tutte le storture sociali e le voragini aperte dalla crisi, proprio nella sopravvivenza di quel ceto medio del quale il PD avrebbe voluto essere espressione e che invece sta diventando un animale in via d’estinzione.

 

Il renzismo

Il renzismo è stato il momento finale di questi passaggi, soprattutto in alcune scelte avallate dalla governance europeista, col tentativo di abolire il senato e riformare la costituzione , il salvataggio di banche   in crisi per incapacità gestionali, il blocco dei salari, il blocco delle assunzioni, la politica dell’accoglienza a braccia aperte dei flussi migratori senza alcun progetto  su come utilizzare questa che poteva essere una risorsa e il mancato rilancio di un piano nazionale di lavori pubblici in un paese che sta cadendo a pezzi. Si potrebbero aggiungere altri elementi, dall’iniqua politica fiscale, al continuo travaso di ricchezza nelle mani dei ricchi, al mancato utilizzo dei beni sequestrati alla criminalità mafiosa,  all’apertura sconsiderata verso i capitali esteri che hanno portato gran parte delle aziende italiane e dei marchi nelle mani di multinazionali straniere. Allo smantellamento dello stato sociale si è contrapposto il principio della privatizzazione a qualsiasi costo  e la riduzione all’angolo in un  angolo del soggetto umano, cioè dei lavoratori, diventati  l’ultima ruota del carro. Altri elementi collaterali sono stati  la scarsa attenzione ai problemi della sicurezza, della messa in sicurezza del territorio, l’alimentarsi della corruzione, la mancata riforma della giustizia, il deteriorarsi della sanità  pubblica, l’allineamento succube alle scelte politiche di un’Europa dominata dall’alleanza franco-tedesca. In sostanza la mancata elaborazione di un vero new deal  che desse quantomeno l’impressione che in qualcosa si volesse cambiare. In pratica il PD si è configurato nella visione comune come l’elemento di conservazione delle vecchi modi di governo corresponsabili dello sfascio, la colonna portante della persistenza di un sistema asservito alle logiche del capitalismo mondiale.

 

Il rosatellum

Il cambio del sistema elettorale, orribilmente definito “rosatellum”,  ha finito con il completare l’opera. Rispetto a una sinistra che non è più sinistra, gli elementi “eversivi” si sono orientati verso la protesta, al momento velleitaria e disorganica del grillismo o a quella più pericolosa del berlusconismo di ritorno: da destra ne è venuta fuori la ricompattazione del blocco conservatore, con tutte le sue pericolose deviazioni autoritarie, razziste, nazionaliste, mentre a sinistra si è andati incontro ad una serie di scissioni, da parte di gruppi e uomini che non volevano e non vogliono rinunziare alle lontane radici e ai principi di una sinistra autentica e non banalizzata.  E così la montagna ha partorito il topolino, ovvero una riforma elettorale che offre in un piatto d’oro il paese in mano a chi si sa alleare, cioè alla destra, con la sua galleria di mostri del pòassato, o, in alternativa, a chi si contrappone come forza antisistema, cioè al grillismo privo di progettualità e senza uomini autorevoli, almeno che non si voglia considerare tale Di Maio. Il tutto aggravato da quella che una volta la sinistra chiamò “legge truffa”, cioè dal premio di coalizione, autentica ferita  della democrazia, che dovrebbe consentire alla maggioranza, falsando i risultati elettorali, di governare  promuovendo a maggioranza il 40% che dovesse uscire dalle urne.  Anche il pasticcio tra quote maggioritarie (il 40%), destinate ad  essere appannaggio delle alleanze di centrodestra, e quote proporzionali, (il 60%) concepite per lasciare al loro posto, i candidati scelti dai partiti, cioè facce e personaggi dell’apparato, che mai avrebbero potuto trovar posto se agli elettori fosse stato consentito di scegliere a chi dare la preferenza,  rappresenta ancora una volta la faccia di un karakiri, cioè di un suicidio politico di cui solo il renzismo poteva essere capace.

 

 

Come uscirne?

Mi pare che la scelta di coloro che sono andati via dal PD è l’ultima spiaggia. Dopo tre anni di mortificazioni, la frattura è stata consumata e, al momento, gli scissionisti sembrano avere intrapreso un percorso senza sguardi indietro. Ci sono alcuni passaggi che bisognerebbe trovare il coraggio di risolvere, con l’obiettivo di creare un cosiddetto “quarto polo” . IL primo è quello di saper superare l’arcipelago dei movimenti di sinistra e aggregarlo in un corpo unico che dovrebbe trovare il suo collante proprio nell’”essere di sinistra”.  In un mondo che si sposta sempre più a destra. Movimenti alternativi, con forti  caratteristiche “di sinistra”, si stanno affermando in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Inghilterra laburista, alla Francia, alla Catalogna: insomma. C’è ovunque uno zoccolo duro che resiste . Non bisogna lasciarsi prendere dalla paura di restare fuori né restare arroccati nella prospettiva di sopravvivere raggiungendo il misero 5%: così non si va da nessuna parte e si corre il rischio di finire come il PSIUP, come Democrazia Proletaria o come Rifondazione Comunista. Non serve un partitino, ma una proposta radicale per vincere e governare. Pertanto bisogna completare il taglio con il PD, ormai espressione dei neodemocristiani, con il quale non si ha più nulla da dividere e mandarlo al suo destino.

 

Libertè, egalitè, fraternitè

Occorre naturalmente un progetto politico da non partorire in un anno o in un secolo, ma subito. Su quali basi?  Innanzitutto sugli eterni principi della rivoluzione francese. Uguaglianza, cioè pari dignità, non sulla carta, ma nella sostanza, con pari diritti, pari ridistribuzione delle ricchezze, pari modo di essere giudicati dalla legge, pari rappresentanza: insomma, l’elementare base della democrazia oggi negata.   Sulla libertà il discorso è più complesso:  ognuno è libero, ma a condizione di rinunciare a una parte della sua libertà per partecipare alle regole di un sistema che garantisca tutti rispetto a chi vuole approfittarne. Qualcuno potrebbe tirar fuori la lontana “dittatura del proletariato”, ma il proletariato di oggi non è quello del Novecento e ci sono altre componenti estranee al mondo del lavoro, fatte di disoccupati, emarginati , precari, sfruttati, quelli che una volta si definivano “nuovi soggetti sociali”, con cui fare i conti e di cui raccogliere esigenze e proposte.

E quindi automaticamente si finisce automaticamente nel  collante della nuova società, ovvero la fraternità, il sentirsi come parti di un unico corpo, come “compagni”, cioè persone che si dividono il pane, che si incontrano, che dialogano, che trovino la forza di sottrarsi alla solitudine e ai soliloqui dei cellulari o dei mass media, che non dovrebbero essere più sotto il controllo dei soliti “padroni”.

E quindi l’invenzione di forme di democrazia diretta e partecipata che sappia anche controllare sul nascere le tentazioni  autoritarie con continui ricambi delle cariche istituzionali.

E quindi la tecnologia a servizio dell’uomo e non solo come proposta di acquisto di un prodotto concepito per arricchire chi lo produce e asservire chi lo compra e diventa vittima del suo uso. Va da sé che dietro di ciò c’è la centralità dei servizi da parte dello stato, che dovrebbe farsi carico dei problemi  relativi alla salute, alla sicurezza, alla giustizia, all’istruzione, alla difesa, al lavoro, alla programmazione economica, al commercio, alla gestione del  territorio oggi svenduto con concessioni senza più controllo. Insomma lo stato si dovrebbe riappropriare di tutto quello che in quest’ultimo secolo ha regalato ai privati: quel che avrebbe dovuto essere e non è stato o è stato solo in parte. Cosa si nasconde o si propone con tutto ciò? In una parola l’odiato, esecrato,  professato, condannato, plebeo, nobile, sognato comunismo.

 

Lode al comunismo

 

È ragionevole,

chiunque lo capisce.

È facile.

Non sei uno sfruttatore,

lo puoi intendere.

Va bene per te, informatene.

Gli idioti lo chiamano idiota ,

i suicidi, suicidio.

È contro il sudiciume

e contro l’idiozia.

Gli sfruttatori lo chiamano delitto.

Ma noi sappiamo:

è la fine dei delitti.

Non è una follia,

ma invece fine della follia.

Non è il caos, ma l’ordine, invece.

È la semplicità

che è difficile a farsi.

 

Bertold Brecht

 

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