Caltanissetta: al processo Saguto sentito l’ex prefetto Caruso

 

 

Il prefetto Caruso è stato ascoltato per oltre due ore a Caltanissetta, al processo che vede imputata Silvana Saguto. Ripercorriamo alcuni momenti, ai quali Caruso ha fatto riferimento nella sua deposizione, richiamando una serie di vicende, nel periodo in cui  è stato nominato alla direzione dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati alla mafia, a partire da una sua prima audizione, del  18 gennaio 2012, quando, davanti alla Commissione Antimafia ha detto: «Altre criticità riguardano la gestione degli amministratori giudiziari, per come si è svolta fino ad ora[…] l’amministratore giudiziario tende, almeno fino ad ora, a una gestione conservativa del bene. Dal momento del sequestro  fino alla confisca definitiva – parliamo di diversi anni, anche dieci – l’azienda è decotta. Siccome compito dell’Agenzia è avere una gestione non solo conservativa, ma anche produttiva dell’azienda, abbiamo una difficoltà di gestione e una difficoltà relativa a professionalità e managerialità che, dal momento del sequestro, posso individuare e affiancare all’amministratore giudiziario designato dal giudice. In tal modo, quando dal sequestro si passerà alla confisca di primo grado, sarà possibile ottenere reddito da quella azienda[…] Facendo una battuta, io ho detto che, fino ad ora, i beni confiscati sono serviti, in via quasi esclusiva, ad assicurare gli stipendi e gli emolumenti agli amministratori giudiziari, perché allo Stato è arrivato poco o niente. Ometto di dire quanto succede in terre di mafia quando l’azienda viene sequestrata, con clienti che revocano le commesse e con i costi di gestione che aumentano in maniera esponenziale. Ricollocare l’azienda in un circuito legale, infatti, significa spendere tanti soldi, perché il mafioso sicuramente effettuava pagamenti in nero e, per avere servizi o commesse, usava metodi oltremodo sbrigativi, sicuramente non legali, e aveva la possibilità di fare cose che in una economia legale difficilmente si possono fare. Siamo in attesa dell’attuazione dell’albo degli amministratori giudiziari, nella speranza di avere finalmente persone qualificate professionalmente alle quali poter rivolgersi e di avere delle gestioni non più conservative ma produttive dell’azienda».

In una successivo momento, nel 2014  Il prefetto Caruso ha disposto la revoca di alcuni “amministratori” intoccabili sostenendo che : «Alcuni hanno ritenuto di poter disporre dei beni confiscati come “privati” su cui costruire i loro vitalizi. Non è normale che i tre quarti del patrimonio confiscati alla criminalità organizzata siano nelle mani di poche persone che li gestiscono spesso con discutibile efficienza e senza rispettare le disposizioni di legge. La rotazione nelle amministrazioni giudiziarie è prevista dalla legge così come la destinazione dei beni dovrebbe avvenire entro 90 giorni o al massimo 180 mentre ci sono patrimoni miliardari, come l’Immobiliare Strasburgo già del costruttore Vincenzo Piazza, con circa 500 beni da gestire, da 15 anni nelle mani dello stesso professionista che, per altro, prendeva al tempo stesso una parcella d’oro (7 milioni di euro) come amministratore giudiziario e 150 mila euro come presidente del consiglio di amministrazione. Vi pare normale che il controllore e il controllato siano la stessa persona?».

Tutto ciò ha provocato le rimostranze del re degli amministratori Gaetano Seminara Cappellano, titolare di uno studio con 35 dipendenti,  detto “mister 56 incarichi”, amministratore di oltre trenta aziende, tra cui proprio la Immobiliare di Via Strasburgo, della quale gli è stata revocata la delega.

In quel periodo egli ha provveduto alla nomina di nuovi amministratori al posto di Andrea Dara, per Villa Santa Teresa Bagheria, settore medico, un impero con 350 dipendenti e un fatturato annuo di 50 milioni di euro e al posto di Luigi Turchio, amministratore dei beni di Pietro Lo Sicco.

Proprio in quell’anno, Il 17, 18 e 19 febbraio 2014, dopo l’intervista fatta un mese prima dal prefetto Giuseppe Caruso al quotidiano “La Repubblica”, la Commissione Antimafia è arrivata a Palermo . Probabilmente non devono essere piaciute al suo Presidente Rosy Bindi e a qualche altro parlamentare siciliano legato al PD  le sue dichiarazioni che, secondo Sonia Alfano, parlamentare europeo, hanno messo in cattiva luce l’operato dei magistrati che si occupano di Antimafia. Anche L’ANM, la potente associazione dei magistrati, si è schierata contro Caruso sostenendo che, invece di rilasciare dichiarazioni sull’operato dei magistrati delle misure di prevenzione,  avrebbe dovuto rivolgersi ai magistrati stessi, i quali così avrebbero potuto e dovuto giudicare se stessi. Qualche “illuminato” politico ha ripetuto, in quella circostanza, la solita boutade che viene fuori ogni volta che un magistrato finisce nei guai, ovvero  che «parlare male dei magistrati significa fare un favore alla mafia». Caruso ha sostenuto di non avere a disposizione né uomini, né mezzi, né strumenti legali per affrontare con successo l’intero argomento dei beni sequestrati e confiscati. Conclusione: Caruso è andato o è stato messo in pensione, la Bindi ha dichiarato  che «l’Agenzia ai beni confiscati dovrà subire alcuni interventi» e tutto è finito lì.

In appoggio all’operato di Caruso si è schierata la CGIL, anche il sindacato di polizia Siulp, mentre Equitalia, depositaria di un fondo di due miliardi provenienti dai beni di proprietà dei mafiosi, ha avanzato difficoltà a documentare e a restituire quello di cui dovrebbe essere in possesso. Da parte sua il prefetto Caruso ha detto: «Io lavoro da 40 anni con i giudici e nessuno mi può accusare di delegittimarli. Ho solo detto quello che non va nel sistema».

Tra le varie proposte Caruso ha anche considerato la possibilità  di vendere i beni confiscati inutilizzabili anche ai privati. «Ovviamente con tutte le garanzie del caso sull’acquirente. Il nostro sistema è così avanzato che, anche se qualcosa dovesse sfuggire, saremmo in grado di riconfiscarli. D’altra parte ditemi cosa dovrei fare di particelle di terreno indivisibili o di due stanze divise fra cinque eredi o di edifici con un’errata indicazione di dati catastali?».

Al Parlamento, Caruso ha chiesto benzina per far girare una macchina da formula Uno: «La sfida immensa  –  ha detto,  –  è quella di mettere in grado l’Agenzia di lavorare bene. Ma come si fa a gestire beni che raggiungono il valore di una finanziaria con un organico carente e inadeguato?. La sede di Reggio Calabria va avanti con 30 persone, ma in realtà ce n’è rimasta solo una,  e con un badget di 4 milioni, è stata ulteriormente sottoposta a tagli anche agli stipendi del personale, impiegati e funzionari che guadagnano meno dei colleghi di uguale livello e hanno difficoltà di collegamento con gli uffici di Roma, Palermo, Milano e quelli di prossima apertura di Napoli e Bari.  Inoltre l’Agenzia dovrà fare da supporto alla magistratura anche nella fase di sequestro e non solo più della confisca. «L’unica strada – è la proposta di Caruso – è trasformare l’Agenzia in un ente pubblico economico».

 

 

Seguimi su Facebook