SUI VITALIZI FACCIAMO CHIAREZZA

 

La stampa alla Camera del Movimento 5Stelle su una proposta di abolizione dei vitalizi dei parlamentari. Il Movimento ha lanciato l’idea di eliminarli non attraverso una proposta di legge (ce ne sono già una decina depositate alla Camera) ma con un semplice atto regolamentare degli uffici di presidenza delle Camere. ​Agli osservatori la proposta è apparsa subito piuttosto singolare perché i vitalizi sono di fatto aboliti con la riforma entrata in vigore il primo gennaio 2012. Anche ai meno esperti viene poi spontaneo domandarsi come mai, visto che negli uffici di presidenza delle Camere sono presenti esponenti di livello dei 5Stelle, in tutti questi anni i pentastellati siano rimasti silenti.

​Sul piano tecnico la proposta appare difficilmente gestibile dato che la materia pensionistica è regolata per legge e non si capisce come farebbe l’Inps, se non in presenza di una legge appunto, ad accettare i contributi che finora i parlamentari hanno versato nella casse di Montecitorio e Palazzo Madama. Non a caso ieri Andrea Mazziotti, il presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera competente in materia, ha diramato un comunicato durissimo sull’iniziativa pentastellata: «La proposta di delibera degli Uffici di Presidenza delle Camere annunciata oggi in pompa magna dai Cinquestelle in materia di vitalizi è il solito pastrocchio populista – ha detto Mazziotti – La proposta è sbagliata tecnicamente perché prevede che i deputati maturano il diritto alla pensione secondo le norme previste dal fondo previdenziale di appartenenza. Peccato – prosegue Mazziotti – che solo la legge, e non certo gli uffici di presidenza, possono modificare il funzionamento delle diverse casse previdenziali. Inoltre, è ingiusta perché interviene solo per il futuro e non tocca minimamente i privilegi più eclatanti, che si riferiscono alle passate legislature».

 

La proposta dei 5Stelle in realtà sembra l’emblema di una politica fatta soprattutto di propaganda e di storytelling e di poca sostanza. Tanto è vero che, di fatto, i vitalizi dei parlamentari sono stati aboliti dal primo gennaio del 2012. Da quella data i contributi di deputati e senatori vengono calcolati con il sistema contributivo con lievissime differenze (che peraltro favoriscono ghi va in pensione intorno i 70 anni) rispetto ai coefficienti in vigore per tutti gli italiani “normali”. Il vantaggio principale che mantengono i parlamentari è quello di ricevere la loro pensione a 65 anni (o a 60 anni se hanno 10 anni di contributi) e dunque un po’ prima dei circa 67 in vigore per i lavoratori Inps.

​Si tratta di differenze lievi rispetto ai trattamenti Inps, molto più lievi di quelle che riguardano altre categorie, a partire dai giornalisti. E anzi a dirla tutta i parlamentari giovani hanno persino uno svantaggio rispetto agli altri lavoratori: rischiano di perdere i contributi versati se non restano parlamentari per almeno 4 anni 6 mesi e un giorno. Una perdita consistente perché i contributi dei parlamentari ammontano a 800 euro al mese che versati per quattro anni e mezzo (54 mesi) superano i 43.000 euro. Per completezza d’informazione va detto che i lavoratori dipendenti perdono i loro contributi con versamenti inferiori ai 20 anni ma ottengono una pensione sociale.

​In fatto di ingiustizie previdenziali delle Camere, poi, quella più eclatante – ma evidentemente non redditizia sul fronte elettorale – non riguarda il trattamento dei parlamentari ma quello dei dipendenti di Camera e Senato. Quest’anno la Camera verserà 250 milioni circa per le pensioni dei dipendenti e solo 150 milioni per quelle dei politici. Non solo. I dipendenti di Montecitorio versano circa 75 milioni di contributi e pertanto è come se ricevessero 3,5 euro per ogni euro versato. Un rapporto incredibilmente squilibrato. I lavoratori dipendenti Inps, per dire, versano un euro e ricevono 1,05 (attenzione alla virgola, 1,05, non uno e mezzo) sotto forma di pensioni. Ma su questo punto nessun partito ha mai proposto nulla, ad eccezione della norma del governo Letta che per tre anni ha imposto una supertassa sulle pensioni superiori ai 90.000 euro annui che sono molto frequenti fra i dipendenti delle Camere.

Antonio Pischedda

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