Ricordo di Placido Rizzotto 70 anni dopo la sua morte (Giuseppe Crapisi)

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Salvo Vitale

Salvo Vitale Placido Rizzotto una vittima della lunga strage

Premessa socio-politica


 

 
Biografia di Placido Rizzotto

Placido Rizzotto era nato il due Gennaio del 1914 a Corleone ed era un ragazzo figlio di un contadino, Carmelo e di Moschitta Giovanna, che morì giovanissima. Dovette abbandonare la scuola perché il padre, sotto il prefetto Mori fu arrestato poiché vicino alla mafia. Fu chiamato alle armi con destinazione i freddi monti della Carnia, in Friuli Venezia Giulia, ma dopo l’8 settembre abbandonò la divisa fascista e si unì ai partigiani della Brigata Garibaldi. Sui monti della Carnia Placido ha contribuito alla liberazione dell’Italia; ma i partigiani della Carnia hanno contribuito a formare in Placido gli ideali di libertà che andavano oltre la lotta al fascismo, infatti, entrò in contatto con le idee di uguaglianza socialiste, tutti gli uomini sono uguali e non ci possono essere servi e padroni, come nel suo paese, ma ha vissuto anche l’esperienza di quei giovani partigiani che per quei valori e quelle idee erano morti accanto a lui. Sarebbe stato facile continuare a inseguire la libertà dove già era affermata, ma si rese conto che la sua lotta non era finita, sapeva che la sua Corleone non era oppressa dal nazifascismo ma dai “signori” di Cosa Nostra. Finita la guerra, ritornò nella sua Corleone, carico delle sue esperienze e in poco tempo fu eletto Segretario della CGIL di Corleone e rifondò la cooperativa agricola “B. Verro”, organizzando i contadini nella lotta per l’applicazione del decreto Gullo. A Corleone e in Sicilia, come abbiamo detto, continuava ad esistere il latifondo che era nelle mani degli agrari e dei gabelloti mafiosi. Placido incitava i “jurnateri” (lavoratori pagati a giornata) a non accettare le proposte “di lavoro” (sfruttamento!) che erano fatte dai picciotti dei latifondisti in pubblica piazza come per le bestie, ma parlava di collocamento e li incitava organizzarsi in cooperative. L’unione tra i lavoratori onesti poteva essere l’unica arma per sconfiggere l’ormai assodata cultura del subire e per affermare i propri diritti. Rizzotto portava avanti questa lotta contro questi poteri e per questo motivo fu eliminato il 10 marzo del 1948. Nessuno fu condannato attraverso la solita formula, di moda in quegli anni, “assolti per insufficienza di prove”. A Corleone il capomafia era il Dott. Michele Navarra, che gestiva l’ospedale dei Bianchi e aveva un grosso potere, ma a suo servizio aveva tra gli altri Luciano Liggio, che prenderà in seguito il suo posto facendo uccidere il vecchio boss e i suoi affiliati con una vera e propria guerra di mafia. Rizzotto voleva occupare le terre che erano state promesse a Liggio. La sera del 10 marzo 1948 Luciano Liggio, Pasquale Criscione e Vincenzo Collura lo rapirono e facendolo entrare con forza in una Fiat 1100 lo portarono in contrada Malvello, dove venne torturato e assassinato. Il suo cadavere fu occultato nella foiba di Rocca Busambra. Non venendolo rientrare il papà Carmelo e il cognato Giuseppe Di Palermo andarono a cercarlo. Il padre ebbe la forza di denunciare i fatti all’allora capitano Dalla Chiesa. Il capitano fece un rapporto indicando proprio gli esecutori materiali, grazie alla testimonianza di Criscione e Collura. Stessa denuncia fu fatta allora dai giornali l’Unità e la Voce della Sicilia che scrissero anche sulla strana morte del piccolo Giuseppe Letizia, che aveva assistito all’omicidio Rizzotto ed era stato ricoverato nell’ospedale diretto dal Dott. Navarra. Ma al processo i due testimoni ritrattarono e quindi il processo in tutti e tre i gradi si risolse con la formula assolti per insufficienza di prove. Per Rizzotto come per tanti altri non c’è mai stata giustizia.
Giuseppe Crapisi

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