La “strage” di Alcamo Marina

La “strage” di Alcamo Marina

 

Il 27 gennaio ricorre oggi l’anniversario dell’uccisione di due carabinieri, Salvatore Falcetta,  e Carmine Apuzzo, (19 anni), i cui corpi furono trovati il 28 gennaio 1976 presso la casermetta di Alcamo Marina: un delitto consumato a sangue freddo e definito “strage”, di cui all’inizio furono incolpati quattro  alcamesi (Gulotta, Santangelo, Ferrantelli ,Vesco) e un partinicese (Mandalà). Dei cinque  Mandalà è morto in carcere di cancro, Vesco , come scritto da lui stesso alla madre, “è stato suicidato” nella sua cella, sei mesi dopo il suo arresto, malgrado avesse un braccio solo, Gulotta, massacrato di botte , assieme a Ferrantelli e Santangelo, è stato costretto  a confessare  un delitto che non aveva commesso , è stato condannato all’ergastolo e liberato dopo 20 anni, perché riconosciuto innocente:  gli altri due sono scappati in Brasile.

Ma il caso di Vesco è ancora più inquietante:  si è detto che era un anarchico, ma forse neanche lui sapeva di esserlo. Venne  arrestato alcuni giorni dopo il delitto, perché trovato in possesso di una pistola; durante una sua precedente detenzione al carcere di Favignana avrebbe frequentato un brigatista rosso che gli avrebbe fatto “prendere coscienza”.  Chi conduceva le indagini, cioè l’allora capitano Russo, si è lanciato a testa bassa verso un’ipotetica pista rossa incolpando prima le Brigate Rosse, che hanno subito smentito, e poi effettuando una serie di perquisizioni presso le case di esponenti noti di estrema sinistra, , cinque a Castellammare e tre a Cinisi, compresa quella presso  la casa di Peppino Impastato. Oggi leggiamo su qualche giornale che Peppino avrebbe raccolto in una “cartelletta” elementi riguardanti la strage di Alcamo e che quella specie di dossier  non si è più trovato. Di vero c’è solo che i compagni di Castellammare e quelli di Cinisi, vicini a Lotta Continua,  scrissero un volantino sull’episodio, ma non è possibile, copme scritto da qualche giornalista, che Peppino raccogliesse elementi da trasmettere sulla sua radio, anche perché in quel periodo Radio Aut non esisteva ancora. Di ciò su cui non c’è nulla si può dire di tutto.

Il pentito Vincenzo Calcara, al processo per Gullotta ha sostenuto che i due ventenni carabinieri furono uccisi perché avevano fermato un mezzo con un carico di armi destinate all’organizzazione parafascista Gladio, che, nella zona limitrofa, a Castelluzzo, aveva una base con un piccolo aeroporto. Secondo le  dichiarazioni di Calcara i due militi sarebbero stati uccisi da emissari della mafia alcamese, su probabile ordine di esponenti di Gladio. Del tutto strana la scoperta del delitto, fatta dagli uomini della scorta di Almirante che, guardacaso, trovandosi di passaggio, alle sette di mattina, da quelle parti, videro la porta della casermetta aperta, si fermarono, vi entrarono e trovarono i cadaveri. Chi erano gli uomini di scorta di Almirante e chi li aveva informati che avrebbero trovato i due agenti uccisi?: perché è chiaro che non potevano trovarsi lì, cioè in una stradina buia fuori dal normale percorso, per caso, vedere, sempre per caso, una porta aperta ed entrare.  Cosa c’entra Almirante in tutto questo? Tanto quanto c’entrano i neofascisti di Gladio. Ma cosa c’entra la mafia?

Qua passiamo nel profondo giallo e l’ipotesi di un accordo tra mafiosi e neofascisti prenderebbe corpo, magari collegando il fatto che la moglie del capomafia di Alcamo Vincenzo Rimi, era sorella di Teresa Vitale, moglie di Gaetano Badalamenti. E  si aggiungono altri curiosi elementi : sul sito M News.it  del 16 febbraio 2012 leggiamo che la “perquisizione a casa di Peppino Impastato venne condotta da un uomo di fiducia del capitano Giuseppe Russo: il nome del militare oggi in congedo, al momento top secret, è al vaglio degli inquirenti”, ma si tratta dello stesso che partecipò agli interrogatori degli arrestati per la strage di Alcamo Marina.

E chi è il capitano, poi promosso colonnello? Quasi certamente Giuseppe Russo? Secondo il pentito Francesco Di Carlo “La stazione dei carabinieri di Cinisi non li disturbava ai mafiosi,  facevano finta di niente perché ci avevano fatto parlare il colonnello Russo. Al colonnello Russo ci avevano fatto parlare i Salvo e Tanino Badalamenti e si comportavano bene”. Anche secondo il pentito Francesco Onorato “era risaputo che il Badalamenti avesse nelle mani i carabinieri del territorio di sua pertinenza”. La cosa, se vera, avrebbe una sua possibile spiegazione nel fatto che Luciano Liggio aveva deciso di eliminare il colonnello Russo,che aveva messo troppo il naso nelle sue faccende, ma Gaetano Badalamenti si era opposto. La notizia è confermata da Giovanni Brusca. In tal senso Russo si sarebbe sdebitato nei confronti di chi lo avrebbe salvato, anche se lo stesso sarà ucciso alcuni mesi dopo, (20 agosto 1977) nel bosco della Ficuzza, a Corleone, assieme all’insegnante Costa.   E così abbiamo altri elementi per fantasticare: Russo, o un suo uomo di fiducia, che conduce le indagini ad Alcamo e compie la perquisizione a casa di Peppino, Russo molto vicino a Badalamenti, Badalamenti cognato del boss di Alcamo, che avrebbe deciso l’eliminazione dei due carabinieri, testimoni di un passaggio di armi dalla mafia a Gladio, oppure da Gladio alla mafia e infine gli uomini di Almirante che, alle sette di mattina “fingono” di trovare i due corpi. E se andiamo più indietro scopriamo che Russo era affiliato alla Massoneria e che, secondo Buscetta, era tra quelli disponibili ad appoggiare il colpo di stato di Junio Valerio Borghese. Per non parlare di Badalamenti, che, pur di liberare il cognato Rimi dall’accusa di omicidio, avrebbe dato all’inizio la sua disponibilità ad appoggiare il golpe, salvo poi ritirarsi per motivi mai chiariti. Tutto questo non vuol dire niente o vuol dire ben poco se non ci sono riscontri che consentano di andare oltre le coincidenze o le presenze comuni. Di fatto, negli anni 70 la direttiva privilegiata di qualsiasi episodio di matrice politica sospetta era quella di colpire nelle frange dell’estrema sinistra e Dalla Chiesa l’aveva esportata in Sicilia.. Per inquadrare il tutto in una cornice di rispettabilità, a Russo, personaggio discusso, ma certamente vittima della mafia, è  stata conferita la medaglia d’oro al valor civile.  Quella della stagione dei depistaggi, del tentativo di ricercare colpevoli di misfatti tra elementi dell’estrema sinistra , è stata una strategia comune sia per il delitto di Alcamo Marina che per quello di Peppino. Ma già era iniziata nel 68, con la strage di Piazza Fontana. Dalla Chiesa, Russo, Subranni, quest’ultimo responsabile del depistaggio delle indagini sull’omicidio Impastato: secondo Agnese Piraino Leto, il marito Paolo Borsellino gli avrebbe confidato che Subranni era in rapporto con ambienti mafiosi e che era stato “punciutu”, punto, secondo il rito di affiliazione a Cosa Nostra. Due di essi  sono stati uccisi dalla mafia e l’ipotesi di misteriosi contatti tra poteri occulti (mafia, massoneria, neofascismo) rimane avvolta dalla nebbia dei misteri italiani irrisolti.

(Salvo Vitale)

 

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