La democrazia non si riduce alle elezioni (Roberta Covelli)

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La società sfugge dalle mani degli intelligenti. I più saggi restano inascoltati, l’imprevedibile si realizza. E allora si commenta prendendosela con gli stupidi, il popolino che non capisce, non è in grado e segue la pancia, la paura, l’emozione forte invece della ragione. È un’analisi che, tra il serio e il faceto, si condivide spesso: il suffragio universale è sopravvalutato, ci vorrebbe un esame prima del voto.
La soluzione, in fondo, è la più semplice: ma, parafrasando don Milani, se la scuola classista è un ospedale che cura i sani e respinge i malati, la democrazia perfetta non può essere il posto in cui votano solo gli istruiti, e si escludono quelli che, per mancanza di tempo o di cultura, si affidano alle facoltà innate, più vicine agli istinti che non alla logica.  La nostra Costituzione, sul punto, parla chiaro: nessuno si salva da solo, nessuno nasce consapevole. E infatti l’articolo 3 contiene una promessa ambiziosa: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. E l’evoluzione dell’individuo, il “pieno sviluppo della persona umana” non risiede nel singolo, ma in un’espressione collettiva, cioè nella “effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

E la Repubblica non è Renzi, né Di Maio e non è nemmeno un insieme di palazzi o un’impersonale burocrazia. La Repubblica sono io, la Repubblica siamo tutti. Per questo, quando la sovranità popolare delude, prima di prendercela con chi vota male, dovremmo chiederci che cosa abbiamo fatto, ogni giorno, per garantire che tutti siano “liberi ed eguali in dignità e diritti”, come proclama la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e per rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, come richiede la Costituzione. Liberi ed eguali. Libertà ed eguaglianza. Invece ci facciamo bastare la nostra consapevolezza, la nostra pretesa superiorità, di chi capisce e vota il giusto, di chi se la prende con gli analfabeti funzionali che inquinano il dibattito e, correggendo gli svarioni grammaticali, si concentra sul dito del commento sbagliato e non risale alla luna della disuguaglianza sociale, spesso causa di quel commento. E poi, riposta la tessera elettorale nel cassetto, il colto impegnato esulta e si riposa se vincono i suoi, si lamenta e critica se vincono gli altri, così dimenticando che una democrazia non si riduce alle elezioni: è una realtà che si costruisce ogni giorno, nella giustizia sociale, nel fornire a ognuno gli strumenti per “il pieno sviluppo della persona umana”, invitando a partecipare invece che ad astenersi, favorendo l’inclusione invece di escludere gli ultimi, considerando il potere un mezzo, anche un po’ pericoloso, invece che il fine ultimo dei propri sforzi politici.

(Roberta Covelli )

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